Venezia e il Giorno della Memoria. Parla Giulia Albanese (Iveser)

La conversazione prende spunto dalla prossima ricorrenza ma è anche l’occasione per fare il punto sull’Istituto veneziano di storia della resistenza e della società contemporanea di cui è da poco presidente dopo esserne stata a lungo vice-presidente.
GUIDO MOLTEDO
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La conversazione con Giulia Albanese prende spunto dalla prossima ricorrenza del Giorno della Memoria. Ma è anche l’occasione per fare il punto sull’Istituto veneziano di storia della resistenza e della società contemporanea (Iveser), di cui è da poco presidente dopo esserne stata a lungo vice-presidente. Albanese insegna storia contemporanea all’Università di Padova e si è occupata in questi anni soprattutto di crisi della democrazia liberale e origini del fascismo (ha pubblicato La marcia su Roma, Laterza 2006; Dittature mediterranee. Sovversioni fasciste e colpi di stato in Italia, Spagna e Portogallo, Laterza 2016).

Il 27 gennaio di ogni anno si celebra in tutto il mondo il Giorno della Memoria: è ricordato il 27 gennaio 1945 quando le truppe sovietiche dell’Armata Rossa arrivarono ad Auschwitz svelando al mondo l’orrore del campo di concentramento, uno dei luoghi del genocidio nazista, liberandone i pochi superstiti. Iniziative per ricordare la tragedia della Shoah si svolgono in tutta Italia e in Europa. Quest’anno molto si svolge inevitabilmente in forma virtuale e online a causa della pandemia di Covid-19. A Venezia, anche quest’anno l’Iveser sarà tra i promotori principali delle iniziative a ricordo della giornata?
Da quando è stato istituito il Giorno della Memoria l’Iveser è stato in prima linea nel lavoro di divulgazione, didattico ma anche di ricerca sulla persecuzione degli ebrei in questo territorio e le conseguenze drammatiche delle politiche antisemite e genocidarie per la comunità ebraica e la società contemporanea nel suo complesso. In particolare, siamo stati – attraverso Marco Borghi – in prima linea nell’adozione del progetto delle Pietre d’Inciampo a Venezia, con Maria Teresa Sega abbiamo sviluppato un progetto di ricerca sull’espulsione dei bambini ebrei dalla scuola veneziana (si veda il volume Il banco vuoto, pubblicato nel 2018). 


Il Giorno della Memoria non è per noi qualcosa d’altro rispetto alla riflessione sulla storia della Venezia del Novecento, e in particolar modo una riflessione altra rispetto alla storia del fascismo e della resistenza in questo territorio. Purtroppo la costruzione di momenti specifici separati per ricordare pezzi significativi della storia della Resistenza (penso al Giorno della Memoria, ma anche al Giorno del ricordo, al Giorno delle vittime del terrorismo etc), pur permettendo di mettere a fuoco episodi e fasi importanti della storia italiana e europea ha contribuito a frammentarne il significato e a disperdere una piena consapevolezza del complesso processo storico di cui questi episodi ed eventi sono portatori, al punto che in passato si è arrivati a parlare della persecuzione degli ebrei senza neppure citare la parola “fascismo”. 

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L’Iveser ha a cuore la riflessione attorno a questi momenti memoriali, ma ritiene che essi debbano essere pensati e valorizzati appunto in una prospettiva storica, in cui la storia della crisi della democrazia liberale si congiunge alle origini del fascismo e si riconosce che la seconda guerra mondiale è una conseguenza anche, se non soprattutto, dell’ascesa al potere del fascismo italiano e del nazismo e che non si può capire il genocidio degli ebrei, e anche la partecipazione italiana a quel progetto, senza conoscere il fascismo e il nazismo. Del resto, ci sono anche le storie delle persone che ci ricordano che questi aspetti sono conseguenti: una delle nostre presidenti onorarie, Lia Finzi, con la sua vita ci ricorda il nesso forte esistente tra la persecuzione degli ebrei, di cui fu vittima, giovanissima, con la storia della resistenza e del dopoguerra – fondamentale fu il suo impegno nell’animare il Collegio Biancotto insieme al marito, Momi Federici. E queste storie si connettono, attraverso le vicende sue e della sorella, alla storia della scuola veneziana e dell’insegnamento, per il loro ruolo nella scuola ebraica, il ruolo di Lia al collegio Biancotto e il loro lavoro di insegnanti.

