Pasquale è un uomo che vive per strada, tra noi.
Ha scelto di stare dove Venezia assomiglia di più a una città normale, nel luogo di transito per eccellenza, segnato dalla presenza delle automobili, dal traffico degli autobus e dei tram e dal flusso di persone che salgono, scendono, riempiono e svuotano alternativamente Piazzale Roma.
Dove c’è sempre gente. Anche la sera, lì non mancano persone che attraversano la strada di fretta correndo a inseguire l’ultimo vaporetto o nullafacenti che indugiano sapendo di trovare chioschi sempre aperti per l’ultimo bicchiere e qualcuno con cui scambiare due parole. Piazzale Roma è un mondo intero, che parla d’acqua e di terra, di ozio e di frenesia, di odore di scappamento e alito salmastro.
E ha una natura transitoria come spetta al movimento, si può sempre fuggire, andarsene, da lì, a piedi o con uno dei mezzi di trasporto che la fanno da padrone in quel luogo.

A differenza di ogni altro barbone o clochard (ma Pasquale non si può inserire in questa categoria), lui non ha scelto un riparo nascosto, un portico, un luogo solitario. No, lui ha scelto di stare in mezzo alla gente, pure nelle ore di punta; non rifugge la compagnia ma sembra invece ricercarla, voler essere presente. Osserva chi passa, richiama attenzione, chiede confidenza. È facile fare amicizia con lui, altro aspetto che non lo fa assomigliare agli altri che vivono sulla strada. È una presenza che si è imposta pian piano nel ritmo ordinario della città e del suo maggiore punto di passaggio, è divenuto una “figura” del luogo. Lui è il nostro testimone. E sovente ironizza benevolmente.
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Se alcune sue caratteristiche mi avevano già colpito, è stato durante i mesi della primavera del lockdown che mi è apparso sotto un’altra luce. Il piazzale era un deserto silente. Mi recavo a prendere il giornale e a mettermi in coda nel vicino supermercato e lui, ogni volta, mi chiamava: “capo, resistere” e stringeva i pugni a rafforzare quella sua esortazione. Grande, vestito di poco e sopravvivendo con poco, senza mai mendicare, povero di beni e dalla vita precaria, lui infondeva coraggio a me e ad altri passanti. Ed esercitava una sorta di protettrice signoria su quel luogo ormai svuotato di movimento ed energia. A ogni transito si rinnovava il suo incoraggiamento a sperare e a credere. Una lezione che non scordo, insieme al suo sguardo buono.

“Capo, resistere!”.
Qualcuno gli ha regalato una tenda a igloo e se anni prima con le sue infinite borse, cartoni e sacco a pelo la sera si metteva a fianco dell’entrata del garage comunale, ora la sua tenda campeggia in bella vista all’entrata del Tribunale. La monta la sera e la toglie di mezzo la mattina, prima che inizino le numerose attività degli uffici giudiziari. La domenica resta “a letto” di più, non deve cedere il passo agli agenti, agli avvocati e alla folla che assiepa il tribunale.
Una convivenza su cui riflettere. Come è stata possibile proprio in questo luogo presieduto dalle forze di polizia? Merito della personalità di Pasquale, sempre sobrio, in qualche modo rassicurante seppur indomito? O si tratta di un laissez faire tipico di una certa tradizione veneziana? O è espressione di una modalità di accettazione del diverso da sé che la città sa coniugare?
Vorrei sperare che fosse così. Pasquale è però un bianco, un italiano tornato dalla Germania, non appare poi così diverso da noi. Se il colore della sua pelle fosse stato diverso, l’indulgenza sarebbe stata la medesima? Le forze di polizia che attorniano il tribunale avrebbero reagito ugualmente? E i vigili del Comune?
Intanto l’amministrazione comunale fucsia ha preso gusto a smantellare tutta la struttura di accoglienza e i percorsi di integrazione per cui negli anni precedenti Venezia aveva costituito un riferimento imprescindibile a livello nazionale, un modello a cui ispirarsi. L’ultimo atto è stata la chiusura del centro di accoglienza Darsena per richiedenti asilo posto in centro storico che aveva preso avvio nel lontano 2001, parte del progetto Fontego, sotto la direzione del ministero dell’Interno con l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e l’Associazione nazionale dei Comuni italiani.
Anche oggi passerò da Piazzale Roma e saluterò Pasquale che sarà come sempre al suo posto, che in realtà non è un posto, e lui ricambierà. E così facendo in qualche modo rappresenterà una convivenza possibile e una “sicurezza” di tutt’altro genere.

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