L’appello di ytali contro la chiusura dei musei civici di Venezia fino ad aprile sta riscuotendo, come si può vedere, un notevole successo. Credo che esso segnali, oltre che la doverosa solidarietà per i lavoratori dei musei cittadini, anche la preoccupazione per il venir meno della funzione dei nostri musei e che quindi non sia inutile ripensare a “cosa servono” i musei. Perché, per dirlo in poche parole – lo ricorda anche Settis nell’articolo che ytali opportunamente richiama – i musei servono a pensare. A pensare pensieri nuovi, sentimenti inaspettati, fantasie improvvise, desideri riformulati, che spingono non solo a concepire l’umanità in modo diverso dall’abituale ma anche a rivedere e rielaborare le relazioni tra sé e gli altri, sia rinsaldandole nel momento in cui si condivide l’estasi di fronte a un capolavoro, sia ricreandone le possibilità attraverso identificazioni con le persone o le situazioni rappresentate nelle opere d’arte. La funzione dell’arte è quella di favorire lo sviluppo del pensiero.

Il che pone un immediato problema politico. Perché ci deve porre il quesito relativo al “di chi” favorire lo sviluppo del pensiero. A parole, ovviamente, nessuno nemmeno oggi avrebbe il coraggio di sostenere che bisogna inibire lo sviluppo del pensiero di alcune categorie di persone e che bisogna invece favorire quello di altre ma di fatto è così, nonostante il non mai abbastanza citato secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione della Repubblica, quello che indica come “compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli […] che impediscono il pieno sviluppo della persona umana” e il collegato articolo 9 che stabilisce che “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”. È terribile ma è così.
Se ne vedano le implicazioni con la questione non solo veneziana del turismo: è molto diverso cercare di favorire in tutti i modi un “turismo da schei” o invece sviluppare progetti e programmi finalizzati a consentire a tutti i cittadini l’utilizzo dell’arte e, appunto, il collegato sviluppo del pensiero. Forse ci si dovrebbe chiedere anche se il vituperato turismo “mordi e fuggi” non sia anche il turismo di chi non può permettersi il soggiorno al Gritti ma nonostante tutto vuol compiere un’esperienza “veneziana”, intesa come fruizione anche momentanea, rapida, fuggevole, di una realtà cittadina e artistica che, proprio perché diversa da quella quotidiana, spinge a pensare, a provare piacere, a interrogarsi sulla possibilità di vivere e pensare diversamente dal solito.
Come incentivare allora per costoro la visita al Museo Correr o al Fortuny? Come spingerli a incantarsi davanti ai ritratti dei Dogi in Palazzo Ducale? Come favorire una riflessione sul “come stiamo cambiando” attraverso una visita a Ca’ Pesaro o, quand’è aperta, alla Biennale? Beh, innanzitutto tenendo aperti i musei, verrebbe da dire. Sì, ma non basta, non basta. Occorrono incentivi economici (gratuità in molte occasioni) e non solo, come alcuni progetti e programmi già attuati anche da privati, alla Fondazione Guggenheim (anche per bambini) o al teatrino di Palazzo Grassi.

Thomas Bernhard, in quel capolavoro che è Antichi maestri, descrive i pensieri e le vicissitudini di un personaggio che per anni, al Kunsthistorisches Museum di Vienna si siede a contemplare l’Uomo dalla barba bianca di Tintoretto. Bernhard è un maestro della iperbole e della esasperazione ma forse dovremmo pensare che ci sta mostrando in modo ineludibile quella che è l’esperienza psicologica di ciascuno di noi davanti ad un’opera d’arte. Penso che dovremmo fare in modo che tutti – indipendentemente dalle condizioni di censo, di cultura di base, di propensioni individuali – abbiano la possibilità di compiere quell’esperienza, magari anche sotto le false sembianze di uno sguardo distratto alla Tempesta di Giorgione o alla Madonna Nicopeia di S. Marco. La possibilità di pensare pensieri nuovi.
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Così s’uccide la cultura a Venezia. Appello in difesa dei musei civici : grazie se vorrete inserire anche il mio nominativo tra i sostenitori del vostro appello. Anna Baldin (igroscopico@gmail.com)