In occasione della presentazione del nuovo numero di Italianieuropei, la rivista della Fondazione guidata da Massimo D’Alema e Giuliano Amato ha organizzato un dibattito sul “cantiere della sinistra”, a cui hanno partecipato i principali leader del centrosinistra e della sinistra italiana. Oltre ai due padroni di casa sono infatti intervenuti Nicola Zingaretti, Matteo Renzi, Dario Franceschini, Roberto Speranza, Goffredo Bettini, Elly Schlein, oltre agli interventi di Nadia Urbinati e Ida Dominijanni. Coordinatore del panel, Mario Hübler. Obiettivo della discussione, oltre alla promozione del numero della rivista, il futuro del sistema politico italiano e la necessità di “una forza progressista e democratica” che abbia “una visione del futuro”, che sappia “rappresentare un modello di società”, che recuperi “una propria ideologia”. Tanti i temi affrontati durante le tre ore di discussione via Zoom e i diversi interventi che hanno posto una serie d’interrogativi rispetto alla sinistra italiana in generale, al rapporto tra sinistra, centrosinistra e Movimento Cinque Stelle, alla nuova America di Biden.
La sinistra, le sinistre
È l’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato, attualmente giudice della Corte costituzionale, ad aprire il dibattito sul futuro della sinistra italiana “che deve portare avanti i valori di una società liberale e di chi ha rispetto a chi non ha”. L’errore, ha detto, è aver lasciato il tema dell’appartenenza a altri, in particolare alla destra che l’ha trasformato in uno strumento di attacco contro gli altri, contro chi è diverso. Un’idea condivisa anche da Goffredo Bettini, l’ideologo del Pd zingarettiano, secondo il quale “la sinistra non è stata all’altezza delle sfide del tempo”. La sinistra per Bettini ha smesso di avere “un punto di vista critico adeguato al nuove tempo”, né ha saputo dare e darsi “una nuova visione del mondo e della società”.

Per l’esponente del Pd il problema è che la sinistra si è limitata a rispondere con il “governo del paese” alle questioni sociali ed economiche, quando, invece, avrebbe dovuto riprendere il mano il conflitto sociale, che “è motore di cambiamento”. E per riprendere in mano il conflitto sociale serve “una proposta di società e di sviluppo di riforma del capitalismo che metta al centro l’ecosistema senza subire l’offensiva degli avversari; una sinistra che lotti contro la rendita; una sinistra popolare ma anche colta con una classe dirigente all’altezza del governo del paese”. Per Bettini la sinistra deve soprattutto lasciarsi alle spalle “l’individualismo che è stato un concreto accesso anche all’interno dei partiti della sinistra delle logiche anarchiche del capitalismo mobile, flessibile e finanziario”.
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Una critica al sistema economico condivisa anche da Ida Dominijanni. Per la giornalista il Covid-19 è “un acceleratore della fine del neoliberismo che ha portato alla distruzione delle politiche sociali, al disfacimento delle istituzioni democratiche, alla diffusione dell’individualismo”. Per accompagnare questa crisi inevitabile servirebbe però “maggiore radicalità politica, invenzione e fantasia”, invece “non si vedono leadership politiche all’altezza”. Alla mancanza di una visione critica del capitalismo si somma “la corsa verso il centro” della sinistra che ha tentato di “ridurre la politica alla funzione di governo”, dimenticandosi del “rapporto con la società”. Per la giornalista il riformismo però “non funziona a tavolino ma in una funzione dialettica”, unica forma di contrasto del populismo di destra che attraverso le idee di nazione, popolo, razza e patriarcato offrono una base anti-liberale che “è in realtà un’espressione stessa del neoliberismo”.

Condivide le critiche alla corsa al centro della sinistra Elly Schlein, la vice-presidente della regione Emilia-Romagna. Per Schlein “siamo di fronte al fallimento del modello economico e sociale degli ultimi decenni” e per farvi fronte “servono politiche redistributive e di concertazione”. L’obiettivo della sinistra deve essere infatti la “redistribuzione del potere, della ricchezza, del sapere e del tempo libero”, che concretamente si realizzano attraverso la “riduzione dell’orario di lavoro a salario invariato, battendosi contro i paradisi fiscali, con investimenti nell’istruzione, raddoppiando gli asili nido, riducendo le disuguaglianze di genere, sostenendo un nuovo welfare universalista, di base e capillare, con una forte sanità pubblica”. Il voto ai partiti populisti nasce proprio “dalla mancanza di sicurezza sociale che la destra ha saputo sfruttare e indirizzare verso gli immigrati”. Non si tratta solo di una crisi della sinistra italiana ma è la sinistra europea che è “al margine del dibattito europeo perché non sa innovarsi e manca di una visione chiara del futuro, non capendo la crisi demografica, tecnologica e ecologica del continente” che anche Papa Francesco ha colto. Certo, continua Schlein, “la troppa frammentazione a sinistra per questioni più personali che di merito” non ha aiutato a dare la giusta attenzione a questi temi. Oggi però, dice, è necessario che “il Pd si rimetta in discussione su lavoro e immigrazione”.

