Personaggi di Mestre. “L’impiegata della strada” del Parco Piraghetto

Palma Gasparrini racconta la lotta dei cittadini per il verde pubblico, negli anni Settanta, in una città che veniva divorata dalla cementificazione.
MICHELA CAMOZZI
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Ritrovo Palma Gasparrini al Parco Piraghetto. Anche lei come me è qui per accompagnare i nipoti a un allenamento di basket. “Che bel parco, ci vengo sempre volentieri – dico – anche se oggi si gela e ho oramai le dita dei piedi assiderate”. Ci guardiamo e ci viene da ridere a pensare che oggi siamo qui a fare le nonne, noi che siamo state, in modo e con ruoli diversi, partecipi di tante battaglie democratiche.

“Ma tu Michela la conosci la storia del parco Piraghetto – mi chiede Palma. –Se vuoi te la racconto perché la sua nascita è il frutto di un lungo impegno a cui hanno partecipato tanti giovani, ma anche famiglie, ragazzi e bambini”.

Stare in compagnia di Palma è sempre interessante; per me che da pochi anni risiedo in terraferma è anche l’occasione per conoscere la storia di Mestre. Ci accordiamo per vederci la mattina seguente nella sede del Gruppo di lavoro Piave APS – di cui Palma fa parte – che si batte per ”proteggere l’ambiente, la salute e la qualità della vita dei residenti”. 

Palma Gasparrini

Palma è un fiume in piena e comincia il suo racconto che, scoprirò più tardi, è anche una parte della storia della sua vita.

I miei, per ragioni di lavoro, si trasferirono nel 1950 proprio a Mestre. Mio padre, Gaspare Gasparrini, marchigiano, si era diplomato a Fermo come perito chimico, e fu assunto all’Edison di Porto Marghera dove trovò, come colleghi, alcuni suoi compagni di scuola. Marghera aveva bisogno sia di queste figure professionali, rare all’epoca, che di una grande quantità di operai. Nel 1970 Marghera contava quarantamila addetti che provenivano dal centro storico veneziano, dalle campagne vicine, ma anche da tutta l’Italia. Si costruirono case per dare un tetto, ma mancavano gli asili, le strutture sportive, si studiava in scuole prefabbricate e le aree verdi pubbliche erano pressoché assenti. Mestre quindi usciva dal boom economico con la fisionomia di “città dormitorio”, fortemente cementificata che nel 1980 aveva il record nazionale di soli venti centimetri quadrati di verde per abitante. Un primato di cui non andare orgogliosi! 
Io, affetta da un’importante asma bronchiale, alternavo lunghi periodi di soggiorno dai nonni marchigiani a soste a Mestre che si allungarono quando cominciai ad andare a scuola. Ho sempre abitato nella zona tra via Montenero e via Adamello e lì attorno, dove giocavamo, c’erano campi di granoturco della famiglia Cecchini e tutto attorno fossati; ricordo con nostalgia le tante rane e il loro gracidare.
Da ragazza assieme ad amici e ai ragazzi cattolici della parrocchia di Santa Maria di Lourdes di via Piave organizzavamo un cineforum e ci piaceva discutere sul futuro del quartiere, sulle necessità a cui dare risposte. Intanto maturavo tra le aule dell’Università di Padova, dove studiavo matematica, anche una consapevolezza politica che mi portò ad avvicinarmi e poi a militare nelle file del Partito comunista di cui diventai anche la responsabile cittadina delle donne. Mia mamma mi chiamava “l’impiegata della strada”, ero sempre fuori a organizzare incontri, volantinaggi, manifestazioni. La richiesta era la medesima: asili nido, scuole materne, scuole elementari medie e superiori in veri fabbricati, centri sportivi, spazi verdi. Era da costruire una città. 

