“Pronti a trattare per un fronte contro Bibi”. Parla Ayman Odeh

La prospettiva di nuove elezioni anticipate, le quarte in due anni, si fa sempre più realistica in Israele. In questa intervista a ytali il leader della Joint List, la Lista Araba Unita, terza forza alla Knesset, si dice disponibile a sedersi al tavolo con Gantz per costruire una proposta alternativa di governo.
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
Condividi
PDF

Cosa rappresenti Benjamin Netanyahu non lo scopriamo di certo oggi. Il suo cinismo personale è pari alla spregiudicatezza politica che ha manifestato anche in questa drammatica crisi pandemica. Ma l’amara verità è che se Netanyahu continua a esercitare il potere è anche perché si trova di fronte una opposizione divisa, incapace di far prevalere le ragioni dell’unità sulle logiche di fazione. Quando le opposizioni si uniscono, com’è avvenuto recentemente in un’importante votazione parlamentare, riescono a mettere in minoranza Netanyahu.

Ad affermarlo, in questa intervista esclusiva concessa a ytali, è Ayman Odeh, leader della Joint List, la Lista Araba Unita, terza forza alla Knesset, il parlamento d’Israele. Sulla prospettiva, sempre più realistica, di nuove elezioni anticipate, le quarte in due anni, un vero record mondiale, Odeh ha idee molte chiare:

Continuare con l’attuale governo è condannare a morte Israele. Spero che Benny Gantz (leader del partito centrista Kahol Lavan, Blu e Bianco e attuale ministro della Difesa, ndr) abbia finalmente preso atto del suicidio politico compiuto stringendo un patto di governo con un uomo, Netanyahu, che i patti non li ha mai rispettati. Per quanto mi riguarda, non sono interessato a rivincite personali o a tribunali politici. Se Kahol Lavan stacca la spina a questo governo e intende costruire con noi una proposta alternativa di governo al Paese, siamo pronti a sederci ad un tavolo. La lezione del passato deve servire a tutti. Come dice un vecchio adagio: errare è umano, perseverare è diabolico.

Ayman Odeh solidarizza con la protesta dei ristoratori

In piena crisi pandemica, tutt’altro che risolta, in Israele si fanno sempre più concrete le possibilità di una crisi di governo che aprirebbe la strada a nuove elezioni anticipate, le quarte nel giro di due anni. C’è chi sostiene che andare a nuove elezioni in questo drammatico frangente sarebbe da irresponsabili. Lei si sente tale?
Per niente. Irresponsabile è un primo ministro che ha gestito in modo dissennato l’emergenza virale, passando da una sciagurata sottovalutazione della pandemia a chiusure condizionate dai ricatti dei partiti ultraortodossi che lo sostengono. Netanyahu ha irriso, insultato, messo alla gogna gli esperti perché hanno osato stigmatizzare l’azione, o l’inazione, del governo. Di fronte alle accorate grida d’allarme ripetutamente lanciate dal personale medico e sanitario del Paese, ha risposto picche, salvo poi farsi immortalare dalle tv mentre si sottoponeva al vaccino. In questo comportamento c’è tutto Netanyahu: il suo uso spregiudicato della comunicazione, l’affermare tutto e il contrario di tutto, sobillare la piazza contro sedicenti golpisti, che di volta in volta acquisiscono le sembianze di magistrati, poliziotti, medici, infermieri, oltre naturalmente che degli oppositori politici. Lui ha in testa una sola cosa, diventata un’ossessione…

Quale sarebbe questa ossessione?
Non andare a processo. Ergersi al di sopra della Legge, contrapponendo il consenso popolare alle regole che e alle norme proprie di uno stato di diritto. Come se il consenso elettorale, comunque di una minoranza, garantisse di per sé l’impunità. Il suo modo di pensare e di agire è quello di un autocrate piuttosto che di uno statista democratico. Lui non è alla ricerca di alleati ma di sodali e chi, anche all’interno del suo partito (il Likud, ndr), prova a contestarne l’operato viene messo alla gogna e costretto ad andarsene, come è successo recentemente a Gideon Sa’ar (ex ministro fuoriuscito dal Likud in polemica con Netanyahu, che ha annunciato l’intenzione di dar vita a una nuova forza politica di destra moderata, ndr).

Ayman Odeh con il nuovo ambasciatore di Norvegia in Israele Kåre R. Aas

Resta il fatto che se Netanyahu governa è perché in parlamento continua a poter contare su una maggioranza, più o meno risicata. Questo vuol dire che c’è un progetto condiviso almeno da 61 eletti dal popolo (i parlamentari in Israele sono 120, ndr).
Lei parla di programmi, di visione, di progetto. È troppo ottimista. L’abilità di Netanyahu è quella di saper realizzare patti di potere, di essere un imbattibile distributore di posti di governo e di sottogoverno, di usare il denaro pubblico per sfamare gli appetiti dei partiti a lui più fedeli, a cominciare da quelli ultrareligiosi. Per non parlare poi dei coloni. Invece di investire nella sanità pubblica, invece di realizzare un piano straordinario di sostegno a quanti, aziende, lavoratori, hanno perso tutto per la crisi innescata dal Covid, Netanyahu ha continuato a finanziare l’allargamento degli insediamenti voluto dall’estrema destra e a sostenere le scuole, i centri di assistenza dei partiti religiosi. 