Il programma di quest’anno è particolarmente ricco, nonostante la situazione eccezionale in cui ci troviamo.
Anche quest’anno abbiamo organizzato, assieme anche alle istituzioni veneziane e ad altre istituzioni associative, un calendario ricco che va dalle attività con gli studenti (attraverso le letture delle memorie di Settimia Spizzichino, organizzate il 21 gennaio con Ca’ Foscari e la Scuola Navale Morosini) a quelle di formazione dei docenti (con un incontro il 12 gennaio sulla narrazione della Shoà tra televisione e storiografia), a conferenze scientifiche (con una conferenza organizzata con Anppia e l’Ateneo Veneto di Ilaria Pavan sulle conseguenze di lungo periodo della persecuzione degli ebrei), a un itinerario virtuale sui luoghi della persecuzione nazifascista, realizzato da Stefania Bertelli per il 30 gennaio, che sviluppa una riflessione sulle pietre d’inciampo, che anche quest’anno saranno messe per ricordare veneziani deportati. E questo per non parlare di alcune delle attività principali.

Parliamo dell’Iveser, della sua “missione” oggi, forte di una presenza consolidata a Venezia, ben conosciuta in città, un’istituzione dalle radici forti ma sempre protagonista nella vita veneziana e nella costruzione del suo futuro. È così?
L’Iveser è un’associazione senza fini di lucro nata all’inizio degli anni Novanta con lo scopo di conservare e studiare la storia della Resistenza a Venezia e nella sua provincia, e connetterla alla storia più ampia del Novecento veneziano. È uno degli ultimi nati di una famiglia più grande, circa sessanta istituti, presenti in tutta Italia, e sviluppatisi, fin dagli anni ’40, dopo la nascita dell’Insmli (l’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, fondato da Parri), per custodire e studiare le carte del movimento partigiano, e successivamente anche della società italiana nel Novecento.

Dagli anni Novanta l’Iveser è stato un punto di riferimento per la capacità di raccogliere documentazione sulla storia politica della città, di cui è oggi un serbatoio fondamentale, grazie all’importante fondo Chinello, al recupero di quanto restava dell’archivio dell’Istituto Gramsci (gettato dai suoi legittimi proprietari), ai fondi della Cgil veneziana, alle carte degli avvocati militanti Battain e Scatturin o al fondo Scano, recentemente inventariato. Difficile non passare per di qui quando si vuole ricostruire la storia della Venezia del secondo Novecento, come dimostra il fatto che persino la Biennale ha pensato di utilizzare alcuni nostri materiali per la mostra Le muse inquiete. La Biennale di Venezia di fronte alla storia

L’attività di Iveser non si esaurisce però qui. Negli anni ha promosso importanti raccolte di interviste e documentari, per riflettere sulla storia e la memoria cittadine, tra queste le decine di interviste ai partigiani realizzate alla fine degli anni Novanta o quelle sulle vicende veneziane del ’68 (confluite poi nel documentario Il racconto del ’68 realizzato da Manuela Pellarin e Giorgio Cecchetti) o al progetto, che il nostro direttore Giovanni Sbordone sta sviluppando ora insieme alla Fondazione Rinascita, di interviste al gruppo dirigente diffuso del Pci sulla trasformazione di quel partito all’indomani del crollo del muro di Berlino.

Anche quest’anno la Città di Venezia dedica quindici “Pietre d’Inciampo” (Stolpersteine) in memoria dei cittadini e cittadine veneziane deportati nei campi di sterminio nazisti.

