L’onda lunga dell’unificazione tedesca

“Die DDR hat’s nie gegeben” [La RDT non è mai esistita], diceva una scritta sul Muro. Perché? Considerazioni a margine di una conferenza organizzata dall’Anpi di Francoforte.
SUSANNA BÖHME-KUBY
Condividi
PDF

Die DDR hat’s nie gegeben [La RDT non è mai esistita]

dice la scritta sul muro nella locandina del sito ANPI di Francoforte, che mi ha invitato alla conferenza “L’onda lunga della riunificazione tedesca” [il video della conferenza è disponibile a pie’ di pagina].

Vediamo perché:

Trent’anni dopo l’unificazione tedesca del 1990, in piena crisi pandemica, i festeggiamenti del trentennale nell’ottobre 2020 si sono tenuti sensibilmente sotto tono e la disunità sociale nell’unità politica è da tempo approdata alle pagine della grande stampa. 

ytali è una rivista indipendente. Vive del lavoro volontario e gratuito di giornalisti e collaboratori che quotidianamente s’impegnano per dare voce a un’informazione approfondita, plurale e libera da vincoli. Il sostegno dei lettori è il nostro unico strumento di autofinanziamento. Se anche tu vuoi contribuire con una donazione clicca QUI

Cito solo il settimanale Die Zeit che ha riferito, nello scorso ottobre, che il 74 per cento della popolazione dell’est non si sentirebbe affatto “meglio” nella Germania unita che nella vecchia Repubblica Democratica, nella quale neanche l’arbitrio del potere statale non sarebbe stato più pervasivo e incombente di quello che i nuovi cittadini percepiscono oggi nella Germania riunita. Un giudizio che contraddice la vulgata della “vita liberata dalla dittatura” e che dovrebbe far riflettere il governo federale soprattutto di fronte al crescente disagio sociale e politico. Un disagio che si traduce da alcuni anni in voti per il nuovo partito di estrema destra (AfD) e che mette in pericolo la governabilità – per ora a livello regionale in Turingia, Sassonia e nel Brandeburgo. E, di questo, non è corretto né sufficiente addossare la responsabilità all’est, che non avrebbe mai conosciuto la democrazia, essendo passata dalla Germania nazista a quella “comunista”. Opinione oggi diffusa, ma che nasce da una profonda ignoranza storica. 

La continuità storica delle destre dopo il 1945

La presenza delle destre estreme non è nuova nella Germania postbellica. Nella vecchia RFT rigurgiti di destra si sono manifestati in tutte le fasi di crisi perché, sarà utile ricordarlo, il revival delle destre – nelle sue molteplici espressioni, dai fascismi ai populismi ed estremismi più o meno autoritari – ha sempre avuto soprattutto la funzione di garantire l’ordine costituito del capitalismo. E lo si registra ovunque durante il lungo declino dei sistemi parlamentari postbellici e durante le prolungate crisi economiche – mentre le varianti del liberalismo democratico hanno avuto la meglio durante le fasi di crescita economica. 

Nella prima metà del Novecento le destre nazionaliste del Reich avevano permesso al capitalismo tedesco di incendiare il mondo per ben due volte. Poi la supremazia atomica degli USA (dopo Hiroshima e Nagasaki, agosto 1945) riservò a questi il predominio nel mondo. L’alleanza tra i vincitori della Seconda guerra mondiale si spaccò e il nuovo presidente Truman avviò la politica del containment e del roll back contro l’URSS, di cui, oltre al prestigio mondiale acquisito con la sofferta vittoria sul Terzo Reich, si temeva un’ulteriore espansione in Europa. 

