Nell’esecutivo che sta per nascere, la metà dei ministeri sarà affidata – si dice – a donne. C’è un precedente: il governo Renzi (2014). Nella sua composizione iniziale, vedeva la presenza di otto ministri donne su sedici ministri, due delle quali nei dicasteri-chiave di Esteri e Difesa.
ytali è una rivista indipendente. Vive del lavoro volontario e gratuito di giornalisti e collaboratori che quotidianamente s’impegnano per dare voce a un’informazione approfondita, plurale e libera da vincoli. Il sostegno dei lettori è il nostro unico strumento di autofinanziamento. Se anche tu vuoi contribuire con una donazione clicca QUI
Ma la parità di genere oggi non basta. L’Italia è sempre più un paese “multi”, con una diversità di cittadini, in numero crescente cittadini con retroterra culturali, sociali e religiosi che hanno arricchito il nostro paese. Da nazione di emigrazione, da molti decenni ormai l’Italia è diventata nazione meta d’immigrazione, parte consistente della quale ha messo radici o è destinata a metterle. Non c’è scuola in ogni parte d’Italia che non abbia diversi alunni figli di genitori provenienti dall’Albania, dalla Romania, dalla Moldova, dai paesi mediorientali ed estremo orientali, da paesi africani. Sono un milione e 316mila i minori di seconda generazione, il tredici per cento della popolazione tra gli 0 e i 17 anni. Nelle città italiane la presenza e l’attività di persone di provenienza straniera sono ormai parte normale della nostra vita quotidiana. Anche in paesi piccoli è così. Secondo i dati Istat, al 1 gennaio 2020 gli stranieri residenti in Italia sono 5.306.548, pari all’8,8 per cento della popolazione.
Politicamente, questi nostri concittadini sono ancora ai margini, sono decisamente sottorappresentati, in maniera molto evidente ai vertici dei partiti, delle organizzazioni sindacali, nell’accademia, nella pubblica amministrazione.
È il momento di cambiare. Non è solo un’esigenza democratica. È un fatto di civiltà, di sintonia con il nostro tempo. Ed è anche molto conveniente – per l’intera collettività, per la cultura, per l’economia, per la crescita complessiva del paese – che il contributo dei nostri “nuovi” concittadini sia almeno pari alla loro presenza, a tutti i livelli, anche ai massimi livelli, per crescere e consolidarsi nel tempo.
Il nuovo governo può dare un segnale in questa direzione. Un segnale che finora la politica non ha saputo né voluto dare, salvo l’importante precedente della nomina di Cécile Kyenge a ministro per l’integrazione nel governo presieduto da Enrico Letta (2013).
La nomina di uno o più ministri con una biografia di “nuovo” italiano sarebbe il segnale giusto in questa direzione. Un ministro o più ministri a cui affidare dicasteri di alto profilo, possibilmente non connessi all’identità di provenienza del titolare, che non sia insomma un ministero legato al tema dell’immigrazione e/o dell’integrazione, che non è certamente una specialità di chi viene da un paese straniero e caso mai ha un ottimo curriculum come economista o in campo scientifico. Andrebbe scelto in relazione al suo cv. Una nomina o più nomine che segnino un deciso passo avanti rispetto alla pur coraggiosa – allora – scelta di Kyenge. Un governo della discontinuità, come quello che intende essere l’esecutivo Draghi, può esserlo anche in questo senso. Un governo di discontinuità e di svolta.
Inutile dire che altrove questo avviene da tempo. Nel Regno Unito, nell’attuale governo conservatore, il cancelliere dello scacchiere è Rishi Sunak, figlio di genitori indù immigrati in Gran Bretagna. Il suo predecessore, Sajid Javid, è un musulmano di origini pakistane. Alok Sharma, nato in India, è ministro per lo sviluppo internazionale. Kwasi Kwarteng, figlio di immigrati dal Ghana, è ministro per le imprese, l’energia e la strategia industriale. Ministeri insomma di fascia alta. Di un governo conservatore. A riprova del fatto che non è più questione di “progressisti” o di “sinistra”, ma semplicemente di civiltà, da parte di una società che prende coscienza della sua composizione “diversa”. Una diversità che esige di essere rappresentata e che è una ricchezza da far fruttare per la nazione. Lo stesso accade in Francia. E in Germania, che pure è una nazione – diversamente da Regno Unito e Francia – in cui l’immigrazione non è legata al passato coloniale, che fu comunque molto minore.
Dentro l’Europa che cambia, anche l’Italia deve cambiare.
In copertina l’attivista sindacale e sociale Aboubakar Soumahoro con papa Francesco

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!
3 commenti
Guido era solo una nostra speranza. Con la s minuscola…
[…] è successo con la presenza né delle donne (8 su 23) né dei cosiddetti “nuovi italiani”, come si auspicava anche ytali (0 su […]
Egregio Direttore,
Comprendo il senso ma non l’utilità del Suo intervento.
A parte il fatto che sulla qualità dei ministri donne del governo Renzi si può forse discutere.
A parte il fatto che in italiano si dice e si è sempre detto Moldavia (questo sia detto non per pignoleria ma per mostrare quanto, in realtà, la nostra conoscenza degli altri e a volte di noi stessi sia superficiale).
A parte il fatto che l’Italia non è un Paese di immigrazione di massa “da molti decenni”, ma tutt’al più dall’inizio degli Anni ’90, e a parte il fatto che non ha smesso di essere un Paese di emigrazione: non solo lo scrivente vive da molti anni all’estero (e mi creda, avrebbe fatto volentieri a meno di andar via dall’Italia, pur essendo conscio dei problemi del nostro Paese), ma vede arrivare sempre più giovani in cerca di fortuna, persino in un Paese da ogni punto di vista marginale come l’Austria.
