Mario Draghi ha l’incedere da imperatore, simile a quello della prima parte del film di Bernardo Bertolucci L’ultimo imperatore. A differenza di quello del film, è difficile che abbia a che fare con una rivoluzione. Draghi non ha niente del principe delle fiabe che prima di un bacio era rospo. Nessuno, nemmeno Beppe Grillo, ha avuto finora il coraggio di fare obiezioni sul suo mandato di premier in pectore.
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Baciare il rospo? è uno dei titoli più famosi del quotidiano il manifesto, che ha avuto in Luigi Pintor un caposcuola nella titolazione di prim’ordine che continua tuttora. Si era alle prese con la formazione del governo tecnico guidato da Lamberto Dini nel gennaio 1995. Bisognava prendere una posizione politica su quanto stava accadendo. Silvio Berlusconi, in alleanza con la Lega Nord di Umberto Bossi, aveva vinto le elezioni del 1994 sconfiggendo il centrosinistra guidato da Achille Occhetto. Berlusconi premier era un evento senza precedenti, per di più alleato con Gianfranco Fini e la destra nostalgica, missina di Alleanza nazionale (non c’era stato ancora il Congresso di Fiuggi del 1995 che tagliò le radici nella Repubblica di Salò). I neofascisti erano stati sdoganati e portati al governo.

La sinistra non sapeva che fare in quel momento, oltre a leccarsi le piaghe della sconfitta della “macchina da guerra” capeggiata da Achille Occhetto. il manifesto ebbe l’idea di organizzare una grande manifestazione antifascista a Milano il 25 aprile 1994, anniversario della Liberazione. Era una giornata di pioggia impietosa. In testa al corteo c’erano Pintor e Valentino Parlato, insieme a Pierluigi Sullo, Loris Campetti e altri redattori. “A un certo punto – racconta Campetti – si avvicinò inaspettatamente Umberto Bossi che salutò Pintor e Parlato esternando la propria insofferenza per l’alleanza con Fini e Berlusconi”. Era il segnale che qualcosa si stava incrinando in quella coalizione.
Infatti, poche settimane dopo Bossi aprì la crisi di governo. Quando tutto sembrava perduto per la sinistra, si aprì una crepa a destra che andava usata. Si aprì però contemporaneamente una infuocata discussione su come approfittarne. Spuntò il nome di Lamberto Dini, ex dirigente del Fondo monetario internazionale, attorno al quale poteva formarsi un governo tecnico con una maggioranza trasversale dal centro a sinistra. Di fronte a questa eventualità, Rifondazione si spaccò: Lucio Magri, Luciana Castellina e 13 deputati formarono, insieme ad alcuni senatori, il gruppo dei Comunisti unitari favorevole all’opzione Dini, mentre il segretario Fausto Bertinotti dava l’indicazione di voto contrario a quel tentativo. Le discussioni a sinistra furono incandescenti sui pro e contro di una scelta o un’altra.

Con il senno di poi, si può dire con qualche certezza che il governo Dini servì a svelenire il clima politico, a siglare una tregua che il centrosinistra utilizzò per ricostruire il proprio campo e dar vita all’alleanza dell’Ulivo che vinse le elezioni del 1996 e governò fino al 2001. Bertinotti invece lasciò il governo di Romano Prodi nel 1998, provocando la scissione di Rifondazione guidata da Armando Cossutta che diede il là al Partito dei comunisti italiani. Ancora una volta Rifondazione si divideva sul “problema governo” e della tattica dell’azione politica.
Pure al manifesto ci dividemmo. Sullo, Campetti e Riccardo Barenghi – per fare qualche nome – erano contrari al sostegno seppure molto lieve a Dini. Perplessa era anche Rossana Rossanda, come Pintor. Altri redattori erano invece di parere opposto (chi scrive tra quest’ultimi). Sbloccò l’impasse il colpo di genio giornalistico di Luigi Pintor che coniò l’immagine del rospo da baciare con il punto interrogativo sulla possibilità che potesse trasformarsi in principe (Gigi Sullo ha raccontato come si partorì quel titolo in Né più né meno, un articolo apparso sul sito di Rifondazione il 18 novembre 2011 e che ancora si può leggere sulla rete). Pintor scrisse su quel delicato passaggio politico il 15 gennaio 1995. Chiudeva il suo editoriale, nonostante la scelta del titolo interlocutorio sul rospo, esternando il proprio abituale scetticismo: “Bisogna cambiare terreno di gioco… Non esiste il meno peggio”.
Tra Dini e Draghi sono pochissime le analogie, come del resto tra 1995 e 2021. Quelli ricordati sono solo cenni di memoria sui dubbi permanenti di chi si colloca sinistra e deve fare a volte scelte che non ha piacere di fare. Questa volta, alla crisi cronica, e non solo economica, del caso italiano si aggiungono la tremenda pandemia e le chance di una iniezione di euro da parte europea (recovery plan e recovery fund) senza precedenti, a cui si aggiunge l’afasia della politica italiana che ha raschiato il fondo del barile con il finale del governo di Giuseppe Conte.

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1 commento
Non ci sono grandi analogie fra i tempi di Dini e quelli attuali. Il governo Draghi è altra cosa. E’ l’elite europea che prende la guida dell’Italia. Un’elite che ha anche imparato dalla pandemia e dalla crisi. Infatti ha cambiato: il debito non è più una colpa, anzi l’indebitamento pare essere la parola d’ordine. Naturalmente sto semplificando, ma è utile per dire che un’opposizione da sinistra a Draghi è indispensabile, proprio perché l’asticella si è alzata. Il crioinale oggi si colloca sul versante delle scelte di politica economica: se si va avanti sostanzialmente con il vecchio modello di sviluppo o si utilizza la crisi per voltare pagina. E’ una prova che dobbiamo attraversare, altrimenti possiamo rinunciare alla ricostruzione di una sinistra in questo paese. Ed è grave che ancora una volta la questione della partecipazione o meno ad una maggioranza di governo sia così divisiva da mettere in discussione l’unità di quel poco di sinistra che c’è. Detto per inciso al mio caro amico Aldo: non fu Bertinotti ha provocare la scissione, ma l’esatto contrario: la subì ad opera di Cossutta e compagni. Poi si può avere il giudizio che si crede sulla vicenda, ma almeno rispettiamo la verità fattuale. Tornando ai tempi nostri; non posso che augurarmi che in Parlamento, oltre che nel paese, lo spazio dell’opposizione a Draghi non sia ricoperto solo dalla destra della Meloni, ma che si sviluppi anche un’opposizione di sinistra capace di competere con il governo sulle scelte da fare in questa grave situazione.