Che bella famigliola, lassù fra le montagne

In libreria “Il fratello” di Jo Nesbø (Einaudi Stile Libero), dove il maestro del noir norvegese racconta di una famiglia a modo suo molto unita: dai delitti.
ROBERTO ELLERO
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D’accordo, la famiglia è tutto. Ed è risaputo, qui da noi, che persino i peccati sono meno peccati (e forse i reati meno reati) quando appunto si “tiene famiglia”. Ma non è che altrove sia tanto diverso. Per esempio nella “fredda” Norvegia, dove temperatura e temperamento farebbero pensare a scenari meno familistici. E invece? Jo Nesbø è uno degli autori di punta di quella folta scuola scandinava del noir che non smette di far parlare di sé, occupando ad ogni uscita la ribalta dei best seller.

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Sin qui, nel caso suo, soprattutto le inchieste di Harry Hole, volentieri sgangherato, modi spicci, qualche sbronza e sbandata di troppo ma un solido senso di giustizia e massimo acume investigativo, protagonista di una dozzina di spinose detection, valsa ciascuna il relativo romanzo di successo. Nel caso de L’uomo di neve anche un film non male di Tomas Alfredson (2017), con Michael Fassbender. E di intrighi familiari (a schemi sconvolgenti, come d’abitudine) si occupa ora l’autore nel romanzo Il fratello, in libreria per Einaudi Stile Libero, con la traduzione di Eva Kampmann. Per inciso, occhio alle bozze prima di andare in stampa: capita sempre più spesso, leggendo nuove edizioni, di imbattersi in errori e refusi che non giovano troppo alla reputazione del cartaceo. E vale, restando in tema, anche per le migliori famiglie…

Il fratello, comunque, che in originale titola diversamente: Kongeriket, “regno” in norvegese, ovvero quel podere di montagna ai margini della cittadina di Os, Norvegia di mezzo, dove vive la famiglia Opgard. Padre, madre e due figli, Roy e il di poco più giovane Carl, legatissimi ma assai diversi fra loro, tanto Carl è estroverso, simpatico, intraprendente, portato per gli studi, quanto Roy è chiuso, duro, metodico nel suo lavoro di meccanico. Periti i genitori in uno strano incidente automobilistico, a bordo di un’eccentrica Cadillac (nessun segno di frenata su quella curva delle Capre dove è facile finire nel burrone, il Salto, lungo la strada quasi privata che dal podere porta in paese), Roy conduce vita grama e solitaria nella locale stazione di servizio, col proposito tutt’al più di diventarne prima o poi proprietario, mentre Carl torna dall’America con una giovane e attraente compagna caraibica, bianchissima peraltro, Shannon, e il baldanzoso progetto di costruire un albergo di lusso, una spa, sul picco della montagnola di famiglia. Pare abbia fatto i soldi, in America, e comunque le idee non gli mancano, riuscendo ben presto a contagiare, in un crowdfunding molto speciale, i notabili della cittadina, altrimenti destinata ad un rapido declino dopo che le autorità han deciso di far passare la strada statale da un’altra parte. Sotto con i lavori, dunque, e per prima cosa i finanziamenti…

Dalle premesse allo svolgimento: oltre seicento pagine di serrato crescendo fra sconcertanti sorprese e accadimenti il più delle volte ferali, disturbanti rivelazioni, doppi giochi e tradimenti appena dietro l’angolo. Insomma, c’è del marcio anche in Norvegia. E non saranno mica gli altarini della famiglia Opgard all’origine di tanto malessere?

La famiglia che uccide è stata un classico della cultura alternativa di mezzo secolo fa: le invettive dell’antipsichiatria (Ronald Laing, l’io diviso dall’ambiente dove ciascuno di noi muove i suoi primi passi) e tanta letteratura, anche cinematografica (Bellocchio, per dire). Il primo istituto sociale da abbattere sulla via della liberazione, i figli contro i padri, il cosiddetto parricidio rituale.

Ricordo che parlandone all’università, tempo dopo, a proposito del collante delle coeve nouvelle vague, dovevo spiegare meglio quel “rituale”, onde evitare precipitosi e pericolosi fraintendimenti. Per dire come nel giro di pochi anni, il tempo di una generazione, possa cambiare la percezione dei concetti e dei riferimenti. Dal figurato al letterale, del resto, il passo rischia spesso di essere breve. E lo diventa, pour cause, nel romanzo di Nesbø, dove – pur senza richiami espliciti alle dannazioni “culturali” di cui sopra, ma il rock si fa ancora sentire – l’uscita dal tunnel degli incubi di casa resterà perennemente interdetta. Con le conseguenze estreme di un plot senza mezze misure e attenuanti.

Roy, in particolare, il ruvido fratello maggiore che dapprima rifugge dalla realtà per poi incaricarsi di “mettere ordine”, è il perno narrativo di un racconto perturbante, che poco per volta va svelando il non detto, la coltre di complicità che lo lega a Carl, un inestinguibile senso di colpa per non essere intervenuto prima… Una partita quasi tutta al maschile, banalmente misogina in fondo. E siccome delitto chiama delitto, scoprirsi assassini votati alla recidiva – lui, in primis, ma il fratello non gli sarà da meno –diventa un gioco da ragazzi, l’accettazione di un destino segnato, l’assuefazione ad un modo di essere e di agire dove la demarcazione fra necessità e volontà si farà sempre più labile, sino a scomparire nel magma di un indistinto senso di appartenenza.

Lo scrittore norvegese Jo Nesbø

Certo che leggere Nesbø, questo in particolare, non è mai una passeggiata. L’estrema radicale fratellanza, l’esclusione in definitiva di ogni altro possibile sentimento, le ristrettezze di un microcosmo sociale – il paesino di Os – non meno letale dell’ambito familiare in primo piano, e poi quello splendore naturale del paesaggio contraddetto in ogni istante tanto dalla forse involontaria ma certo meschina crudeltà dei sodali eponimi – due fratelli in uno – quanto dal puntuale tragico rintocco degli avvenimenti: tutto insomma porta a diffidare di tanta ferale rappresentazione, ad averne legittimamente timore.

La trappola attanaglia il lettore sino all’ultima pagina. E la tracotanza dei delitti, “necessari” a mantenere l’ordine disastrato dell’esistente, ti resta addosso per un po’. Altro che il bonario “tenere famiglia” da cui abbiamo preso le mosse per riferire di questa favola nera che, per coerenza, forse non avrà mai un lieto fine.

Che bella famigliola, lassù fra le montagne ultima modifica: 2020-12-17T20:52:40+01:00 da ROBERTO ELLERO
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