Il Lombardo-Veneto di Zaia

Il Veneto è ormai da qualche settimana la prima regione italiana per numero di contagi, con i decessi che aumentano in modo preoccupante. Cosa sta succedendo? Che cosa fa il presidente che nella prima ondata è stato applaudito da tutti per il modo in cui ha fronteggiato la pandemia?
ENZO BON
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Ma cosa sta succedendo al Veneto? Cosa ci sta capitando?

Perché, a vedere le statistiche serali sul Covid-19, siamo ormai da qualche settimana la prima regione italiana per numero di contagi, con i decessi che aumentano in modo preoccupante.

E pensare che molti, appena qualche settimana fa, erano soddisfatti del fatto che il Veneto, grazie all’ottimo sistema sanitario e all’efficace controllo sulla pandemia che il governatore Zaia e la sua squadra avevano messo in campo nella prima ondata, fosse una delle pochissime regioni italiane a rimanere in zona gialla, con pochissime restrizioni e la vita che scorreva quasi normalmente, lasciando che il virus fosse un ricordo lontano e già passato.

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Ed erano taciuti quali profeti di sventura quelli che, come ad esempio il prof. Crisanti ma anche molti altri virologi che abbiamo imparato a conoscere in questi tristi tempi, continuavano a dire che bisognava chiudere, che il virus non è come gli italiani, che hanno sempre la memoria troppo corta; che avremmo pagato a breve il conto, salato e tutto in una volta.

Chi non ricorda, solo una decina di giorni fa, il teatrino delle vacanze di Natale sulla neve. È uno sport prettamente individuale, si diceva: dove sta il problema? Dimenticando gli assembramenti pre e post sciate, fatti di drink, di soste ai rifugi, di attese negli impianti, di convivi serali ecc. Un dibattito surreale, a cui anche il governatore veneto ci metteva la sua. 

Ma di cosa stiamo parlando? Ricordate cosa successe nel 1963 al Vajont? La diga crollò e provocò 1917 vittime (ne abbiamo parlato più volte su ytali). Ebbene, sarebbe come se la discussione, quell’inverno del ’63, fosse stata incentrata su come far raggiungere Cortina e le località sciistiche a quanti si lamentavano che la strada statale 51 fosse chiusa per lavori di recupero dei corpi, smaltimento delle macerie e ripristino del sedime stradale. Con la differenza che, pur se i dati non sono ovviamente confrontabili, qui da inizio pandemia stiamo parlando, a oggi, di oltre 67 mila morti. Cioè di un’intera città come Cosenza o Potenza o Trapani o Viterbo o L’Aquila. E l’Istat, proprio nei giorni scorsi, ha evidenziato che, per trovare un numero di decessi così alto come nel 2020, occorre andare al 1944, quando le bombe alleate cadevano nelle città italiane facendo migliaia di morti. Di questo stiamo parlando, sia ben chiaro! Di bombe che stanno cadendo ma che non si vedono e delle quali non si sente lo scoppio.

Con l’aggravante che oggi, quello che fino a un mese fa succedeva in Lombardia, focolaio Covid e terra martoriata dalla pandemia, sta capitando nel nostro Veneto, che conta già più di cinquemila morti e viaggia a oltre quattromila positivi al giorno, quando in tutte le altre regioni il contagio si sta abbassando.

Cosa sta appunto succedendo qui da noi? Che cosa fa il governatore Zaia che nella prima ondata è stato applaudito da tutti per la sua encomiabile gestione della pandemia? Perché sembra che nell’ultimo periodo anche Zaia sia ondivago, non sappia cosa scegliere; non abbia, insomma, la barra dritta del governo come invece l’aveva la scorsa primavera. Di lui era stato apprezzato, infatti, il piglio decisionista, la sicurezza dimostrata nelle conferenze stampa giornaliere dalla sede della Protezione civile di Marghera, i dati precisi enunciati di volta in volta ai giornalisti. Ma ora questo smalto sta via via scemando. Ad esempio, ai tamponi molecolari, riconosciuti dal ministero della sanità, continua a sommare i tamponi rapidi, da molti osteggiati. E così il numero di persone testate è elevatissimo rispetto alle altre regioni e il rapporto tamponi/contagiati si abbassa. Ma è un numero buono solo in casa poiché, impietosamente, i dati forniti giornalmente dalla Protezione civile nazionale sono, per il Veneto, da zona rossa. Così come i posti letto ordinari e di terapia intensiva, che si stanno rapidamente riempiendo di pazienti covid; e la crescita delle proteste del personale sanitario, ormai esausto quando non in burnout.

Assistiamo, insomma, a un’inversione rapida di tendenza che proprio oggi ha avuto il suo apice: il governatore che più di tutti si opponeva alle chiusure adesso invoca dal governo la zona rossa e, nell’attesa, decide in autonomia di inasprire le restrizioni, imponendo il blocco dei confini comunali dalle ore 14 per tutto il periodo natalizio e fino all’epifania.

Cosa è successo al modello veneto tanto decantato? Quali sono stati gli errori che ci hanno portato a questo punto? Perché, se è vero che Zaia non ha dimostrato, ultimamente, quella lucidità che aveva a inizio pandemia, è altrettanto vero che gli sbagli non sono solo attribuibili alla sua gestione. Basta vedere cosa è successo domenica nelle maggiori città italiane per capire che le colpe non sono certo solo della politica: centinaia di migliaia di persone che si sono riversate lungo le vie dello shopping incuranti degli assembramenti; aperitivi pre-serali di giovani che se ne infischiano del virus che tanto colpisce solo i vecchi; sindaci che sono stati costretti, come a Treviso, a chiudere parte del centro storico per evitare ingorghi pedonali. Insomma, sembra anche che molti degli italiani, assieme a molti dei loro rappresentanti, abbiano perso quella caparbietà che aveva caratterizzato la prima ondata e reso possibili i sacrifici del lockdown primaverile, quando il refrain era “Andrà tutto bene”. 

Le persone morte per il Covid-19 a Schio (foto dal Giornale di Vicenza)

Ora, invece, non va per niente bene, e Zaia lo ha capito (e forse lo aveva capito da molto tempo). E, da politico navigato qual è, con un doppio salto mortale carpiato ha invertito la tendenza divenendo artefice della linea dura contro il virus, anche se questa decisione sarà sicuramente invisa a buona parte del suo elettorato. C’è da chiedersi se, si votasse oggi, avrebbe di nuovo quella maggioranza bulgara conseguita solo tre mesi fa.

Ma se forse lo avesse fatto prima questo avvitamento atletico, senza magari fare improbabili proporzioni e ardite operazioni matematiche in diretta, ora (e ribadiamo forse) non saremmo in questa drammatica situazione. Perché, è incontrovertibile, l’economia non può prescindere dalla salute. E, pur con tutto il rispetto e la comprensione per tutte quelle categorie economiche che a ragione protestano contro le chiusure imposte dal virus, il bene della salute è e deve essere sempre il faro che illumina chi amministra la cosa pubblica. E se questo faro è nascosto da nebbie, o peggio si spegne, allora rischiamo davvero il naufragio in un mare in tempesta.

Il Lombardo-Veneto di Zaia ultima modifica: 2020-12-17T20:45:27+01:00 da ENZO BON
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