Bambina, adolescente, donna, inseguita dalle ombre, accompagnata da una fotografia sgualcita di una piccola indiana Mary Sioux come unica amica e confidente, così si presenta Cloe, protagonista del nuovo romanzo La felicità degli altri di Carmen Pellegrino, prossima uscita per La Nave di Teseo.
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Ma perché la felicità non appartiene a Cloe, al fratello Emanuel, al padre Manfredi, alla madre Beatrice? Attraverso un viaggio tra tempo e spazio, tra passato e presente, tra il villaggio d’origine e Venezia, tra la confortante Collina e vagabondaggi alla ricerca di se stessa, Cloe descrive la sua infanzia infelice, che resta in realtà sospesa tra l’incertezza di una tragedia che ha sconvolto la sua vita e la ricerca della verità su tale tragedia.
Scrittrice e storica concentrata sull’essenza dei luoghi abbandonati che tanto abbondano in Italia, soprattutto nella fascia montuosa delle montagne del Sud dove la Pellegrino è nata, l’autrice cerca di dare un senso e un ordine al grande puzzle che è la vita di Cloe: le tessere di questo mosaico, incastrate l’una nell’altra in maniera disarmonica, creano nella bambina Cloe un disagio nato in una famiglia altrettanto disarmonica, con un padre distratto e una madre indifferente se non peggio.
E Cloe. che trova rifugio in un luogo magicamente protetto sotto numi tutelari materializzati nelle rassicuranti figure del Generale e di Madame, deve percorrere l’arduo sentiero dell’esistenza tra lavoro, amori, doloroso rifiuto della maternità, amicizie più o meno sincere.

Venezia, ovvero Vinegia, come la Pellegrino chiama con l’antico nome la Serenissima, accoglie Cloe. Un episodio di cronaca realmente accaduto a Venezia si inserisce nel romanzo, attraverso la comparsa del misterioso professor T. che accompagna una parte della vita della giovane donna: Cloe si iscrive a un tenebroso corso universitario di Estetica dell’ombra, un corso che sembra cucito addosso al suo animo inquieto.
Perseguitata dai sogni, accompagnata dal professore attraverso itinerari veneziani silenti e misteriosi, Cloe riflette sulla condizione dei bambini ai quali è negato l’affetto della famiglia: i tanti abbandonati, maltrattati, o venduti come schiavi senza andare troppo lontano come i valani, bambini che fino agli anni Sessanta del Novecento erano ceduti da famiglie poverissime agli allevatori del Sud Italia come guardiani di maiali per poche lire, un mercato infame che si svolgeva come un rito satanico nel giorno dell’Assunta.
In un continuo saliscendi di stati emotivi in cerca di amore vero Cloe si sente estranea “in un mondo dove nessuno conosce la strada”, e si identifica con Esoluna, oggetto che esiste “exo”, fuori dal sistema solare. Misteriosa Esoluna, avvistata dagli astronomi assieme ai milioni di stelle e pianeti che vagano al di fuori dei confini del nostro universo.
Ma la vita reale è prepotente e spinge la protagonista nonostante “il peso del mondo addosso” alla ricerca di radici considerate recise.
Spiragli di sicurezza si materializzano nella Casa dei timidi, quel rifugio che la accolse bambina sulla Collina. E tra Vinegia e la Collina si fanno concreti i ricordi di un antico legame con il Ghetto veneziano e Madame, la buona seconda madre di Cloe. Madame è la custode della tradizione ebraica che a Venezia da oltre cinquecento anni ha un suo caposaldo nel Ghetto, e con lei, Madame grande pianista, compaiono sapori di cibi e di riti assieme ad amici ritrovati, paesaggi e luoghi riconsiderati, una realtà che è diversa da quella custodita nei ricordi della protagonista. E un piccolo amore adolescenziale che si materializza e aiuta, dà sicurezza e certezza e soprattutto spinge Cloe a riavvicinarsi a quei brandelli di famiglia rimasti, con una speranza finale che rischiara l’esistenza della protagonista. Un viaggio a ritroso negli anni necessario a elaborare lutti e dolori, a revisionare forse un pezzo di vita.
Mistica e rapporto col divino, attenzione alla condizione dell’infanzia più debole, ricerca dell’essenza della felicità: “ma di quale felicità parliamo? Quella di là da venire, la felicità degli altri, dato che, a ben guardare, la nostra vita è percorsa da un profondo senso di tristezza”, così pensa Cloe durante i corsi universitari del professor T. che nonostante viva nelle ombre della solitudine incita a “sollevare quel velo di compassione entro cui tutti potremmo trovare asilo all’occorrenza”.
Quel velo sollevato che fa intravvedere una luce, in realtà quella luce che tutti vorremmo vedere in questi tempi di contagio e pandemia: per Cloe è rimettere in ordine, restaurare, dipingere, ridare nuova vita alla Casa dei timidi, quella casa-rifugio sulla Collina, il vaccino che la inserisce di nuovo nel circuito della vita. Vaccino-salvezza, un messaggio che l’autrice lancia come speranza nelle pagine del romanzo, attraverso la comparsa di un nuovo piccolo essere che concilia e riallaccia passato e presente, ricuce il ricordo di luoghi antichi e dà senso al rifugio che si aprirà per altri bambini abbandonati.
Molti sono i riferimenti letterari, dal mito alla letteratura contemporanea, che Carmen Pellegrino utilizza per descrivere i suoi stati d’animo: un modo per approfondire temi di grande attualità, di respiro storico e sociale, di psicologia e di ricerca del trascendente, di elaborazione dei sensi di colpa e di grande umanità e compassione.


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