A parte la retorica sempre più trita della “sintonia col nostro tempo”, che è sempre soggettiva: Lei sa benissimo che noi oggi rifiutamo prassi e atteggiamenti che, ai loro tempi, erano perfettamente “in sintonia” con questi ultimi: perchè le nostre percezioni e opinioni dovrebbero avere valore assoluto e quelle dei nostri avi no?
A parte tutto questo, non intendo contestare l’assunto principale dell’articolo (con cui sarei anche grossomodo d’accordo), ma mi chiedo: perchè la Sinistra italiana (e non solo) deve continuare a sostenere idee e posizioni che, in sé, sarebbero anche condivisibili usando però modi e argomenti che non fanno che servire su un piatto di argento controargomenti alla Destra più becera? Le dico questo da uomo non di sinistra ma di centro-destra (non però del centro-destra che abbiamo in Italia dal 1994). Si immagina la gazzarra scatenata a tutti i livelli, dal Parlamento ai talk-shows più ignobili, dalla nomina di un ministro degli Esteri (per fare un esempio di ministero di “fascia alta”) “straniero”? Non dico che questo debba essere evitato sempre e a tutti i costi solo per non fare dispetto ai cretini di ogni età, ma perchè proprio adesso? Non Le pare che ci sia già abbastanza carne al fuoco?
E di conseguenza, perchè appelli apodittici e senza appello come “la parità di genere oggi non basta”? A parte il fatto che non si può dire che la parità di genere sia stata raggiunta, ma vogliamo davvero avviarci sul sentiero preso dagli Stati Uniti, dove le scelte vengono fatte con il bilancino del farmacista e l’occhio fisso ai sondaggi elettorali? Mi chiedo già come faranno i Democratici fra quattro anni ad accontentare tutti con un ticket presidenziale che necessariamente include solo due persone. Quest’anno hanno preso due piccioni con una fava grazie a Kamala Harris che, in teoria, fa felici “asiatici” e afroamericani. Ma nel 2024 come la mettiamo con i Latini? E i Mediorientali, che sono anche loro asiatici ma difficilmente possono sentirsi rappresentati da una vicepresidente indiana e indù? E i Musulmani? E gli omosessuali? E i collezionisti di trenini elettrici? A parte il fatto che le donne in politica non sono di per sé garanzia di qualità: ci siamo beccati quattro anni di Donald Trump, ma alcuni anni prima avremmo potuto avere una vicepresidente (e potenziale candidata presidenziale) Sarah Palin.
Non parliamo del fatto che “gli immigrati” non esistono, diversamente da quanto vogliono fare credere gli opposti populismi: esistono comunità differenti di immigrati, a volte anche divise al proprio interno. Non parliamo neanche del fatto che moltissimi immigrati provengono da Paesi assolutamente privi di tradizioni democratiche, con strutture sociali e politiche del tutto diverse dalle nostre, e arrivano molto spesso con un livello bassissimo di istruzione: pensare che alcuni anni passati in un’altra realtà bastino a cancellare il loro retroterra culturale è illusorio. A meno che non si voglia credere (e anche questo sarebbe un americanismo, se non un’americanata) che qualunque cultura extraeuropea in quanto tale sia in grado di insegnarci qualcosa perchè siamo “bianchi privilegiati” (e cattivi): anche questo sarebbe un americanismo pericoloso. Non vogliamo dare a questa gente la chance di un’integrazione compiuta prima di gettarli nella mischia?
Mi sono preso la briga di leggere qualcosa (su Wikipedia, ovviamente) sui ministri inglesi da Lei citati: tre sono nati in Inghilterra e ben prima che l’immigrazione diventasse da noi un fenomento di massa; almeno due sono figli di professionisti, probabilmente membri di famiglie influenti nel Paese di origine. Non solo non rappresentano un campione omogeneo, ma hanno anche poco a che fare con l’immigrato medio nell’Italia di oggi (e forse anche con l’immigrato medio in Gran Bretagna).
Il problema principale della politica italiana (ed europea) di oggi mi pare non sia l’inclusività “a pioggia”, all’americana, ma piuttosto la necessità di includere persone che siano ragionevolmente competenti e ragionevolmente oneste. I Trump e i Johnson (ma anche i Berlusconi, Salvini, Renzi …) non possono più essere liquidati come episodi di folklore politico estremo ma sono un fenomeno strutturale, sono il frutto di una crisi politica e sociale dell’Occidenta: la priorità dovrebbe essere quella di lasciare fuori loro. Con questo non voglio dire che non ci possano essere, forse anche oggi, tra gli emigrati di prima e seconda generazione delle personalità di eccellenza che meritino di far parte di una compagine di governo: ma da qui a farne una priorità ce ne corre. Soprattutto per un governo che deve prendere in mano l’Italia oggi, in una situazione a dir poco instabile.
Ma soprattutto, e questo è un altro punto che mi sta a cuore, quand’è che la Sinistra italiana comincerà a sviluppare una visione propria delle cose, invece di stare permanentemente alla finestra a guardare che cosa fanno gli altri? È da quando sono ragazzino che sento parlare di “modelli” stranieri: prima Mitterrand, poi Clinton, Blair, Zapatero, il motociclista Varoufakis, Obama … che adesso si citi addirittura Boris Johnson mi pare francamente più che eccessivo.
Spero di non avere abusato troppo del Suo tempo e Le porgo i miei più cordiali saluti,
Giorgio Rota