Vi invitiamo a leggere questa riflessione critica e alcune delle proposte che noi di Venezia Manifesta abbiamo elaborato in merito all’argomento “Donne e pandemia”. Chiunque di voi voglia aggiungere qualcosa, discutere, scriverci, raccontarci la sua esperienza, qui o in privato, è la benvenuta/o. Stiamo anche cercando di organizzare un incontro aperto (dobbiamo ancora decidere la piattaforma) sull’argomento entro le prime settimane dell’anno nuovo. Speriamo che in quell’occasione possiate partecipare numerosi/e! Link alla pagina Facebook: https://www.facebook.com/veneziamanifesta/ Email: veneziamanifesta@gmail.com
Abbiamo accettato con la dovuta responsabilità le restrizioni fisiche imposte dall’emergenza sanitaria. Tuttavia vogliamo porre all’attenzione che dietro allo slogan “Io resto a casa” e alla chiusura degli spazi sociali si è nascosto quanto questo restare a casa non ha agito in modo neutro nelle nostre vite: se è stato ed è motivo di stress per tutti, lo è ancor più per le donne. È necessario dunque “svelare” i contraccolpi della pandemia sulle vite delle donne e criticare una parziale se non distorta informazione.
- Lo slogan e la pressione dei media hanno fatto circolare, come si è visto, una “retorica sulla casa”. La divulgazione di ricette, hobby e attività domestiche ha messo però in secondo piano una cruciale realtà: per le donne il posto meno sicuro è proprio la casa. Lo dimostra l’aumentare delle violenze tra le mura domestiche e l’impossibilità delle donne di poter accedere ad altri spazi, sfuggendo a un luogo insicuro, e richiedere aiuto.
- Un altro fenomeno sottaciuto è l’aggravamento del carico del lavoro di cura delle donne che si sono trovate a dover assorbire le tensioni tra le generazioni e gli squilibri psicologici causati dal confinamento, le violenze e le aggressioni sessuali, fisiche, psicologiche degli uomini che in tempo di crisi tendono a scaricare le tensioni in famiglia e soprattutto sulle donne.
- Infine, altro vissuto drammatico poco rimarcato, moltissime hanno perso il lavoro per gli effetti della crisi economica derivata dalla pandemia; alcune hanno dovuto scegliere di rimanere a casa e rinunciare al lavoro per seguire i figli in seguito alla chiusura delle scuole e sostenerli in questa reclusione psichica oltre che fisica, o per seguire parenti anziani.
È bene dunque che facciamo sentire la nostra voce di donne, a livello nazionale e locale, ribadendo che le scelte che hanno portato alle chiusure degli spazi di comunità, di cultura e di tempo libero (scuole, università, cinema, musei, teatri, luoghi per pratiche sportive) hanno gravato sulla vita delle donne, ma hanno anche reso più fragile la vita delle comunità e il benessere e l’equilibro delle persone, perché nessuno in realtà sta bene solo a casa.

Abbiamo tutti bisogno di frequentare altri luoghi e altre persone al di fuori del nucleo domestico e va ricordato che non tutti abbiamo le stesse risorse e possibilità. Le case ripropongono e accentuano le disuguaglianze sociali, possono essere infatti piccole e sovraffollate, buie, senza connessioni, prive di relazioni con l’esterno (balconi, terrazze o giardini), essere situate in periferie degradate o in luoghi disagevoli.
La retorica sulla casa, se occulta tutto il peso che le donne stanno sopportando in condizioni di restrizione fisica, pare voler inoltre cancellare l’evidente trasformazione della vita delle donne, frutto delle loro conquiste, anche nei confronti dell’uso degli spazi sociali, del loro piacere e il loro desiderio di abitare la città nella piena articolazione delle risorse e opportunità di incontro.
Ci preoccupa pertanto il deperimento ulteriore dello spazio pubblico della città, che rischia di provocare un senso di sfiducia nelle relazioni tra le persone, mentre si consolida l’immagine di una città desertificata, dove si chiudono attività, si interrompono ritmi urbani, si spengono luci: questa non è una città abitabile e sicura, men che meno per le donne.