Lei parla di patti di potere. È anche quello stretto da Netanyahu con il suo ex rivale Benny Gantz?
Da avvocato, prima ancora che da politico, rifuggo dai processi alle intenzioni. Resto ai fatti. Gantz ha giustificato una scelta che ha spaccato la coalizione di cui era a capo, sulla base della necessità di non lasciare Israele senza un governo nel pieno possesso di tutte le sue prerogative, di fronte alla drammatica emergenza del Covid-19. Prendo per buona questa giustificazione, ma aggiungo subito che per coerenza, vista la disastrosa conduzione della crisi da parte del governo di cui fa parte, e per responsabilità acclarata di chi lo guida, Gantz avrebbe dovuto trarre già da tempo le dovute conclusioni, staccando la spina. Un atto dovuto, tanto più che non è solo sul coronavirus che Netanyahu ha umiliato il suo partner.

Cos’altro ancora?
L’elenco sarebbe molto lungo. Le faccio i due esempi più eclatanti. Il bilancio dello Stato, definito, e portato alla visione e al voto del Parlamento, per l’arco di due anni. Netanyahu si è impuntato per un solo anno. E’ un fatto politico sostanziale, non formale. Perché tra un anno dovrebbe scattare il “patto della staffetta” che dovrebbe portare Gantz alla carica di Primo ministro. Netanyahu quella staffetta non intende rispettarla. Per evitarla è disposto a tutto, anche a nuove elezioni. Potrebbe prenderla in considerazione solo se ha la garanzia dell’approvazione di una legge che gli garantirebbe la non processabilità fino a quando svolgerà funzioni di governo e istituzionali. Un ricatto vero e proprio. Allo stato di diritto, al sistema democratico, prim’ancora che al suo partner principale di governo.

E il secondo esempio?
Riguarda un altro campo cruciale: quello della politica estera e di sicurezza. Nel governo, Kahol Lavan ha la guida della Difesa, con Gantz, e degli Esteri, con Gabi Ashkenazi. Ebbene, nella vicenda degli Accordi di Abramo (gli accordi di pace tra Israele ed Emirati Arabi Uniti e Bahrein, ndr) Netanyahu ha completamente emarginato sia Gantz sia Ashkenazi, fino a escluderli dalla delegazione israeliana alla cerimonia della Casa Bianca. Non basta. La stampa ha rivelato che nel viaggio “segreto” in Arabia Saudita, nel quale si sarebbero discusse importanti questioni legate alla sicurezza, ai cyber attacchi e altro, Netanyahu si è fatto accompagnare dal capo del Mossad e altri funzionari ma non dal ministro della Difesa e da quello degli Esteri. Come dire: su questioni di tale portata, voi non toccherete palla. Se non è umiliazione questa.

Ayman Odeh partecipa, lo scorso agosto, alla marcia contro la violenza e la criminalità nelle comunità arabe, da Haifa a Gerusalemme, contro l’inadeguato controllo della polizia.

Negli ultimi tempi, però, Gantz sembra aver alzato i toni e sbattuto, metaforicamente parlando, i pugni sul tavolo. La pazienza ha un limite…
Più che la pazienza ha un limite la presidenza del grande amico e protettore di Netanyahu: Donald Trump. Non c’è stato un atto, una dichiarazione, nei suoi quattro anni di presidenza, che non siano serviti a rafforzare non Israele ma Netanyahu e la destra più oltranzista. Lo spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme, l’affermazione che le alture del Golan sono parte inalienabile dello Stato d’Israele, fino al cosiddetto “Piano del secolo”, tutto è stato funzionale a distruggere la possibilità di una pace con i Palestinesi fondata sulla soluzione a due Stati. E anche i tanti esaltati “Accordi di Abramo”, le paci separate con chi peraltro in guerra con Israele non è andato mai, sono finalizzati a dimostrare che la stabilità del Medio Oriente non passa per la soluzione della questione palestinese, di cui si può fare a meno visto che sarebbero altre le priorità. Ora, grazie al voto della maggioranza degli elettori americani, la presidenza Trump sta per finire…

Sì, ma Joe Biden non si può certo definire un presidente con la kefiah in testa…
E chi lo pensa! La storia dimostra che l’alleanza tra gli Usa e Israele è un legame che ha accomunato presidenti democratici e repubblicani. Ma Trump è andato ben oltre. A Biden non chiediamo di parteggiare, ma di essere un onesto mediatore, un attivo facilitatore di una ripresa dei negoziati di pace con la dirigenza palestinese. Non credo che sia chiedere la luna, o no?

Lei parla di una coalizione anti-Netanyahu. Un tema che ricorre da tempo immemore, intanto, però, a entrare in crisi non è stata la destra ma la sinistra: il partito laburista, ridotto ai minimi termini, il Meretz che non decolla…
Non intendo glissare la domanda, mi lasci però premettere, e non è certo una giustificazione, che anche in Europa non mi pare che le forze di sinistra sprizzino salute e passino da un trionfo all’altro.  Dico questo perché credo che esista un problema comune che va oltre i singoli casi: la sinistra perde e continuerà a farlo, se non è capace di proporre una visione, un progetto, un’idea forza capace di far sognare, di mobilitare energie nuove, soprattutto i giovani. Se la sinistra continua a rincorrere la destra sul suo terreno, se continua a giocare di rimessa, a perdere ogni legame con le fasce più povere e disagiate della società, è una sinistra senza futuro. E non solo in Israele.


ytali è una rivista indipendente. Vive del lavoro volontario e gratuito di giornalisti e collaboratori che quotidianamente s’impegnano per dare voce a un’informazione approfondita, plurale e libera da vincoli. Il sostegno dei lettori è il nostro unico strumento di autofinanziamento. Se anche tu vuoi contribuire con una donazione clicca QUI


“Pronti a trattare per un fronte contro Bibi”. Parla Ayman Odeh ultima modifica: 2020-12-22T19:41:41+01:00 da UMBERTO DE GIOVANNANGELI
Iscriviti alla newsletter di ytali.
Sostienici
DONA IL TUO 5 PER MILLE A YTALI
Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE:

Lascia un commento