Una delle prime foto del neoeletto sindaco Mario Rigo e del vicesindaco Gianni Pellicani, 1975 (Archivio Gianni Pellicani – Fondazione G. Pellicani)

Nel 1974 nel mio quartiere ci fu una vera sollevazione quando venimmo a sapere che il Comune voleva creare proprio nel campo di pannocchie un agglomerato di case simile a quello già esistente alla Cita di Marghera. I lavori si bloccarono grazie alla mobilitazione. Ricordo le manifestazioni a cui parteciparono tante persone. L’anno dopo, l’amministrazione comunale cambiò colore politico, e Mario Rigo e Gianni Pellicani, rispettivamente sindaco e vicesindaco, guidarono una giunta di centro-sinistra. In questa nuova amministrazione io, che avevo ventisette anni, ricoprivo l’incarico di assessore alla Condizione Femminile, incarico che durò per ben dieci anni.
Uno dei primi atti della nuova gestione fu quello di vincolare tutti gli spazi verdi esistenti a Mestre tra cui anche l’area Cecchini, conosciuta come Piraghetto [Pirago, era l’antico nome della località a ovest di Mestre, ghetto per l’insediamento degli Ebrei, quando nel 1298 furono espulsi una prima volta da Venezia e si trasferirono in terraferma].

Pellicani mi chiese di affiancare un giovane tecnico del Comune, Lorenzo Simone, che fece il progetto del parco. Oltre alla piantumazione degli alberi, fu costruito un laghetto, l’area giochi, il campo da basket, il campo da bocce. Poi fu deciso che fossi io, in virtù del mio impegno, a inaugurarlo. Chi poteva immaginare un così bel lieto fine!
Questa è in sintesi la storia di un campo di pannocchie che si trasformò in uno dei parchi più belli e frequentati in città.

Veduta aerea del parco Piraghetto

Ma Palma continua con una certa emozione il suo racconto.

“Lo sai perchè le scuole e i centri sportivi a Mestre hanno pressappoco la stessa conformazione”?

Ammetto una volta di più la mia ignoranza e nello stesso tempo la invito a proseguire. 

Il Comune di Venezia aveva deciso di concorrere a un bando nazionale per accedere ai finanziamenti statali che ci avrebbe consentito finalmente di costruire strutture scolastiche e sportive; i tempi erano stretti e quindi presentammo dei progetti che poco si scostavano l’uno dall’altro, ma l’importante era attingere a quei fondi necessari per cominciare a delineare una diversa città. Riuscimmo a rispettare i tempi, e i progetti furono ritenuti buoni.

Un’immagine della lotta per il verde negli anni Settanta a Mestre

Poi il volto s’incupisce e la Gasparrini si lascia andare ad altre considerazioni:

Ne ho passate tante e tutte affrontate con entusiasmo e non solo perché ero più giovane. Nel tempo quella visione politica e strategica, tratto distintivo di una intera classe politica, si è fatta sempre più labile. Sono stati compiuti molti sbagli e noi non abbiamo saputo difendere i diritti. Dalle conquiste si può anche retrocedere, lo dico sempre alle mie figlie. Uno dei nostri errori, per me gravissimo, è stata l’incapacità di essere accoglienti con i nuovi residenti stranieri così come lo fummo con le migliaia di nuovi abitanti, tra cui la mia famiglia, che hanno trasformato il borgo di Mestre in una città di 200mila abitanti. Non c’è stata un’idea. Anche adesso queste comunità vivono slegate dal territorio; noi con i nostri corsi per l’apprendimento della lingua italiana cerchiamo di avvicinarli. Organizziamo delle feste con le comunità presenti nell’area di via Piave, ma è difficile anche per il generale silenzio durante la lunga, quotidiana, accanita campagna contro gli stranieri e anche a causa, qui nel quartiere, del coinvolgimento di parecchi immigrati nello spaccio della droga che crea diffidenza e ostilità. 

Ci salutiamo dopo quasi due ore di conversazione. Per strada Palma saluta tutti:

Sono settant’anni che abito qui e non mi arrendo al degrado culturale e sociale, lo faccio per me, per i miei familiari, per gli amici e per la mia città.

Mentre mi dirigo verso casa penso a quello che hanno affrontato lei e i protagonisti di quella stagione politica. Davanti avevano problemi enormi che hanno risolto con coraggio e pragmatismo in un rapporto costante e diretto nei neonati consigli di quartiere, nei movimenti, nelle sezioni dei diversi partiti. Forse la soluzione sta nel riprendere questo rapporto, forse bisognerebbe tutti tornare a fare “gli impiegati di strada”. 

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Personaggi di Mestre. “L’impiegata della strada” del Parco Piraghetto ultima modifica: 2021-02-04T11:47:06+01:00 da MICHELA CAMOZZI
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