Le Alpi che si ribellano all’overtourism

Si discute animatamente di impianti e piste di sci, di turismo ed economia, di persone che in montagna vivono e lavorano. Il dibattito si è sviluppato lungo una sola direttrice, un solo modello economico e un unico futuro per le valli alpine; un modello di sviluppo e una cultura che non può e nemmeno vuole prescindere dal turismo di massa, dal consumo del suolo, dalla montagna come parco giochi. Eppure ci sono altri modelli possibili.
PETER FREEMAN
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In questi giorni si è molto parlato e discusso di impianti e piste di sci, di turismo ed economia, di persone che in montagna vivono e lavorano. Eppure tutto il dibattito si è sviluppato lungo una sola direttrice, un solo modello economico e un unico futuro per le valli alpine; un modello di sviluppo e una cultura che non può e nemmeno vuole prescindere dal turismo di massa, dal consumo del suolo, dalla montagna come parco giochi.

Ma non è l’unico modello di sviluppo possibile, l’unica cultura possibile, l’unico futuro possibile. Anzi. Ci sono dunque alternative?

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Se non l’avete ancora letto, risposte argomentate le trovate in un bel libro, uscito nel 2018 per le edizioni Laterza e scritto da Enrico Camanni. S’intitola Alpi ribelli. Storie di montagna, resistenza e utopia e il curriculum dell’autore è impeccabile: Camanni è non solo un bravo alpinista ma ha scritto numerosi libri sul tema della montagna, ha fondato e diretto la rivista Alp, è uno storico dell’alpinismo tra i più apprezzati. Prestate la giusta attenzione al capitolo intitolato “Lasciateci i prati”.

Racconta di un piccolo paesino, Cervières, situato lungo la strada che da Briançon conduce al Col dell’Izoard, il cui passo è ben noto agli amanti del ciclismo e della Grande Boucle.

Cervières ha meno di duecento abitanti e si trova oltre i 1500 metri di quota. Come ci ricorda Camanni, in questo piccolo paese collocato in una posizione invidiabile, dove al posto degli alberghi ci sono i granai e, grazie agli ampi terreni a pascolo, si continua a produrre latte e formaggio in gran quantità, si son fatte scelte diverse.

Cervières è la testimonianza di “una resistenza assoluta, forse suicida, di chi si spezza ma non si piega”. Che hanno fatto, quei disgraziati lassù? Semplicemente, quando lo Stato francese (uno stato che ama la programmazione) ha deciso che i terreni e i pascoli di Cervières diventassero un’area dedicata allo sci, loro hanno detto “no grazie”.

Cervières

Quel diniego non era affatto scontato: lì vicino ci sono Sestrière, Clavière, il Monginevro, Serre Chevalier, grandi stazioni sciistiche e grandi impianti collegati in un comprensorio che può tranquillamente rivaleggiare con quello del Dolomite Ski o con Monterosa Ski.

Dire no significava rifiutare una vagonata di soldi e una prospettiva di sviluppo che avrebbe portato alberghi, bar, ristoranti, rifugi, frotte di turisti-sciatori. Eppure loro hanno detto “no, non ci interessa”. Dati i tempi, se questo non è un “gran rifiuto” ditemi voi come definirlo.

A Cervières hanno preferito continuare a pascolare mucche e produrre il loro “oro bianco”: 180 mila litri di latte ogni anno che soddisfano le esigenze di buona parte della regione.

È il presidio più alto dell’agricoltura alpina francese, offre più erba e più ruminanti di ogni altro vallone delle Hautes Alpes e può produrre tanto fieno da seppellire i burocrati,

scrive Camanni.

Il rifiuto non ha fatto felici gli speculatori turistici ma le ragioni di questa scelta a me paiono moralmente e culturalmente inoppugnabili.

Se il progetto sciistico andasse avanti – hanno scritto i conduttori di alpeggio di Cervières – la sola soluzione per noi allevatori sarebbe di abbandonare la valle con le bestie. E sarebbe una transumanza definitiva.

Capita che chi si è preso cura (la parola “cura” andrebbe insegnata, riconsiderata, inserita nelle costituzioni materiali) di un territorio e del paesaggio non voglia trasformarsi in cameriere, pizzaiolo, venditore di hot dog, addetto a un impianto di risalita. (“Chi ha una vacca è un proprietario, chi infila il piattello sotto il deretano degli sciatori è solo un dipendente”).

Vendita di formaggi e di mucca e di capra prodotti a Cervières

A Cervières i sindaci che si sono succeduti hanno tenuto duro. Eppure l’offerta era allettante: 0,74 franchi (siamo alla fine degli anni Sessanta) per ogni metro quadro di terra, e poi qui un bel campo da golf, là una piscina, palazzine per oltre quindicimila posti letto. No grazie, hanno invece detto quei disgraziati, così intossicati dai miasmi dei mille fiori in tempo di fienagione e rintronati dal rumore delle cloches delle loro mucche da non riuscire a distinguere l’odore dei soldi da quello di una stalla, e incapaci di cogliere il fascino discreto delle magnifiche sorti e progressive del turismo di massa alpino.

Non credo che in Abruzzo, in Val d’Aosta o in Alto Adige, sarebbero stati capaci di tanto, per non dire delle valli lombarde a trazione leghista. Insomma, la questione Cervières è divenuta un caso e anche un casus belli. Alle minacce di esproprio si è risposto per le rime, rendendo il tutto una questione nazionale e persino “le President” – che al tempo era Giscard d’Estaing – ha dovuto fare marcia indietro e pronunciarsi per la protezione degli spazi montani.

A Cervières hanno però fatto un bellissimo circuito per sci di fondo, 42 chilometri di piste che si sono perfettamente inserite nel paesaggio e nel territorio, senza stravolgere nulla. Ora, io non lo so se quelli di Cervières hanno la testa dura, se sono solo un po’ matti e bastiancontrari, ma so che avevano e hanno ragione. E se vi capita di passare da quelle parti, andateci.

Sci di fondo a Cervières
Le Alpi che si ribellano all’overtourism ultima modifica: 2021-02-18T11:38:13+01:00 da PETER FREEMAN
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