Nella Guerra fredda toccò proprio alle forze di destra assumere un fondamentale ruolo sotterraneo negli USA e nei paesi a essi legati. E sotto l’ombrello degli USA nacque nella Trizone occidentale della Germania occupata una Repubblica federale (1949). All’URSS non rimase altro che proclamare nella zona orientale una Repubblica democratica (contro il parere di Stalin che lasciò aperta fino al 1952 l’opzione per una Germania unita e neutrale, sul modello dell’Austria). Le sue potenzialità economiche fecero presto della RFT il principale baluardo occidentale – in un più ampio contesto europeo – contro l’URSS. L’ideologia fondante della nuova repubblica divenne – o meglio rimase – l’anticomunismo, già radicato nella Repubblica di Weimar e poi nel Terzo Reich.

Fritz Bauer, il coraggioso procuratore dell’Assia, iniziatore del primo processo Auschwitz

Il reintegro pressoché totale della borghesia tedesca che aveva retto la struttura economica e amministrativa del Reich nazista (dopo i primi interventi di denazificazione imposti dagli accordi di Potsdam tra gli alleati) garantiva presto alla RFT una continuità personale e ideologica che ostacolava anche una presa di coscienza del passato nazista – almeno fino agli anni Sessanta. Basti ricordare Fritz Bauer, il coraggioso procuratore dell’Assia, iniziatore del primo processo Auschwitz, che a suo dire si sentiva in terra nemica (in Feindesland) quando uscì dal suo ufficio a Francoforte.

Gli iniziali ripensamenti antifascisti o antinazisti dei primi anni 1945-1949 furono quindi in seguito per lo più rimossi nella RFT, che doveva essere ricostruita senza indugi nelle sue strutture fondanti con gran parte del personale nazista. Il più citato rimane Hans Globke, alto funzionario nell’Ufficio per gli affari ebraici nel ministero degli interni nazista, poi indispensabile capo di gabinetto nella Cancelleria di Konrad Adenauer, che riammise col §131 tutti i vecchi funzionari statali e preparò l’amnistia per i criminali nazisti nel 1950. Il Widerstand, l’opposizione antinazista, che era stata rinchiusa ed eliminata da Hitler subito dopo il 1933 nelle prigioni e nei primi campi di concentramento in patria, si componeva in gran parte di comunisti e socialisti, che non trovarono mai un’adeguata memoria a ovest. Ma essi furono ricordati e onorati da coloro che erano riusciti a fuggire da Hitler e a tornare poi per lo più nella zona sovietica, nella speranza di potervi costruire una società nuova. 

Hans Josef Maria Globke, capo di gabietto del cancelliere Konrad Adenauer

Il loro sofferto antifascismo diventa dottrina di Stato nella RDT, e proprio questo viene stigmatizzato oggi, a posteriori, dall’ovest come “imposto dall’alto” (“verordneter Antifaschismus”). Infatti, persino i nomi degli antifascisti che avevano ispirato la toponomastica nella RDT sono stati cancellati dai nuovi amministratori subito dopo l’unificazione del 1990. L’antifascismo resta nell’immaginario occidentale inscindibilmente legato al comunismo demonizzato, e persino l’Associazione dei perseguitati dal nazismo, il VVN (Vereinigung der Verfolgten des Naziregimes), oggi legato alla Lega degli Antifascisti (BdA), è stata da sempre tenuta sotto osservazione dai servizi segreti ed è stata privata recentemente della sua qualifica non profit, e con ciò della sua base finanziaria. 

Decine e decine di organizzazioni di destra, nazionaliste e post-naziste, sono invece state tollerate e sono sopravvissute nella RFT dal 1949 in poi sotto sigle diverse, da quelle delle numerose leghe degli Heimatvertriebenen (BHE) a molteplici movimenti giovanili e studenteschi (tipo Wikinger), e a vari piccoli partiti – con la scusa che erano marginali rispetto ai nuovi partiti parlamentari democratici nei quali gli ex-nazisti si erano presto riciclati. 

Erich Kuby alla fine della guerra aveva commentato il passaggio da un sistema di potere all’altro senza una vera trasformazione delle strutture di fondo: “Das Mehl wird von einer Tüte in die andere geschüttet / la farina si passa da un sacco all’altro”. E il Mehl della popolazione, nel ’45, era una miscela piuttosto omogenea a ovest come a est – eppure gli sviluppi nelle due società postbelliche lo portano su strade diverse ma complementari.

