Tre uomini di mezza età, bianchi ed eterosessuali, tutti e tre originari dello stesso Land (la Renania Settentrionale-Vestfalia) si sono giocati la prima tappa della corsa alla successione di Angela Merkel, la quale, a partire del prossimo 26 settembre, non sarà più cancelliera. Dopo sedici anni in cui la Germania è stata governata da una donna, che ha saputo, con relativo successo, instillare una dose di progresso nella politica tedesca e nel suo partito (conservatore), la sfida per la presidenza della Cdu (l’Unione Cristiano Democratica) appariva alla vigilia, nel migliore dei casi, come una prova di continuità e, nel peggiore, come un salto di vent’anni nel passato.
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Perché in corsa c’era Friedrich Merz, già vicepresidente della Cdu all’inizio degli anni Duemila, avversario di Merkel prima che questa diventasse cancelliera nel 2005. Dopo l’ascesa di Merkel, Merz era sparito dalla scena politica per quasi dieci anni, per ritornare solo nel 2018 e sfidare Annagret Kramp-Karrembauer, nota anche come AKK, la delfina scelta da Merkel per guidare il partito e, eventualmente, succederle. Allora AKK vinse di misura, con trentacinque voti di vantaggio, ma Merz, rappresentante dell’ala destra del partito, quella chiaramente più conservatrice, ne mise costantemente in discussione la leadership, fino a quando questa decise di abbandonare la presidenza e le ambizioni di diventare un giorno cancelliera.

Sabato Merz, che si presentava di nuovo come il candidato anti-establishment, quello che voleva riportare il partito ai vecchi valori, spostarlo a destra, per riprendere i voti che in questi anni sono stati appannaggio del partito di estrema destra Afd (Alternative für Deutschland – Alternativa per la Germania), ha fallito di nuovo. Di misura. Nel congresso interamente digitale per eleggere il nuovo leader della Cdu, i 1001 delegati hanno addirittura conferito la vittoria al primo turno a Merz, primo con 385 voti contro i 380 di Armin Laschet e i 224 di Norbert Röttgen, due candidati filo-governativi. Tuttavia, non abbastanza per vincere. Perché al primo turno serviva la maggioranza assoluta. È così che al secondo turno, tra Friedrich Merz e Armin Laschet, che incarnava l’ala più centrista del partito, quella di ispirazione liberale e cristiano-sociale, si è imposto il secondo, con 521 voti rispetto ai 466 ottenuti da Merz. Cinquantacinque voti di differenza.
Cinquantanove anni, dal 2017 Ministerpräsident, primo ministro, del Land tedesco più popoloso, la Renania Settentrionale-Vestfalia, Armin Laschet rappresentava il candidato della continuità rispetto alla leadership di Angela Merkel. Per il partito che fu di Adenauer e Kohl, è, in un certo senso, già un ritorno a quella che fu la tradizione: come Adenauer e Kohl, Laschet è renano e cattolico praticante, nonché padre di famiglia (ha tre figli). Una tradizione che Merkel, donna della Germania est, protestante e senza figli, aveva a suo tempo rotto.
Ma le differenze tra i due non finiscono qui. Laschet, benché non sia considerato un grande oratore, è un politico caratterizzato da una certa spontaneità – adora partecipare al carnevale e fa riferimenti alla sua storia personale – cosa abbastanza rara per l’austera politica tedesca.

Nato nel 1961 ad Aquisgrana, Laschet è figlio di un minatore e di una casalinga. Come la madre, è molto attivo fin da giovane nella parrocchia della chiesa di Sankt Michael. Canta nel coro e qui conosce la moglie Susanne. Oltre alla religione, a plasmare la sua infanzia è anche la posizione geografica della sua città natale: Aquisgrana si trova infatti al confine con Belgio e Paesi Bassi. Per il giovane Armin, andare dall’altra parte del confine è un’evidenza, esperienza che definisce fin da subito il suo spiccato europeismo.
Studia legge e, finita l’università, comincia a lavorare come giornalista radiofonico. Ma la politica diventerà presto la sua professione. È membro della Cdu da quando ha diciott’anni. Muove i primi passi come assistente di Rita Süssmuth, già presidente del Bundestag e nel 1989 diventa il membro più giovane del consiglio comunale di Aquisgrana.
Nel 1994, con poco più di trent’anni, è eletto deputato al Bundestag, il parlamento federale tedesco. Qui si fa notare in quanto membro della cosiddetta “Pizza Connection”, una rete di discussione informale che riuniva giovani deputati della Cdu e dei Verdi. Quattro anni dopo però non è rieletto. Questa è una delle due sconfitte che rischiano di segnare la sua carriera politica. La seconda è nel 2010, quando cerca di diventare leader del partito in Renania Settentrionale-Vestfalia e viene sconfitto da Norbert Röttgen.

