Venezia wanted viva o morta

La pandemia che svuota la città e ne desertifica le attività nel dilemma tra vita e morte che attanaglia i suoi abitanti.
LUCIE TOURNEBIZE
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Con l’anno nuovo, giriamo pagina interrogandoci sul futuro. Cosa ci porteranno i mesi ancora a venire? Mi sono rivolta questa domanda pensando a Venezia. Cosa succederà, cosa sta succedendo, nella città “abbandonata dai turisti”, come oramai viene definita la città sulla stampa nazionale o estera? Intorno a questi interrogativi s’intrecciano varie narrazioni, che ci raccontano Venezia in maniera diversa. C’è chi proclama la morte della città e chi invece vuole sottolineare quanto sia ancora viva. Wanted, Venezia, viva o morta!

Venezia è morta…

L’ho letto per la prima volta su instagram, scritto in stampatello: Venezia è morta. Dietro allo slogan, un account con lo stesso nome, che si declina sui vari social network e attraverso un sito internet. In un breve video, inquadrando serrande abbassate, locali in vendita, bar e ristoranti deserti, Venezia si mostra lanciando un grido di agonia. 

Bastano pochi clic per trovare il manifesto, che proclama la morte di Venezia, diventata un non-luogo, una non-città: spopolata, in mano ai peggiori speculatori. Colpevoli i veneziani stessi, che hanno venduto la città a chi offre di più. Preso atto della morte di Venezia, gli autori c’invitano a occupare le strade:

non per ballare sulle macerie, ma per godere di questa bellezza, ridare uno scopo a questa città e alla nostra vita, fino alla morte.

Non fraintendetemi, Venezia non è l’ennesima vittima della pandemia: per gli autori del manifesto, è morta tempo fa.

Venezia avrebbe quindi smesso di emettere segnali vitali? Alla domanda che ho rivolto loro, gli autori del manifesto mi rispondono via email, volendo rimanere anonimi:

Venezia non attrae persone ed energie, tende a rigettarle e la sua mono-economia facile preda di speculatori e malavita internazionale ha creato un tessuto economico-sociale molto fragile e precario. Le idee ci sono, i progetti ci sono, le associazioni pure, la vitalità c’è, ma è come se i progetti vivi non riescano a creare sinergia con strumenti adeguati che permettano di produrre nuovi progetti costantemente.

Essere un parco giochi archeologico a cielo aperto, nel quale chi ci vive nella maggioranza dei casi può ambire a fare il cameriere a ottocento euro al mese, o il lavoratore in nero in qualche realtà senza poter mettere in campo un progetto personale, è vita? Secondo noi no. 

Difficile dare loro torto quando si è sperimentato sulla propria pelle la precarietà del lavoro a Venezia, dove la partita IVA e le ritenute d’acconto fungono il più delle volte da contratto d’affitto, così da poter seguire meglio la legge dell’offerta e della domanda turistica. Un fenomeno che s’estende fino ai musei comunali, dove una parte dei lavoratori non ha un contratto ma lavora in proprio, rimanendo quindi tagliata fuori dalla cassa integrazione. 

…viva Venezia! 

Contrapponendosi a questo discorso sulla morte di Venezia, le calli della città si sono riempite di messaggi positivi, esclamando Venezia è viva!, iniziativa di un gruppo di abitanti che invitano i veneziani e le veneziane ad appendere una bandiera alla finestra “per non essere dimenticati”, come dicono sulla loro pagina Instagram.

Questa necessità di sottolineare la propria esistenza (come se non fosse evidente che a Venezia qualcuno ancora c’è) e quella della città è condiviso da Philippe e Ilona Gault, autori di un podcast in francese Ici Venise, che ho potuto intervistare.

Il discorso sulla morte di Venezia è storia vecchia: già alla fine dell’Ottocento se ne proclamava la morte.

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Piuttosto che partecipare alla litania funeraria, che “contribuisce a seppellire la città più che a farla vivere”, il duo padre-figlia preferisce sottolineare la vitalità della città, che osservano ogni giorno intorno a casa durante le loro passeggiate. 

Per loro, affermando che la città è morta

si dà legittimità a politiche che non prendono in considerazione la realtà della città.

Bisognerebbe quindi “ripoliticizzare il desiderio di Venezia, attraverso le narrazioni”. Così, sarebbe controproducente affermare che Venezia è morta, perché vorrebbe dire che non c’è più niente da fare… e perso per perso, tanto vale sfruttarne le ricchezze fino all’esaurimento totale. Una descrizione che mi ricorda certe politiche pubbliche degli ultimi anni. La decisione di mantenere i musei chiusi fino ad aprile, data in cui si spera di rivedere i turisti, non ne è che la più recente e cinica manifestazione.

Tra vita e morte 

Personalmente, sono combattuta tra le due narrazioni. Da una parte, Venezia conta più abitanti del numero ufficiale di residenti registrati. La sua desertificazione reale o supposta, che ne segnerebbe la morte, è quindi difficile da misurare. I suoi abitanti s’impegnano con passione nella vita della città, attivandosi laddove manca l’impegno delle istituzioni: solidarietà, cultura, aiuto tra singoli e famiglie…

Ma è difficile gridare “esisto” o appendere alla finestra “Venezia è viva” quando si ha difficoltà già nel mettere radici durevoli in città. Quando abitavo ancora a Venezia, prima di scegliere di andare via proprio per la mancanza di possibilità di alloggio, avevo spesso la sensazione che la città mi respingesse, invece di accogliermi. Il posto che mi riservava, se anche esisteva, era marginale: per i meno ricchi non c’è molto di più che case al piano terra, che s’allagano alla prima acqua alta, calli in cui non batte mai la luce e appartamenti umidi in preda alla muffa. Quando uno si trova in questa situazione, è seducente dichiarare la morte di Venezia. Bisogna però superare questa narrazione per poter proporre qualcosa di costruttivo. Ed è infatti così, nella convinzione che bisogna attivarsi, che convergono visioni di Venezia città viva e Venezia città morta. 

Riempire i vuoti

In ogni crisi c’è un’opportunità.

A Venezia si sta aprendo un vuoto enorme, e quando si apre un vuoto qualcuno lo riempie. O lo riempiono speculatori e malavita organizzata, che hanno grandi capacità economiche e non vedono l’ora di far ripartire tutta la macchina del turismo di massa, o lo riempiono le persone di buona volontà, che credono visceralmente nell’idea di una città vivibile e ricca di opportunità, attività imprenditoriali e progetti,

conclude Venezia Morta.

Per poter, ce lo auguriamo, rinascere staccando la flebo della manna economica del turismo di massa. Faccio fatica, però, a immaginarmi un tale cambiamento senza volontà politica e senza l’impegno di chi ha patrimonio economico: altrimenti, come sperare in una transizione?


Reportage fotografico di Andrea Merola

Venezia wanted viva o morta ultima modifica: 2021-01-16T20:53:46+01:00 da LUCIE TOURNEBIZE
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