Dalla “Restauration” alla caduta del Muro

Nella RDT sono realizzate ampie riforme strutturali avviate nella zona d’occupazione sovietica in ottemperanza alle decisioni della Conferenza di Potsdam del 1945, che riguardavano la redistribuzione delle terre dei latifondi, l’intera amministrazione e il sistema scolastico. Intanto, a ovest, l’opzione atlantica offre alla più potente economia europea, la RFT, una rapida ricostruzione (Restauration) che le permette di fornire un sistema di welfare relativamente generoso – in grado di tenere sotto controllo il conflitto sociale più o meno fino a oggi. 

Già bandito dal discorso pubblico dai nazisti e successivamente dalla narrativa americana, il conflitto sociale non è più concepito come conflitto di classe tra capitale e lavoro, obsoleto concetto marxista. Per garantire un rigido controllo ideologico s’impone invece l’idea della collaborazione sociale nella partnership all’americana (Sozialpartnerschaft), che sostituisce la comunità nazista (Volksgemeinschaft). La collaborazione tra sindacati e padroni con garanzie dello Stato aiuta a mantenere la pace sociale. Eppure nel 1956 s’impone comunque la messa al bando del KPD e tre anni dopo, a Bad Godesberg (1959), anche la SPD s’adegua all’anticomunismo immanente al sistema vigente che prometteva “Wohlstand für Alle” nella cosiddetta “Soziale Marktwirtschaft” – un ossimoro, che si rivela tale proprio oggi. 

Willy Brandt nel 1985

Con la prima crisi di ristrutturazione dopo il boom economico postbellico, negli anni Sessanta, alla fine dell’era di Adenauer, riappare un nuovo partito di destra, la NPD (1964), che unisce varie sigle della destra estrema ed entra nel 1966/7 in alcuni parlamenti comunali e regionali. Willy Brandt lo considera – in una intervista 1967 – non come segno di continuità col passato nazista, ma come un riflesso delle paure esistenziali di molti tedeschi davanti a un crescente senso di insicurezza nella crisi economica.

La miriade di organizzazioni minori che continua a vivere nel sottofondo radicale di destra riemerge in superficie in vari momenti con le crisi successive e ha comunque stretti contatti con il mondo politico ufficiale. Questi gruppi prendono di mira negli anni Sessanta l’immigrazione di lavoratori stranieri provenienti dal sud europeo, temuti come “estranei” tout court e come concorrenti sul mercato del lavoro. Eppure i “Gastarbeiter” erano stati chiamati dal governo stesso, dopo che la costruzione del Muro, nel 1961, aveva messo fine al flusso di mano d’opera dalla RDT. 

Nel confronto con gli studenti di sinistra del ’68 e i simpatizzanti della RAF degli anni Settanta trova nuova linfa anche la vecchia teoria degli opposti estremismi. Ma il dibattito che segue, sulla fine della Repubblica di Weimar, si chiude con l’auspicio rassicurante: Bonn non è Weimar! (Bonn ist nicht Weimar!), ovvero: il capitalismo tedesco non dovrà più appoggiarsi alle forze di estrema destra. Sarà infatti la SPD a escludere definitivamente dalle cariche dello Stato i temuti ex-studenti, considerati estremisti di sinistra, attraverso la prassi intimidatoria del Radikalenerlass, noto all’estero come Berufsverbot.

Franz Joseph Strauss

L’ulteriore svolta a destra nell’era Kohl, negli anni Ottanta, permette per la prima volta contatti diretti tra le due realtà tedesche, avviate dalla Ostpolitik social-liberale degli anni Settanta, e allora contrastate dalle destre. Ma vede anche l’affermazione a livello governativo del nuovo partito raccoglitore dei Republikaner (fondato nel 1983 da esponenti ex-CSU ed ex-nazisti come Franz Schönhuber) che estende i primi tentacoli anche verso est, dopo la concessione del famoso credito di un miliardo DM da parte di F.J. Strauss (CSU) al governo della RDT. 

