Dopo la scelta drastica di Luigi Brugnaro di chiudere il sistema museale della città, equiparandolo a un servizio a esclusiva funzione turistica, ytali ha lanciato un appello al sindaco inviandolo a tornare sulle sue decisioni e a promuovere una discussione aperta. L’appello, anche in inglese e in francese, ha raccolto seimila firme e ottenuto oltre quarantamila visioni, mentre continuano ad arrivare nuove adesioni e anche i media internazionali danno conto della nostra iniziativa, ultimo in ordine di tempo l’importante rivista Forbes. La nostra iniziativa ha suscitato anche diverse prese di posizione e favorito altre iniziative analoghe. In questa sede intendiamo tenere aperto il dibattito. Oggi ospitiamo, qui di seguito, il contributo di Daniele Giordano, Cgil Venezia.

Per la seconda volta dentro questa drammatica pandemia ci troviamo di fronte a una scelta grave e incomprensibile che viene assunta dal sindaco di Venezia in merito alla chiusura di tutta l’attività della Fondazione Musei civici.
La prima volta è accaduto nel giugno dello scorso anno quando a fronte di una possibile riapertura prevista dai decreti del presidente del consiglio la Fondazione Musei sceglieva, sempre su indicazione del suo “azionista”, di tenere praticamente tutto chiuso sino al mese di settembre.
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Di fronte a quella scelta vi fu un’immediata risposta dei lavoratori che si mobilitarono e vi furono numerosi appelli, anche da grande parte del mondo della cultura, per una ripresa dell’attività.
Come Cgil organizzammo anche un presidio proprio davanti a Palazzo Ducale per denunciare quanto stava avvenendo e l’esigenza di un cambio radicale nelle scelte della Fondazione.
Dopo quelle proteste venute da più parti la Fondazione Musei fu costretta a rivedere le sue scelte e a riaprire, seppur gradualmente, gran parte delle attività.
Il 2020 è stato anche per i lavoratori della Fondazione Musei e per coloro che operano nel sistema degli appalti un anno molto difficile. Difficile perché la quasi totalità è stata messa in cassa integrazione con percentuali che hanno oscillato tra il cento per cento e il cinquanta per cento a seconda dei settori, dei compiti e della chiusura o meno delle strutture.
Una perdita salariale per molte famiglie che in più di un caso li ha costretti a chiedere di anticipare il loro TFR per arrivare alla fine del mese, in altri casi ad abbandonare Venezia per i costi insostenibili di vivere una città come questa senza poter lavorare.
Questo, senza voler divagare, pone comunque in parte anche il tema di come sempre più lavoratori della città d’acqua non possano permettersi di viverci per i suoi costi e per i salari, spesso bassi o precari, che percepiscono.
In tutto questo l’emergenza sanitaria è proseguita e il governo ha deciso, personalmente ritengo sbagliando, di richiudere i Musei al pubblico e si è arrivati al mese di dicembre nella speranza che il 2021 determinasse una ripresa dell’attività.
Sono rimasto del tutto esterrefatto quando a metà di dicembre ci è stato comunicato che tutta l’attività sarebbe stata congelata sino al 1 aprile 2021 mettendo tutto il personale in cassa integrazione al cento per cento.