Di crisi del neoliberismo parla anche il ministro della salute Roberto Speranza. Per il segretario di Articolo Uno col Covid-19 si assiste “alla crisi dell’egemonia del pensiero neoliberista che a sinistra ha portato a una disconnessione con l’elettorato tradizionale”. Quel modello che poneva “il mercato sopra ogni cosa, che sosteneva lo stato minimo, la fiducia totale nei meccanismi dell’economia” sta secondo il ministro implodendo. “C’è infatti” continua “una consapevolezza diffusa per salvaguardare i beni pubblici fondamentali, difendere il sistema sanitario nazionale da dinamiche di mercato, difendere la scuola, proteggere l’ambiente e il lavoro”. Il vento per Speranza sta cambiando e per i movimenti di sinistra, come il suo, si apre una finestra di opportunità che può favorirli.

L’esigenza di “una critica al capitalismo e al neoliberismo” è sentita anche da Nadia Urbinati, docente di scienze politiche alla Columbia, secondo la quale serve una “nuova ideologia”, “una narrativa valoriale del mondo”, senza la quale “non si va avanti”. L’assenza di questa narrazione/ideologia è parte della debolezza dei partiti politici e il populismo ne è un sintomo perché si è interrotto il rapporto tra partiti e i cittadini. “La narrativa della sinistra è infatti debole” perché non ha impedito la frammentazione della società, ha smesso di “alfabetizzare i cittadini” e di “trasformare la ribellione irrazionale in azione razionale”. La nuova “ideologia” della sinistra, secondo Urbinati, deve ripartire dal tema dell’uguaglianza intesa come opportunità e capacitazione delle persone. Soltanto “un’ideologia forte è infatti in grado di scardinare altre ideologie”.

Europa, Stati Uniti e sinistra
La lezione delle vicende americane è poi intepretata in vario modo. Per Dominijanni infatti è sbagliato dire che “la vittoria di Biden è una vittoria del centro”. Per la giornalista i democratici hanno vinto “perché hanno saputo riprendere in mano la critica al capitalismo, la lotta al sessismo e al razzismo come fenomeni del sistema economico e sociale”. I democratici hanno saputo sviluppare un discorso radicale, riprendendo in mano parole desuete come “socialismo”. Una visione condivisa da Schlein secondo la quale “le elezioni americane sono state vinte grazie all’impatto di Black Lives Matter e alla mobilitazione della sinistra del Partito democratico americano”.
Diversa l’opinione di Matteo Renzi che invita a riflettere sulla personalità di Biden, un esponente dell’establishment e un rappresentate dell’ala moderata del partito. Per Bettini invece la conclusione da trarre dalle elezioni americane è più drastica: “l’Europa ha ampiamente ripagato il debito nei confronti degli Stati Uniti” e “oggi deve essere una forza di terzietà in un mondo multipolare, a sostegno della pace”.

L’alleanza tra sinistra e Cinque stelle
L’altro tema al centro del dibattito è l’alleanza tra Pd e M5S che sostiene il governo bis di Conte. Dario Franceschini, ministro della cultura, rivendica l’azione “di sinistra” del governo di cui fa parte. La crisi del Covid-19 è stata infatti affrontata con “politiche di sinistra”, in alleanza con forze “non di sinistra”. Una tappa importante l’azione del governo in questo frangente che può trasformare “un’alleanza nata contro Salvini” in “qualcosa di più profondo”.

