La Commissão Nacional de Eleicões l’aveva detto chiaramente ai nove milioni e passa di elettori portoghesi: portatevi le penne da casa e disinfettate i documenti d’identità prima e dopo il voto. Se non fosse per i due punti, che non utilizzava, la frase sarebbe potuta essere uno degli incipit fulminanti dei romanzi di José Saramago. E invece la più fervida fantasia del premio Nobel questa volta è superata dalla realtà. Una realtà, a essere onesti, ai limiti dell’incredibile. Perché mai in Portogallo (ma diciamo pure nel mondo) si sono svolte elezioni presidenziali nel bel mezzo di un’ondata pandemica. Che giorno dopo giorno registra sempre più morti, sempre più code di ambulanze davanti agli ospedali tanto da costringere il primo ministro António Costa a dichiarare nuovamente nei giorni scorsi, quasi un papa all’incontrario, una sorta di extra omnes, uno svuotamento di strade e di scuole che gli inglesi, battendo i latini, sintetizzano nell’efficacia di una parola sola: lockdown.
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Ecco, in questo scenario ai confini della realtà, non è un caso se l’attenzione di notisti e semplici osservatori della politica internazionale si posi non sul vincitore, quel Marcelo Rebelo de Sousa che da mesi veleggiava verso la riconferma con almeno quaranta punti percentuali di distacco, ma su uno dei suoi avversari più emergenti: André Claro Amaral Ventura, per amici e (tantissimi) nemici semplicemente André Ventura. Giunto terzo (11,9 per cento) dietro a Marcelo (60,7) e staccato di un solo punto dalla socialista senza appoggio dei socialisti Ana Gomes (12,9), è sicuramente lui il vincitore mediatico delle elezioni presidenziali portoghesi. E il fatto assume una grande importanza per il popolo lusitano e, se non fosse per gli appena nove milioni di elettori, anche per i cittadini europei perché, grazie al suo irrompere sulla scena politica, Ventura chiude di fatto il cerchio sovranista del vecchio continente.

Il Portogallo infatti fino a un paio di stagioni fa era l’unico paese a non contare esponenti di quella destra estrema mescolata a una buona dose di populismo che è uno dei venti dominanti dell’attuale politica globale. Ora, con il suo ingresso tra le figure di spicco, il presidente di Chega! (in italiano suonerebbe Basta!) non è più quel fenomeno di colore chiuso dentro il sicuro recinto dell’uno per cento ma è un qualcosa con cui fare i conti. Se non da un punto di vista strettamente numerico – il 12 per cento delle presidenziali è pur sempre un dato marginale – quanto per la velocità con cui l’ha ottenuto.

In quindici mesi infatti Ventura è riuscito a decuplicare i consensi, passando appunto dall’1,29 per cento dell’autunno del 2019 al dodici di oggi. Una progressione che ci fa venire in mente una constatazione semplice semplice: il Portogallo non aveva forze sovraniste in Parlamento solo perché quelle forze sovraniste non esistevano. Potrebbe sembrare una frase di Catalano ma è così: non puoi votare per un partito che non c’è. Il caso di Ventura e di Chega lo confermano.
Nato appena il 9 aprile del 2019, il partito ha subito raccolto il vento seminato nel mondo dai vari Trump, Bolsonaro, Orban, Salvini e Meloni. Vento che la pandemia, i morti, la crisi economica guidata dall’azzeramento del turismo – decisivo in Portogallo – hanno amplificato a dismisura. Non deve infatti ingannare l’uno per cento delle politiche (che comunque hanno consentito a Ventura di entrare in parlamento), votazione che è arrivata davvero troppo presto – e subito dopo l’estate – per quelli di Chega. Era solo questione di tempo. Poco tempo. La conferma arriva con il primo sondaggio per le presidenziali effettuato il 24 gennaio 2020: André Ventura, presidente di Chega, è all’8,7 per cento. Da qui in poi, a parte una piccola parentesi di aprile che lo ha schiacciato verso il 5 per cento, per il leader della destra estrema portoghese è un’unica, lunga surfata a cavallo di un’onda che va dall’8 al 12,5 per cento.

Ma chi è André Claro Amaral Ventura? Nato nel 1983, papà commerciante di biciclette e mamma impiegata, è stato abituato fin da piccolo a discorrere di politica a casa, ed era una politica fin da allora intrisa di valori tradizionali, molte certezze e pochi dubbi. Il padre che ha combattuto per anni la guerra coloniale portoghese è infatti un uomo dichiaratamente di destra che ha lasciato un segno profondo nel giovane André, all’epoca amante anche dello sport e in particolare di ciclismo – il suo idolo era l’americano Lance Armstrong – e di calcio con il Benfica su tutto e tutti. Una passione, quella per il pallone, che lo ha portato negli anni a fare fortuna come commentatore televisivo (sempre a sostegno delle Aquile) e addirittura lo ha spinto a provare a inserirsi nel contesto dirigenziale del club.
Ma al di là dello sport, è sempre stata la politica il suo filo rosso che lo ha accompagnato negli anni. Nonostante si definisca “antisistema” è da vent’anni che il suo nome circola più o meno in modo carsico tra collegi e tessere di partito tra Lisbona e dintorni. La sua prima iscrizione al Partido Social Democrata avviene quando ha appena diciotto anni e la sua uscita, per divergenze con la dirigenza di Rui Rio, è del 2018. Si definisce un liberale da un punto di vista economico, culturalmente un nazionalista e un conservatore sotto l’aspetto sociale. I suoi avversari hanno ritagliato per lui altre definizioni: fascista, razzista, machista. A chi glielo fa presente lui risponde con un sorriso anche se l’atto di porgere l’altra guancia non sembra essere proprio nelle sue corde.

Per comprendere davvero che cosa pensi e quale progetto abbia per il suo paese è sufficiente fare un giro tra le pagine del programma di Chega e i take di Lusa, la principale agenzia di stampa portoghese. Esclusione dell’aborto e delle operazioni per il cambio di sesso dal sistema sanitario pubblico, castrazione chimica per i pedofili, reintroduzione della pena di morte. Quando gli si chiede che opinione abbia dei gay parte sempre con il piede sbagliato: “Ho molti amici omosessuali…”. E se invece il tema è quello della parità dei sessi allora può uscire con frasi ad effetto, ad esempio contro il rossetto, a suo dire inopportuno per chi si candida alle presidenziali come Marisa Matias. Per non dire infine di nomadi, rom e sinti, la sua ossessione da anni:
sfido chiunque a darmi un solo distretto portoghese con presenza di cigani che non abbia problemi con quella comunità.
Quando si incrociano, lui e “quelli là”, volano stracci. L’ultima volta giovedì scorso, 21 gennaio, all’uscita dell’auditorium Charlot a Setúbal. Il comitato d’accoglienza lancia un paio di uova. Lui non lascia correre e risponde loro a muso duro, per la gioia del servizio d’ordine. Finisce con una gragnuola di bulloni e sassi. Qualcuno lancia addirittura i blocchetti di marmo della celebre Calçada Portuguesa. Solo allora Ventura sale in macchina. Ma sono in molti a pensare che tornerà presto. Questione di tempo. Lui fretta non ne ha e dopo il voto delle presidenziali fa due previsioni:
Alle prossime politiche Chega salirà al 15 e non ci sarà governo senza di noi.


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