Nessun dibattito, confronto o proposta alternativa, se non la nostra proposta di accedere al Fondo Nuove competenze, ma solo l’applicazione delle direttive del “padrone” della Fondazione che evidentemente, a differenza di quanto dichiara molto spesso, preferisce usufruire di tutti i contribuiti pubblici possibili anziché usare questi mesi per programmare un rilancio dell’attività.
Nel dibattito che si è aperto però serve ribadire che l’attività della Fondazione Musei non è solo quella di “aprire i portoni” per far accedere i visitatori, ma quella di costruire un’offerta culturale su solide basi scientifiche all’altezza della nostra città che non può essere congelata come nulla fosse senza pensare che questo non produrrà enormi danni alla capacità di ripresa e rilancio.
Se il Comune di Venezia non è in grado di garantire tutto questo è meglio consegnare nelle mani dello Stato la gestione della Fondazione. Questa provocazione serve a dire che è venuto il momento di affrontare una discussione seria, su quale modello di gestione risponda alla garanzia di assicurare un servizio pubblico essenziale come quello della cultura.
Serve aprire una riflessione sull’autonomia della Fondazione, sul suo statuto, sulla sua missione, su come vengono individuati e scelti i componenti del Cda e sulla convenzione con l’amministrazione comunale. Perché non prevedere una call a carattere internazionale per comporre i componenti del Cda da far poi nominare al Consiglio comunale con una maggioranza qualificata, che costringa le forze politiche a individuare persone di chiara professionalità e competenza, rispetto alla pluralità di saperi necessari in questo ambito, che siano riconosciute da tutti gli schieramenti? A questo aggiungerei un componente individuato dal personale dipendente che possa, come in altri modelli di gestione, portare il punto di vista di chi quotidianamente ha a che fare con il nostro patrimonio artistico e culturale.
La cultura può essere uno dei settori in cui sperimentare anche nel nostro paese, come fatto ad esempio per il Cda Rai, di meccanismi di partecipazione reale dei lavoratori.
Serve anche un coinvolgimento puntuale e obbligato del Comitato Scientifico, che non può essere solo una vetrina ma deve avere un ruolo maggiore nelle linee di indirizzo della Fondazione. Serve definire una convenzione che ribadisca l’utilizzo esclusivamente culturale e scientifico degli spazi e che eviti, come in questi ultimi anni, la chiusura dei Musei per eventi che poco hanno a che fare con la loro missione. Serve una convenzione che rimetta al centro il ruolo pubblico della Fondazione e la responsabilità in solido del Comune, rispetto alla gestione, sul personale o, come doveva essere, sugli appalti dove invece sono avvenuti licenziamenti senza che il Comune muovesse un dito.
La Fondazione non può trasformarsi in uno strumento per scaricare gli oneri fuori dall’amministrazione comunale che si deresponsabilizza sia sul piano della programmazione che della gestione. Serve un progetto di rilancio che preveda una gestione diversa da quella in essere. Serve riprogettare l’offerta culturale della città che identifichi i “distretti” della cultura in cui vi sia un nuovo rapporto con il territorio. Deve esserci una interconnessione tra il nostro patrimonio culturale, ambientale e museale che dando nuova vita alla complessità del nostro territorio sappia intrecciare per “distretto” la diversa offerta della città. Dobbiamo essere in grado di coinvolgere le istituzioni scolastiche, le università, le istituzioni religiose e gli altri musei pubblici e privati, valutando anche sperimentazioni come quella del “chilometro dell’Arte”.
Per immaginare una cultura della città serve connettere ad esempio il distretto dell’Area Marciana con la Biennale o i Giardini Reali e le istituzioni culturali presenti in quell’area, per la terraferma connettere Forte Marghera con il parco San Giuliano e sempre per la terraferma aprire una riflessione sul rapporto tra M9 e il centro Candiani.
Rilanciare anche l’attività dei Musei esterni all’Area Marciana sempre dentro una logica che li connetta al tessuto territoriale su cui vivono e che, proprio perché meno centrali anche per l’interesse turistico, diventino invece un pezzo di quella cultura cittadina che si interfacci anche con le nostre istituzioni scolastiche. Una nuova idea di rete che s’intrecci ad esempio anche con la Comunità ebraica e il suo Museo, che è parte della nuova idea di cittadinanza che dobbiamo costruire.
Guardare anche ai parchi o alle oasi che riguardano la laguna come un pezzo della nostra offerta culturale è sempre più necessario, in parte è stato fatto con il Museo di Storia naturale ma senza mai divenire una priorità. Sono solo alcuni esempi per rappresentare l’esigenza di una costruzione della cultura da offrire alla città che è molteplice e che vive sui luoghi, sugli spazi e sulla possibilità di vivere la bellezza della complessità di Venezia.
Questa visione della cultura cittadina non è in antagonismo a una visione che si rapporta al turismo ma è una precondizione per non costruire una cultura del turismo. Una gestione troppo centralizzata della Fondazione che deve invece tornare a essere uno strumento di decentramento gestionale per dare vita a quelle connessioni culturali che possono rafforzare il tessuto civile della città.

La Fondazione che “gestisce i musei” è uno strumento che a mio avviso non è più al passo con i tempi e deve evolversi assumendo la capacità di essere un soggetto che costruisce le connessioni culturali di Venezia. Per questo si potrebbe lavorare su un’ipotesi che nella gestione della Fondazione identifichi più distretti, a seconda degli intrecci territoriali che si vogliono costruire, e rimoduli su questa base il ruolo e il sistema di lavoro della Fondazione nell’intreccio con il Comune e le altre istituzioni culturali della città.
Le fondamenta della Fondazione devono essere riscostruite su cinque pilastri che devono essere: storia, arte, cultura, scienza e ambiente.
Mettere dei pilastri nuovi vuol dire ridare stabilità e certezza a una città che sta perdendo la sua identità e il suo sistema di valori condiviso e che, proprio attraverso una nuova rete che mette al centro i saperi, può ricominciare a essere motore di cambiamento culturale e sociale.
Noi siamo sempre stati sostenitori di una gestione territoriale della nostra offerta culturale che non può però discostarsi dalla funzione di servizio pubblico dei musei.
A livello globale la pandemia ha costretto tutti i soggetti istituzionali delle grandi città della cultura ad aprire un dibattito che parli di sostenibilità, turismo consapevole, gestione dei flussi, equilibrio tra cultura e economia, identità locali, tutela ambientale e capacità di innovazione e progettualità che coinvolga in modo determinante il territorio e i suoi cittadini. A Venezia, anche in queste ore, assistiamo invece a prese di posizione dell’amministrazione comunale che non mette in alcun modo al centro il ruolo determinante di una ripresa sociale ed economica che passi anche dalla cultura ma che ripropone solo il tema dell’industria turistica come unico motore economico.
I musei civici sono custodi di inestimabili beni storico-artistici e naturalistici, della memoria e dell’identità civica della nostra città, di una ricchezza che appartiene all’umanità intera.
Le finalità primarie della Fondazione sono: tutela, conservazione e promozione, educazione e studio, pubblica fruizione e, infine, apertura al pubblico. È da qui che bisogna ripartire.
Questi sono solo alcuni degli interrogativi che riteniamo utile porre all’attenzione di tutti e come Cgil saremo in campo per difendere il nostro patrimonio artistico, culturale e scientifico e dare un futuro diverso alla nostra città.
Copertina: Flashmob dei lavoratori del sistema Musei civici per chiederne la riapertura immediata, 14 luglio 2020

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1 commento
Il nostro è un patrimonio enorme, unico, al mondo ma purtroppo dipendiamo da incompetenti a cui interessa solo se stessi usando x i loro sporchi interessi lo stesso patrimonio di tutti e a spese nostre.