In ogni caso, Laschet non demorde. Nel 1999 è eletto al Parlamento europeo. Nel 2005 ritorna a casa, in Renania Settentrionale-Vestfalia, dove diventa ministro (della famiglia, delle donne e dell’integrazione) e membro del parlamento del Land. In quanto ministro, loda i benefici dell’immigrazione, dicendo nel 2009 che la diversità etnica e religiosa in Germania dovrebbe essere vista come “un’opportunità” e non “una minaccia”. Una postura che mantiene anche quando Merkel, nel 2015, dà vita alla svolta della “porta aperta” sull’immigrazione.
Nel 2012, dopo che Röttgen subisce una sconfitta sonora alle elezioni per la guida del Land, Laschet gli succede alla guida del partito. Cinque anni più tardi, Armin vince le elezioni statali e diventa Ministerpräsident, a capo di una coalizione che unisce cristiano democratici e i liberali della Fdp (Freie Demokratische Partei, il Partito Liberale Democratico). Laschet batte un’avversaria molto popolare, l’allora prima ministra Hannelore Kraft, socialdemocratica, in carica dal 2010. Soprattutto, vince in un Land che negli ultimi settantacinque anni è stato governato per cinquant’anni dalla sinistra.
Nonostante sia un moderato, fedele ai dogmi del merkelismo, Laschet è prima di tutto un cristiano-democratico, un uomo di partito, che sa fare sintesi fra le varie anime della Cdu. Lo si vede bene quando diventa primo ministro: dà vita a un gabinetto con un ministro dell’interno molto duro contro la criminalità, un ministro del lavoro esperto di politiche sociali, proveniente dall’ala sinistra del partito, e una segretaria di stato all’integrazione, Serap Güler, figlia di immigrati turchi.
Nel febbraio 2020, scioglie gli indugi e si lancia nella corsa per la successione a AKK alla guida della Cdu. Riesce a convincere Jens Spahn, quarantenne ministro della sanità, dichiaratamente omosessuale, molto popolare tra i giovani conservatori, a fargli da spalla nella corsa. Questo contribuisce a fare di lui il candidato favorito.

Ma la pandemia di coronavirus spariglia le carte in tavola. Laschet gestisce le prime fasi con troppa leggerezza. La sua risposta è considerata indecisa e questo fa infuriare la cancelliera. Precipita nei sondaggi e poi pian piano risale, grazie a una migliore gestione della crisi. Ma resta dietro a Merz. Anche alla vigilia del voto di sabato. Ma poco conta, perché a scegliere il nuovo leader del partito sono i 1001 delegati, la cui maggioranza vuole una continuità con la leadership di Angela Merkel. Laschet è il loro uomo, lo dice anche lui chiaramente nel discorso che precede il voto. “Vinceremo solo se continueremo a occupare il centro della società”.
“Sono Armin Laschet, ci potete contare” [Ich bin der Armin Laschet, und darauf können Sie sich verlassen]. Il Ministerpräsident della Renania Settentrionale-Vestfalia tiene il discorso perfetto, che nei toni tanto somiglia al “mi conoscete”, con il quale Merkel ha vinto molte volte nel corso della sua carriera. Per spiegarlo fa rifermento alla storia del padre, minatore, il quale una volta gli disse che, quando sei sottoterra, la provenienza o la religione delle persone non contano. Quello che importa è potersi fidare di loro. Laschet, il federatore, che afferma “dobbiamo saper parlare chiaro, ma senza polarizzare”, conclude il suo intervento in maniera molto simbolica, mostrando una vecchia targhetta identificativa di metallo, che apparteneva al padre minatore. Questo gliel’avrebbe data prima del congresso, a mo’ di portafortuna.

Per Laschet la vittoria di sabato è solo l’inizio del percorso che potrebbe portarlo a diventare cancelliere. Deve innanzitutto tenere unito il partito, cosa che non è riuscita alla sua diretta predecessora, Annagret Kramp-Karrembauer. Per farlo, deve convincere i suoi avversari a lavorare con lui. Negoziare con Norbert Röttgen non dovrebbe essere troppo difficile. Con Merz, invece, la situazione sembra essere più complicata. Pare che, dopo la sconfitta, questo abbia chiesto a Laschet di diventare ministro dell’Economia nell’attuale governo. Ma Merkel s’opporrebbe decisamente a una tale eventualità.
Il presidente della Cdu è tradizionalmente il candidato dell’Unione, forza politica che mette insieme la Cdu per l’appunto e la Csu (Christlich-Soziale Union, l’Unione cristiano sociale), il partito fratello della Baviera. Questa è una legge non scritta. Perché anche questa volta sia così, però, Laschet dovrà salire rapidamente nei sondaggi e, soprattutto, dimostrare che sotto la sua guida il partito può vincere. L’appuntamento è per il 14 marzo quando si terranno le elezioni statali in due Länder molto importanti, la Renania Palatinato e il Baden-Württemberg.
Se Laschet vuole davvero essere candidato alla cancelleria, non ha alternativa: deve vincere in almeno uno di questi due stati. Sennò altri cercheranno di prendere il suo posto. In pole position c’è Jens Spahn, il giovane ministro della sanità, che ha scelto di fare da spalla a Laschet in occasione del voto per la presidenza del partito, ma che è anche noto per essere molto ambizioso. Spahn è molto vicino all’attuale presidente del Bundestag, Wolfgang Schäuble, e, in quanto vice di Laschet, è nella posizione perfetta per subentrargli, nel caso in cui questo fallisse.
Ma Spahn non è l’unico a essere ancora in corsa. Anche il nome di Markus Söder, il potente ministro della Baviera, circola molto in questi giorni. Tra gli elettori conservatori, Söder è in testa agli indici di gradimento. Certo, è espressione della Csu, la versione bavarese della Cdu, che solo due volte nella storia, nel 1980 e nel 2002, ha espresso il candidato comune dell’Unione. Si tratta rispettivamente di Franz Josef Strauß e Edmund Stoiber, entrambi risultati alla fine perdenti.
Molto dipende dal ruolo che Merkel giocherà in queste settimane. Aiuterà Laschet a vincere? Sosterrà un candidato Cdu alla cancelleria? O resterà a guardare? La partita è aperta.

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