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Non vogliamo però fermarci alla sottolineatura delle criticità ma desideriamo indicare alcuni correttivi alla situazione attuale e delle strategie di azione.
- Proponiamo pertanto che queste scelte di chiusura vadano riviste, pur nell’attenzione alle indispensabili misure di distanziamento fisico, adottando una prospettiva che miri maggiormente a considerare le esigenze quotidiane della vita degli individui, adottando inoltre uno sguardo non neutro, capace cioè di cogliere i differenti bisogni e la difesa della vita urbana e comunitaria.
- Chiediamo inoltre che ogni attenzione vada posta affinché le risorse che arriveranno dall’Europa siano utilizzate anche per superare le diseguaglianze attraverso investimenti sulla qualità della vita quotidiana, delle attività lavorative, degli spazi domestici e urbani, dei servizi pubblici e delle attrezzature collettive, perseguendo un benessere sociale generalizzato e una vita migliore in città.
- Riteniamo inoltre necessario che si introducano misure di controllo nella gestione delle risorse umane affinché si implementino i servizi e i sussidi alla persona, evitando, come sta accadendo, che siano le donne a doversi accollare le insufficienze e mancanze derivate da una pesante restrizione del welfare.
Vogliamo inoltre formulare alcune proposte pratiche per migliorare la vita comune:
- Riteniamo opportuno individuare dei luoghi (patronati, aule scolastiche e universitarie, centri civici, biblioteche, giardini, ecc.) in cui le persone, donne, uomini, giovani e bambini, anziani, possano svolgere il lavoro, i compiti a distanza, o semplicemente anche leggere un libro, fuori di casa riuscendo così ad avere uno spazio alternativo e di condivisione, predisponendo ovviamente le indispensabili misure di prevenzione al contagio.
- È indispensabile supportare maggiormente i centri antiviolenza e individuare anche altri luoghi che le donne possano frequentare per alleviare le pressioni domestiche e per condividere difficoltà, esperienze, rafforzando la rete delle donne in città.
- È opportuno realizzare piccoli presidi sanitari diffusi nella città e nei quartieri in modo da supportare le persone e allentare la pressione alle strutture ospedaliere.
- Per incrementare il benessere cittadino, mettendo a profitto l’esperienza della pandemia e tenendo conto di quanto si sia sofferto per la mancanza della restrizione e per la disparità delle case, è bene incrementare gli spazi verdi, che non vanno intesi come mero decoro urbano. E favorire le buone pratiche tra cui la cura da parte dei cittadini di piccole aree verdi a uso di giardino o orto in maniera condivisa, per accrescere l’integrazione e il senso di appartenenza comunitaria ed essere di presidio attivo al territorio.
Infine intendiamo esprimere alcune raccomandazioni per ridurre l’impatto della pandemia sugli spostamenti:
- Favorire la mobilità dolce per migliorare la qualità e gli usi dello spazio pubblico, per restituire le strade ai loro naturali abitatori: non le automobili ma le persone. In questo modo le strade saranno anche più sicure, per tutti. E migliorerà l’aria che respiriamo. Sembra invece che si stimoli a preferire l’automobile per evitare i contatti, ma la ricaduta di tale orientamento sarà un maggiore inquinamento e l’aumento dei problemi sanitari.
- Abbiamo visto quanto si sia contratto il servizio di trasporto pubblico: ma le condizioni sanitarie negli orari di punta sono diventate assai critiche e pericolose, ed è necessario monitorare i bisogni e le condizioni di trasporto, assicurando una cadenza regolare delle corse dei mezzi di trasporto pubblico in tutte le fasce orarie e adeguare la frequenza in modo da garantire sempre le distanze di sicurezza. Ricordiamo inoltre che la rarefazione del trasporto pubblico che si concentra in alcuni orari rende insicuri gli spostamenti di chi non può viaggiare in auto e le donne, specie le anziane e meno abbienti, sono tra l’utenza abituale.

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