Infine sarà la cosiddetta riunificazione a permettere il grande “salto di territorio” in un rinnovato nazionalismo tedesco focalizzato ora nuovamente sulla Identität come concetto guida. Questo nazionalismo si estende presto all’est – anche con lo slogan importato da ovest: Noi siamo un popolo! (Wir sind ein Volk!) – in una fase storica che sembrava piuttosto tendere al superamento dello stato nazionale. Ma quella spinta nazionale, identitaria e sovranista diede avvio anche a quel “prima la Germania” del capitale tedesco proprio in ambito europeo, che segna il clima complessivo dagli anni Novanta in poi.

Dalla caduta del Muro all’annessione della RDT

Trent’anni dopo la scrittrice dell’est Daniela Dahn pone la domanda su come sia stato possibile modificare in modo così rapido l’opinione pubblica della RDT, che reclamava nell’autunno 1989 sotto il motto “Wir sind das Volk!” (siamo noi il popolo!) dal proprio governo riforme democratiche “per portare avanti la costruzione del socialismo nel nostro paese” (appello di Kurt Masur a Lipsia del 9 ottobre). La RDT aveva appena festeggiato a Berlino il suo quarantennale in presenza di Gorbaciov. Movimenti dal basso come Demokratie jetzt, Demokratischer Aufbruch o Neues Forum si confrontano poi nella Tavola rotonda (Runder Tisch), per elaborare vari progetti di riforma.

Daniela Dahn in un’immagine del 2012

Ma durante l’inverno il clima muta rapidamente e gran parte della popolazione aderisce solo pochi mesi dopo al progetto di una precipitosa unificazione per annessione, secondo l’articolo 23 della Legge fondamentale (Grundgesetz). Dahn, con Rainer Mausfeld, analizza nel recente saggio Tamtam und Tabu la grande offensiva propagandistica di stampo anticomunista e neoliberale con cui l’ovest è intervenuto massicciamente dall’estate del 1989 negli sviluppi che portano prima alla caduta del Muro nel novembre 1989 e poi – dopo aver avallato con ogni mezzo la disgregazione dell’ordinamento dello Stato – nel marzo del 1990, alle prime elezioni parlamentari “libere” per la Volkskammer della RDT, che sarebbero state anche le ultime.

Marzo 1990, prime elezioni parlamentari “libere” per la Volkskammer della RDT, che sarebbero state anche le ultime.

Quelle elezioni sono gestite in toto dal personale dei partiti importati dalla RFT nella RDT, il che è reso possibile dall’annessione di fatto dei vecchi partiti esistenti a est nel fronte nazionale (CDU, LDPD ecc.) da parte dei corrispondenti partiti occidentali CDU/ FDP. Ed è la democristiana “Allianz für Deutschland”, creata ad hoc dal cancelliere Kohl, che si espone in prima persona nella campagna elettorale come nessun altro, a vincere poi con un 48 per cento dei voti. Aveva promesso l’unità subito, e proposto – contro il parere di quasi tutti gli esperti economici occidentali – l’immediata introduzione della D-Mark, prospettando agli elettori di poter uscire dall’insicurezza di fronte a un futuro che ormai li spaventava. I media occidentali avevano profetizzato per lunghe settimane l’imminente crollo dell’intera economia dell’est, e addirittura un’emergenza per fame! (La Bildzeitung titolava: “DDR vor dem Zusammenbruch” 10.2.90 o “DDR in Not. Angst vor Hunger” 23.2.90 ecc.)

