Venezia. Ricominciare? Magari un nuovo ciclo…

In attesa che finisca presto la pandemia la nostra città deve decidersi: nuove funzioni e più ampi orizzonti o il “com'era, dov'era” del vivere alla giornata? Qualche spunto di riflessione. 
ROBERTO ELLERO
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Due o tre spunti di riflessione in epoca di perdurante pandemia, a lockdown intermittenti, variamente tinteggiati e declinati, e però con quella lucina vaccinale in fondo al tunnel, ancora flebile, va da sé. A proposito di Venezia, in particolare, annichilita dal virus e prima ancora dalle sempre più copiose acque alte, ora bloccate dal Mose, peraltro con qualche intoppo e problemino collaterale. Vediamo di raccogliere le informazioni pervenute in ordine sparso e di ragionarci sopra. A ruota libera, viene meglio.

Una stima attendibile valuta in almeno settemila unità l’offerta potenziale di appartamenti in libera uscita dal turismo. Fossero riconvertiti all’uso residenziale darebbero qualcosa come ventimila abitanti, residenti o qualcosa di simile, popolazione comunque stabile, in grado di ridare ossigeno a un tessuto commerciale e sociale sterilizzato dalla monocultura turistica e da quelle pratiche di rendita a bassissimo tasso di sviluppo che pur rendevano impraticabile qualsiasi alternativa. Pensate ai negozi di vicinato, alle ristorazioni non necessariamente fast, alle scuole, ai luoghi della cultura, alle attività artigianali connesse al vivere quotidiano, a tutto quell’universo scomparso, sprofondato, stravolto in una città che ancora s’avvia, in forza delle dinamiche rammentate, ad andare presto sotto la soglia dei cinquantamila abitanti, una piccola cittadina di provincia dove c’era pur sempre stata una capitale. Con una politica della residenza accorta e davvero sensibile al tema del ripopolamento, sostenuta da appositi incentivi fiscali, invertire la rotta sarebbe adesso possibile.

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Ventimila nuovi abitanti. Bene. Ma per fare che cosa? Certo, con lo smart working destinato a farsi abitudinario, ben oltre le contingenze epidemiche, “lavorare” a e da Venezia diverrà di per sé più facile e allettante, in una città unica e per mille ragioni più a misura d’uomo di altre. Ma giusto perché divengono più facilmente realizzabili le cose programmate, anziché soltanto immaginate o lasciate all’inerzia dell’azzardo, perché non mettere mano all’insediamento di quelle agenzie internazionali, a cominciare da clima e ambiente, di cui ogni tanto si favoleggia sui giornali. Con l’Europa, l’Onu, i cinesi, gli arabi, chi vi pare. Funzionari che, con le loro famiglie, vengono qui a lavorare e naturalmente a risiedere, in aggiunta a chi per suo conto vorrà tornare o restare, agli studenti che ultimamente faticavano anch’essi a trovar casa, a chi già lavora a Venezia ed è costretto al pendolarismo. Dove, le agenzie e le rappresentanze in genere? Il patrimonio pubblico – comunale e/o demaniale – dei manufatti dismessi o sottoutilizzati è così vasto in città da imbarazzare persino la scelta. Ma se mai non si comincia… 

Il regista Andrea Segre introduce il film Il pianeta in mare all’Arsenale, nella manifestazione Barch-In, cinema all’aperto in barca, 1 agosto 2020.

Leggevo che i livelli occupazionali veneziani, negli ultimi mesi, hanno retto meglio (o perso meno) che altrove grazie alle numerose produzioni cinematografiche e audiovisive ospitate in città. Comparse, d’accordo, ma non solo, e dunque maestranze variamente articolate: per un horror targato Alex de la Iglesia (un maestro in Spagna) e per il faticoso, più volte rinviato e alla fine felicemente ultimato lavoro giudecchino di Andrea Segre, prodotto dalle JoleFilm di Padova, per il nuovo capitolo di Mission Impossible e per il lancio promozionale di uno di quei videogame che poi fanno il giro del mondo, per l’Hemingway del sempre verde Di là dal fiume e tra gli alberi e altro ancora. Varie scale di produzione per un concentrato forse occasionale ma in linea con una vocazione antica della città, peraltro mai davvero accompagnata da un ragionamento sistemico sulle opportunità (occupazionali, ma non solo) del comparto, una volta reso competitivo anche sotto il profilo logistico e funzionale. In altre parole, quei cineporti che hanno fatto la fortuna del modello pugliese e che qui, tra terraferma e Venezia, potrebbero ben diventare le leve di un settore tutt’altro che disprezzabile anche sotto il profilo economico. Leggevo anche dei salti alti di gioia in scena a Ca’ Farsetti per i proventi derivanti dall’uso dei plateatici e di Palazzo Ducale. Rendite, alla fin fine, anch’esse, se non si trova il modo di finalizzarle a un percorso produttivo virtuoso a carattere continuativo. Avete provato a sentire le piattaforme per qualche seriale di peso? Daniele Vicari, con il suo Alligatore, da Carlotto, è persino riuscito a rendere blues la laguna Nord. E cominciate a sentire anche gli operatori del settore: sapere che ne pensano e di che cosa hanno bisogno è già cominciare a fare un pezzo di strada insieme…

Lo stadio del Venezia, Pier Luigi Penzo, a Sant’Elena, all’estremità orientale della città.