Secondo Franceschini “non è ancora il centrosinistra” ma è cominciato un processo inesorabile di future alleanze, “necessario per tornare a governare”. Al di là del sistema elettorale, per il ministro “si tratta solo di capire se dobbiamo fare un’alleanza prima o dopo il giorno delle elezioni”. Si tratta dell’unica soluzione “per far fronte alla destra che ha preso le paure di questo tempo e le ha rese più grandi”, paure reali che la sinistra ha prima “preso in giro” e, poi per farvi fronte, ha inseguito la destra, ad esempio sulla politica per l’immigrazione. Per Franceschini il confronto però non è tra sovranisti e gli altri, ma è sempre quello tra destra e sinistra: è finita quella fase dei populismi non riconducibili al campo tradizionale di divisione politica. Rimane invece “la divisione pericolosa tra élite e popolo” perché è sparita “l’intermediazione a causa dalla Rete”.

Matteo Renzi si dice d’accordo sul fatto che esistano le differenze tra destra e sinistra. Ricorda però anche che esistono differenze profonde tra le sinistre e che questa competizione a sinistra ha portato a dei disastri elettorali: come nel caso del Regno Unito dove lo spostamento a sinistra del Labour prima con Ed Miliband e poi nettamente con Jeremy Corbyn non ha comportato una vittoria. Se il Covid-19, dice l’ex presidente del Consiglio, è una tragedia, rappresenta politicamente anche un’opportunità, qualora l’Italia la sapesse cogliere: la vicenda del Mes dimostra però il contrario. E ai rischi di un governo tecnico, Renzi oppone la necessità di fare politica: non si tratta infatti di uno scontro tra populismo e élite come detto da Franceschini, ma di uno scontro, da un lato, tra populismo e politica e, dall’altro lato, tra tecnocrazia e politica.
Del Covid-19 come opportunità politica ne è convinto anche Nicola Zingaretti, segretario del Pd, secondo il quale non si può ritornare alla situazione precedente alla pandemia. “Serve un elemento di discontinuità”, serve “un equilibrio diverso perché la normalità precedente era inaccettabile: stagnazione economica, assenza di mobilità sociale, uno stato burocratico e pesante, un livello di discriminazione non accettabile”. La forza del governo però non basta.

Massimo D’Alema, che chiude la serie degli interventi, ha lodato l’alleanza tra “il populismo gentile” del Movimento cinque stelle e il Pd. Il compito della sinistra, dice l’ex presidente del Consiglio, è di collaborare con i Cinque stelle, nati “come rivolta contro la vecchia politica”, per “accompagnarli nell’azione di governo”, per aiutare “un processo di costituzionalizzazione di un nuovo partito della politica italiana”. Accanto a questo ruolo la sinistra però deve ritagliarsene un altro, che “guardi oltre” e che proponga “una nuova visione”, “una nuova ideologia”.

Per elaborare una nuova narrazione/ideologia “la crisi del modello neoliberista attuale” è un’occasione irripetibile. Nemmeno la crisi economica e finanziaria del 2008 ha offerto quest’occasione per “le forze democratiche d’imprimere un cambiamento” perché questa volta “la crisi è più profonda, con una dimensione antropologica”. I cittadini hanno “bisogno dei beni pubblici, dello stato sociale, della politica e delle istituzioni”, “tutto patrimonio storico della sinistra democratica”. Per vincere però la sinistra non deve guardare al centro, un’idea figlia di un’epoca diversa: “il centro sociale non esiste più e serve oggi un campo democratico largo”. Come quello che in Europa ha sostenuto Ursula von der Leyen. Un campo che sarebbe più debole se non ci fosse la sinistra “con la sua visone critica del capitalismo per renderlo compatibile con la democrazia, la protezione dell’ambiente, l’esigenza primaria della salute delle persone”, valori che il mercato non rispetta. La sinistra italiana ha per lungo tempo pensato che “l’ambizione maggioritaria potesse essere raggiunta attraverso un indebolimento della nostra identità” ma “per ottenere il 51 per cento abbiamo perso di vista il 30 per cento che dovremo rappresentare”. Per questo serve oggi una forza organizzata che rappresenti quelle idee, “di matrice socialista e cattolica”. Oltre la discussione sui valori della società e delle politiche, serve anche una riflessione sull’organizzazione dei partiti della sinistra: se è vero che gli esperimenti di partiti di sinistra non sono andati bene, è anche vero che l’operazione del Pd non ha avuto successo. “Dov’è finita la militanza?” si chiede D’Alema, “quale è il ruolo della cittadinanza attiva nei partiti?” aggiunge. “Il partito leggero” non ha funzionato anche perché “ha rinunciato a selezionare la classe dirigente affidandone la scelta allo strumento delle primarie” che hanno trasformato il Partito democratico in “un partito di comitati elettorali e di notabilati locali”.

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