Il futuro?
Abbiamo molti progetti in cantiere. L’idea di fondo è che la storia sia un luogo fondamentale per la riflessione sulla nostra società e sul futuro, e quindi il nostro lavoro scientificamente inappuntabile e storiograficamente avvertito è volto a creare le condizioni perché attraverso una riflessione su storia e memoria si forniscano alla società veneziana e non solo gli strumenti per ragionare intorno alla propria storia, ai propri valori e al proprio futuro, di cui noi ci sentiamo parte integrante. 

Per questo nei prossimi anni vorremmo molto occuparci di come è cambiata la scuola negli anni Sessanta e Settanta, dei movimenti che hanno attraversato la nostra società, dei movimenti dei genitori e degli insegnanti democratici, della nascita dei servizi sociali, oltre a continuare a pensare alle conseguenze del fascismo sul nostro territorio. Riteniamo però che ragionare su come è cambiata tra gli anni Settanta e Ottanta la nostra città (una e trina, come sappiamo), e anche riflettere sulla crisi che dagli anni 2000 l’ha attraversata sia una riflessione fondamentale per pensarne il futuro.

La sede dell’Istituto Veneziano per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea

L’Iveser ha sede alla Giudecca. Qual è la relazione con l’isola dove siete e, più in generale, con Venezia nelle sue diverse articolazioni territoriali, città d’acqua, città di terra?
Per ragionare sui fenomeni di cui parlavo prima ci serviremo della nostra conoscenza del territorio che ci permette non solo di capire il contesto provinciale generale, ma anche spiegarci com’è cambiata la nostra Giudecca, dove abbiamo sede; com’è cambiata la Venezia storica e quali sono i percorsi che l’hanno trasformata in una città turistica sempre più disincarnata dei suoi abitanti, come è cambiata Mestre con la deindustrializzazione e il cambiamento di ruolo di Venezia, e come sta cambiando ulteriormente, com’è cambiata Marghera e come sono cambiati il lavoro e la vita in questo comune e in questa provincia, proprio perché, come direbbe Mario Isnenghi, a lungo presidente dell’Iveser, la Venezia del Novecento è viva e vegeta e deve essere pensata anche in termini storici.

Il nostro lavoro è quindi raccogliere i documenti, pensarli e interpretarli, ma anche metterli a disposizione della città (tramite l’archivio, ma anche con la realizzazione di mostre documentarie e fotografiche, oltre che con conferenze e iniziative pubbliche), degli insegnanti e delle scuole. 

Una parte fondamentale del nostro lavoro è proprio con le scuole e gli insegnanti ai quali mettiamo a disposizione il materiale, la competenza dei nostri collaboratori per la formazione didattica e per questo abbiamo una specifica convenzione con l’Ufficio scolastico regionale. 

La nostra conoscenza del territorio ci ha permesso poi negli anni di sviluppare itinerari didattici e storici volti a raccontare la storia del risorgimento, della resistenza, della Venezia industriale, ma anche a ricostruire la storia della Villa Hériot che ormai da molto ci ospita, insomma di pensare la nostra storia incarnata nei luoghi di questa città.

Giulia Albanese (allora vicepresidente dell’Iveser) con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il 25 aprile 2019 a Vittorio Veneto, in occasione della ricorrenza del 74° Anniversario della Liberazione.
Venezia e il Giorno della Memoria. Parla Giulia Albanese (Iveser) ultima modifica: 2021-01-23T16:38:34+01:00 da GUIDO MOLTEDO
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2 commenti

Renato Jona 23 Gennaio 2021 a 23:10

Bello, interessante, con lo spirito dell’Iveser. Ma c’è lo zampino di Guido(Moltedo) che saluto , lietissimo di averlo “ritrovato” qui.

Reply
Dimitri Belkin 27 Gennaio 2021 a 1:26

Non dimentichiamoci mai del genocidio dei palestinesi ad opera dei sionisti: da vittima a carnefici.

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