Le perplessità – pur presenti anche a ovest, da parte di SPD e Verdi – di fronte alla via scelta da Kohl, ovvero l’opzione per adesione (Beitritt) secondo l’art. 23 della Grundgesetz (GG), sono spazzati via dal governo che intende trattare l’intera RDT come uno dei vecchi Länder che aderisce semplicemente alla Repubblica federale. E svanisce subito la prospettiva della Tavola rotonda di una possibile estensione delle loro idee verso ovest per l’elaborazione di una nuova Costituzione, secondo il preambolo della Legge fondamentale e l’art. 146, previsto nel GG per una Germania unita. Nemmeno la proposta di un referendum da proporre ai tedeschi a est come a ovest sul futuro dell’unificazione è preso in considerazione (cfr. Schweriner Volkszeitung, 12.3.90). Kohl ha grande fretta, intende portare a casa il bottino e vincere nel settembre 1990 le prime elezioni su tutto il territorio tedesco per il Bundestag. E la SPD rimane al palo, come in tutti i grandi appuntamenti della storia tedesca.

La successiva precipitosa conversione 1:1 della valuta dell’est in marco occidentale (DM) nel luglio del 1990 – con una rivalutazione del 350 per cento – distrugge di colpo la realtà produttiva dell’est con annesso l’intero sistema di relazioni economiche con i paesi confinanti del blocco sovietico. Ne consegue una disoccupazione galoppante, inimmaginabile prima da parte dei cittadini della RDT: all’inizio oltre quattro milioni di lavoratori (su sedici milioni di abitanti). Nell’appello Per il nostro paese (Für unser Land) del 26 novembre 1989 i firmatari dell’est avevano pure paventato il pericolo di un’imminente “svendita dei nostri valori materiali e morali che porterebbe presto a una incorporazione della RDT nella RFT”. Ma l’offensiva propagandistica occidentale spazza via questi timori in vista di un benessere occidentale che – così s’illudevano – sarebbe arrivato con la desiderata valuta forte, la DM. 

La seguente deliberata distruzione da parte della RFT di tutte le strutture anche politiche e amministrative che reggevano la RDT provoca profondi sconvolgimenti sociali dopo il 1990 nei cosiddetti nuovi Länder dell’est. Grande e diffuso è il disorientamento, il senso d’inutilità, di essere superflui. Molti dei disoccupati sono allora effettivamente considerati “superflui” e sono tuttora mantenuti con il welfare, che aveva già cementato anche un’ampia quota di disoccupazione strutturale nella vecchia Bundesrepublik. 

Dopo lo smantellamento di un’intera economia, con l’intervento dell’agenzia Treuhand, che privatizza in pochi anni tutte le imprese pubbliche del Volkseigener Betrieb (VEB), svendendole sottocosto agli investitori occidentali (solo un sei per cento rimane all’est), gran parte dell’approvvigionamento a est avviene da allora con l’arrivo dei beni di consumo e di produzione dall’ovest, che così trova un nuovo sbocco di mercato. 

La protesta degli operai metalmeccanici di fronte alla sede della Treuhand, 19.12.90 Berlin

Circa un quarto della popolazione, per lo più sotto i trent’anni (quattro milioni di persone) lascia i nuovi Länder, che si sarebbero trasformati, dopo il 1990, non nei paesaggi fioriti (“blühende Landschaften”) promessi dal cancelliere Kohl prima delle elezioni del marzo 1990, ma in vaste zone desertificate, materialmente e moralmente. Molte famiglie disgregate, una natalità diminuita del cinquanta per cento, un aumento mai quantificato di suicidi. In una tale situazione, tra chi rimane all’est trova facilmente ascolto e consenso chi promette nuovi orizzonti indicando i presunti responsabili e colpevoli delle miserie capitaliste, non ammissibili come tali, e trovando anche nuovi capi espiatori. Innumerevoli organizzazioni di estrema destra provenienti dalla Bundesrepublik s’inseriscono presto negli spazi liberati all’improvviso dalla rapida deindustrializzazione che lascia grandi vuoti, a causa anche del crollo delle organizzazioni culturali e del tempo libero legate alle fabbriche VEB e al sistema scolastico, presto smantellate. 