Leggo anche del Pier Luigi Penzo, l’onusto e vetusto stadio di Sant’Elena, che sopravvive ai bordi della città in attesa, da mezzo secolo, del nuovo impianto sportivo in terraferma. Tanto di cappello al nuovo presidente Duncan Niederauer, uomo d’affari statunitense per anni alla guida della borsa di Wall Street, per aver infranto un tabù: basta con i sogni di gloria a Tessera, par di capire, e rimettiamo in sesto quel che già c’è a Venezia, in una delle location calcistiche più belle del mondo. Magari! L’impensabile e l’indicibile tornerebbero d’attualità, nel corso di una stagione dove la squadra sta dando più di una soddisfazione ai suoi tifosi, non tutti magari d’accordo su Sant’Elena, ma certo felici di rivedervi possibilmente tra non molto, di questo passo, la Serie A. Qualcuno ricorda quel mitico 4-3 di Venezia-Juventus in Coppa Italia la sera del 27 ottobre 1993? Ecco, qualcosa del genere, in un Penzo rimesso a nuovo.

Sempre tempo fa, ai Lavori pubblici del Comune, ultima giunta Cacciari se non ricordo male, girava il rendering fatto in casa di un Penzo ristrutturato a tribune interamente coperte, tredicimila posti o giù di lì, buoni anche per la massima serie, un gioiellino sdegnato dai più ma certo maggiormente economico di uno stadio in terraferma bisognoso di hotel, di centri commerciali e di tutte quelle altre cose che hanno finito per stritolare Mestre. Tempo perso, si diceva allora, perché il futuro sta in terraferma mentre per il nuovo stadio è solo questione di giorni. S’è visto.

Venezia 5 dicembre 2020. Ateneo Veneto, Aula magna, cerimonia di chiusura del 208° anno accademico dell’Ateneo Veneto.

Chiudendo l’anno accademico dell’Ateneo Veneto con la consueta assemblea dei soci, in versione naturalmente telematica, il presidente della più longeva istituzione culturale veneziana, Gianpaolo Scarante, è stato al suo solito pratico, realistico e ragionevolmente fiducioso. E ci sentiamo di condividere le sue opinioni – ribadite in un articolo su questa rivista – non certo soltanto per implicita partigianeria, facendo parte di quel consesso. Il succo del ragionamento: in questi mesi abbiamo dovuto rinunciare a buona parte di quella socialità che è la nostra principale ragion d’essere, gli incontri dal vivo, non è stato facile ma abbiamo resistito e siamo andati avanti ugualmente, trovando nel web nuovi modi di comunicare, un’utenza persino più vasta di quella in presenza e positivi riscontri in parti del mondo altrimenti irraggiungibili. Cosicché, quando torneremo in sala lo faremo senza abbandonare i nuovi mezzi, che ci consentono di accrescere e non certo sminuire la nostra presenza, varando nel contempo anche inedite modalità di produzione culturale. 

Vale per l’Ateneo Veneto, che figura fra coloro che più si sono prodigati in tal senso, ma forse vale per l’intero vasto comparto culturale veneziano, pubblico e privato: non più soltanto il richiamo della città, cosa nota, ma una vera e propria chiamata a interagire grazie alle nuove tecnologie di cui disponiamo, utili e forse necessarie ben oltre la pandemia. E pensiamo a quell’Archivio Storico della Biennale che avevamo lasciato in procinto di trasferimento e rilancio: ci staranno lavorando, sperabilmente. Pensiamo alle università veneziane, che vantano una rete internazionale di validissime relazioni da implementare ulteriormente. Pensiamo ai beni culturali disseminati in città e mai veramente valorizzati dalle istituzioni (la Fabbrica del Vedere di Carlo Montanaro, per dire). E, in controtendenza, l’annunciata messa in vendita dei Tre Oci alla Giudecca da parte della Fondazione Venezia, dopo una breve ma onoratissima carriera nel campo della promozione della cultura fotografica. C’è ancora tempo per cambiare idea, non vi pare? Insomma, dopo la pandemia, Venezia deve decidersi: nuove funzioni, più ampi orizzonti, un nuovo ruolo internazionale da giocare o tornare, il più presto possibile, al “com’era, dov’era” del vivere alla giornata. Di rendita, c’è da credere e temere. Un copione peraltro travolto da quel che è accaduto. E dunque…

Copertina: La Sala della Biblioteca dell’Ateneo Veneto con dipinti di Paolo Veronese e Jacopo Tintoretto.

Venezia. Ricominciare? Magari un nuovo ciclo… ultima modifica: 2020-12-14T18:32:43+01:00 da ROBERTO ELLERO
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3 commenti

ytali. - Venezia “città vetrina” e il ruolo delle istituzioni culturali 21 Dicembre 2020 a 20:29

[…] sulla nostra rivista. All’intervento del presidente dell’Ateneo Veneto è seguito quello di Roberto Ellero. Ora è la volta di Guido […]

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ytali. - Covid. Solo la cultura può rigenerare Venezia 23 Dicembre 2020 a 20:09

[…] rivista. All’intervento del presidente dell’Ateneo Veneto sono seguiti quelli di Roberto Ellero e di Guido Zucconi. Ora è la volta di Franco […]

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ytali. - Il futuro ibrido delle istituzioni culturali. Il caso di Venezia 5 Gennaio 2021 a 14:47

[…] rivista. All’intervento del presidente dell’Ateneo Veneto sono seguiti quelli di Roberto Ellero , Guido Zucconi, Franco Avicolli. Ora è la volta di Giuseppe […]

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