Una fila di bianche colonne, arcate di acquedotti, scalinate di anfiteatri, capitelli e basolato, un itinerario organico composto da fotografie sull’archeologia del Mediterraneo da Est a Ovest, da Sud a Nord: a Roma, unica tappa italiana della mostra “Radici”, opere del ceco Josef Koudelka, maestro della fotografia moderna. Ospitata negli spazi espositivi dell’Ara Pacis, l’esposizione ha aperto le porte il primo febbraio interrompendo finalmente la lunga chiusura dei musei in seguito alla pandemia e fino al 16 maggio accoglierà il pubblico che, già da questi primi giorni, si presenta numeroso al botteghino.




Organizzata da Roma Culture-Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, Contrasto e Zétema Progetto cultura con la collaborazione dell’Accademia di Francia a Roma e il Centro Ceco, “Radici” è il frutto di un viaggio lungo trent’anni che Koudelka ha compiuto lungo le rive del Mare Nostrum, per ricordare come “le rovine non sono il passato, sono il futuro che ci invita all’attenzione e a godere del presente”. Un’attenzione che noi mediterranei dovremmo avere incisa nel nostro DNA, visto che siamo nati e cresciuti con queste effigi del passato sotto gli occhi, e dico “mediterranei” riferendomi a tutti i popoli che si affacciano alle rive di questo mare che è stato fulcro di civiltà.
Josef Koudelka ha interpretato il sentimento comune del Mare Nostrum da sensibile spettatore della bellezza e dell’armonia, di quel legame tenace e inciso nelle rive del bacino di questo incredibile mare, che un tempo ha unito saldamente lo spirito delle genti, anche attraverso controversie e guerre, conquiste e commerci, arte ed emigrazione e tutto quello che ci arriva dal mito e dalla storia.

Il maestro Koudelka, classe 1938, moravo ingegnere aeronautico, sceglie ufficialmente la professione di fotografo professionista testimoniando e denunciando l’invasione delle truppe del Patto di Varsavia a Praga nel 1968 e in seguito chiedendo asilo politico in Inghilterra e diventando poi cittadino francese. Pluripremiato a livello internazionale, con la sua camera panoramica ha girovagato per il mondo lasciando testimonianze piene di sensibile partecipazione.
“Radici” raccoglie più di cento scatti in bianco e nero di grandi proporzioni, oltre due metri di cornice nera racchiudono immagini profonde; altre fotografie sono istallate su parallelepipedi, piccole panche “foderate” di archeologia.



Solo pietre, in mezzo alla natura, senza la presenza dell’uomo: senza nemmeno poter conoscere i nomi degli architetti di tanto splendore e tanta ricchezza che hanno lavorato e concepito simili manufatti.
Templi ed edifici civili greci e romani, strade e gradinate si inseguono dalla Croazia alla Turchia, dalla Libia alla Francia, dal Portogallo all’Italia, dalla Spagna alla Grecia, dall’Albania al Marocco, dalla Tunisia all’Egitto, offrendo lo spunto per profonde riflessioni sul passato e su un presente difficile per tutti, legato alla pandemia: altro fattore che accomuna le acque mediterranee, e non solo.
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Le gigantografie accompagnano nitide il visitatore facendo percepire i minimi dettagli dei reperti che assieme al paesaggio sono ripresi con angolazioni molto particolari. I rocchi delle colonne distese a terra, le grandi pareti degli antichi edifici civili come la biblioteca di Celso ad Efeso, Petra in Giordania, le scalinate dei teatri di Delfi, Epidauro, Butrinto, le porte di Eliopoli in Libano e Tolemaide in Libia, le colonne di Capo Sunion, l’Arco di Traiano in Algeria…
La natura che misteriosa appare tra le rovine conferisce a “Radici” un fascino silenzioso, che porta il visitatore a entrare idealmente nelle gigantografie e toccare con mano gli imponenti pezzi di marmo e di pietra.
Finalmente una mostra, e una mostra particolare, che torna all’origine comune e a itinerari che molti conoscono, uniti da un filo ideale tra mito e arte.

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