Rolf Hochhuth

Arrivano gli skinheads in cravatta (Skins mit Schlips und Scheitel), come li definisce Günter Grass, nella sua raccolta di poesie Novemberland (1993), il personale amministrativo e politico spostato subito dall’ovest all’est per costruire le nuove strutture. E Rolf Hochhuth (di cui si ricorda in Italia Il vicario, 1963) ci ha lasciato una testimonianza agghiacciante del loro modo di procedere nella sua pièce teatrale Wessis in Weimar (1993). Ma è soprattutto nella letteratura orientale di quegli anni che trovano espressione il senso di smarrimento, di perdita della dignità e una grande amarezza (cfr. Christa Wolf, Volker Braun, Christoph Hein et al.).

Le destre estreme nei nuovi Länder orientali

Le odierne AfD (Alternative für Deutschland) fondata a ovest nel 2013 e Pegida (Europei patrioti contro l’islamizzazione dell’Occidente) trovano ascolto nei nuovi Länder come sole forze alternative all’establishment politico in modo più accentuato rispetto al loro pur notevole successo nella vecchia RFT. E non solo nei gruppi sociali più disagiati, anche tra i nuovi residenti nei quartieri alti, sulla riva dell’Elba a Dresda, dove la Afd prende ben oltre il venti per cento dei voti. Si presenta come partito conservatore di tipo nuovo, ma ospita nelle proprie fila anche antistatalisti radicali che non disdegnano azioni comuni con i Cittadini del Reich (Reichsbürger), come nel tentato assalto al parlamento a Berlino nell’agosto 2020 (Sturm auf den Reichstag).

Dall’ovest provengono comunque sia i loro finanziatori (come il barone August von Fink, proprietario fondiario non solo di mezza Baviera, ma anche di Degussa, arricchitasi già con l’oro degli ebrei sterminati), sia gli esponenti principali (persino il neonazista Björn Höcke è trapiantato a est). Queste destre in doppiopetto con frange estremiste all’interno e legami all’esterno appaiono come forze comunque rivolte al passato, su cui il capitale tedesco non si appoggerà nel futuro immediato. Ma sono lì ad avvelenare la vita politica – e non solo – e a frenare gli sviluppi nella direzione opposta, come sempre.

Dopo aver a lungo minimizzato la natura e l’impressionante aumento della violenza di destra nei confronti di nuovi e vecchi stranieri, di poveri, di senzatetto e di “diversi” tout court (aumento che si registra a est come a ovest, dove nel 2019 è stato ucciso un primo uomo politico, Walter Lübcke) – il fenomeno a est viene riportato a una presunta mancata capacità di fare i conti col passato (Vergangenheitsbewältigung) nella RDT. Si sostiene addirittura che questa non avrebbe mai fatto i conti né con il nazionalsocialismo né con l’antisemitismo, diversamente dalla RFT. Un’accusa surreale e facilmente confutabile, ma ciò nonostante ripetuta da storici e intellettuali da destra a sinistra. Già vent’anni fa il teologo Eberhard Tiefensee vedeva tutto l’est offuscato da un’eclissi di Dio: “ganz Ostdeutschland im Kernschatten der Gottesfinsternis” (Focus, 51/2000). Questa è “la musica” dominante fino a oggi, nell’evidente tentazione di riscrivere la storia postbellica, ancor oggi forte.

Anche la lunga controversia sul presunto stato senza diritto (Unrechtsstaat DDR) si basa su un simile assunto. In breve: La RDT, che era basata su una propria costituzione socialista, non sarebbe stata uno Stato di diritto borghese, ma accostabile alla dittatura nazista, in cui regnavano l’arbitrio e l’ingiustizia. Si nega in questo modo, anche a posteriori, ogni legittimazione storica, politica e morale alla RDT, distogliendo cosi lo sguardo dalle responsabilità occidentali per le deficienze dello sviluppo successivo. Insomma: Lo Stato che non deve e non doveva esistere (“Die DDR, der Staat der nicht sein darf” fu uno slogan negli anni Cinquanta). Infatti la RDT non fu mai riconosciuta come Stato autonomo con confini certi nel senso del diritto internazionale, neanche dopo il Grundlagenvertrag, il trattato intertedesco del 1972. Questo istaurò per la prima volta, a 23 anni dal 1949, rapporti ufficiali tra le due realtà tedesche e abolì finalmente anche la dottrina Hallstein, sulla base della quale era stata boicottata fino ad allora la RDT, impedendo al resto del mondo di riconoscerla e di intrattenere rapporti con ambedue gli Stati tedeschi. Ma la cittadinanza tedesca della Bundesrepublik continuava a essere goduta, automaticamente, anche dagli abitanti dell’est che trovavano dunque accoglienza come cittadini a pieno titolo nella RFT, appena varcavano il loro confine di stato, mai riconosciuto dalla RFT. 

A posteriori, dunque, si vuole ridurre la RDT a una “nota a pie’ di pagina della Storia” come constatò con amarezza Stefan Heym, perché nulla di essa doveva essere salvato, tutto era da rottamare: “Alles Schrott”.

Così si continua tuttora ad attribuire il successo odierno delle destre al sistema autoritario dell’est, scomparso ormai trent’anni fa, e comunque alla responsabilità dei comunisti. Ricordo bene che anche chi denunciava alla fine degli anni Settanta il crescente neonazismo nella RFT era sospetto di fare propaganda comunista, al servizio di Mosca.

I vecchi stereotipi della guerra fredda come se non fosse finita. Il fondamento su cui si è consolidata la RFT dopo il 1949 era l’anticomunismo – già radicato anche come antibolscevismo nella Repubblica di Weimar e poi nel nazismo – e rimane tale anche nella Germania unita. Nonostante il monito di Thomas Mann che dopo la guerra aveva augurato ai tedeschi un ragionevole “Anti-Antikommunismus”, auspicio recentemente ripetuto da Jürgen Habermas, inascoltato. Mann, che non era comunista, considerava la preclusione ai comunisti come “Grundtorheit”, “follia fondamentale del Novecento”.

Scrive Mann:

È difficile immaginare il mondo che verrà dopo di noi senza tratti di comunismo: ovvero senza l’idea di fondo di avere in comune il diritto di partecipare e di godere dei beni della terra, senza progressivo livellamento delle differenze di classe, senza il diritto e il dovere del lavoro per tutti.” (Thomas Mann, Der Antibolschewismus, die Grundtorheit der Epoche, in Die Einheit, n.2, Dietz, Berlin)

Alla videoconferenza, “L’onda lunga della riunificazione tedesca”, organizzata dall’ANPI Deutschland, hanno partecipato:

Susanna Böhme-Kuby ex-docente di letteratura tedesca, giornalista e saggista su temi di politica tedesca e italiana, autrice del libro L’avvenire del passato-Die Zukunft der Vergangenheit. Italia e Germania: le note dolenti, Forum Edizioni (2007)

Anna Chiarloni professoressa emerita presso l’università di Torino, specialista della letteratura tedesca dell’Est. Ha pubblicato con H. Pankoke Grenzfallgedichte, Aufbau (1991), e il saggio Germania ’89. Cronache letterarie della riunificazione tedesca, Franco Angeli (2005)

Vladimiro Giacché filosofo ed economista, autore di Anschluss. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa, Diarkos (2013, e nuova edizione accresciuta nel 2019), tradotto in tedesco, francese e spagnolo.


Per vedere la videoconferenza
“L’onda lunga della riunificazione tedesca”
clicca QUI

L’onda lunga dell’unificazione tedesca ultima modifica: 2021-02-05T19:51:43+01:00 da SUSANNA BÖHME-KUBY
Iscriviti alla newsletter di ytali.
Sostienici
DONA IL TUO 5 PER MILLE A YTALI
Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!

VAI AL PROSSIMO ARTICOLO:

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE:

Lascia un commento