Fatte le debite proporzioni, non è assurdo paragonare l’incresciosa vicenda che ha coinvolto il marciatore altoatesino Alex Schwazer alla tragedia che coinvolse, negli anni Ottanta, il grande Enzo Tortora. Non c’è di mezzo la camorra, d’accordo, ma i punti oscuri, i non detti, le vendette, il fango e la distruzione di una vita e della dignità di una persona sono abbastanza paragonabili, specie se si pensa al fatto che l’ingiusta squalifica per doping ha travolto anche un allenatore serio e scomodo come Sandro Donati (cui Schwazer si era rivolto proprio per ripulire la sua immagine), da sempre in prima linea contro i mali che affliggono lo sport, a cominciare proprio dal doping, e per questo inviso e osteggiato da molti.
Alex Schwazer sarebbe stato uno dei più forti di sempre, come si capì a Pechino, quando vinse la medaglia d’oro nella massacrante cinquanta chilometri di marcia, ma il destino aveva in serbo per lui una squalifica giusta, perché quella volta era coinvolto davvero, che gli fece saltare le Olimpiadi londinesi del 2012, e una indegna, che lo ha privato dei Giochi di Rio nel 2016.

Ora che il tribunale di Bolzano gli ha restituito onore e rispettabilità, a trentasei anni, sarebbe bello se quest’uomo distrutto, annientato dal dolore e dalle ingiustizie subite, squalificato a causa della manomissione dei campioni contenenti le sue urine, trovasse la forza di tornare in scena e riprendersi ciò che gli è stato indegnamente tolto.
Sarebbe bello se potesse regalarsi e regalarci ancora qualche anno ai massimi livelli e poi restare nel mondo dell’atletica; se decidesse, ancora una volta, di non arrendersi al destino, di tornare all’attenzione delle cronache per la sua bravura e non per gli scandali che ne hanno macchiato, forse irrimediabilmente, l’immagine; se ce la facesse a spigolare anora un alloro, magari l’ultimo, e a chiudere in gloria una carriera devastata dagli errori suoi e dalla malevolenza altrui. Se accadesse, saremmo al cospetto di una rinascita non solo simbolica ma esemplare.

L’appello che rivolgiamo a Schwazer, pertanto, è quello di tornare non tanto per se stesso ma per gli altri, per dimostrare che chiunque può avere una seconda opportunità, che si può sempre ripartire da zero e che si può essere più forti di ogni avversità, compresi i pregiudizi di tutti i colpevolisti che adesso battono in ritirata e, a breve, gronderanno ipocrisia da tutte le parti. È vero, nessuno gli restituirà ciò che gli è stato tolto, nessuno gli potrà mai ridare i suoi ventiquattro anni, il volto distrutto dalla fatica ma anche irradiato dalla gioia di quel giorno a Pechino, nessuno potrà ricostruire quella parte della sua anima che è stata massacrata, e possiamo solo immaginare quanto abbia sofferto e quanto stia ancora soffrendo per un dramma che avrebbe messo al tappeto chiunque.
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Ora, però, è stato assolto da ogni accusa, liberato da un fardello opprimente che gli ha impedito per cinque anni sostanzialmente di vivere, il che deve mettergli addosso una furia agonistica che lo riporti in alto, qualunque scelta decida di compiere nei prossimi mesi.
Schwazer e Donati hanno pagato un prezzo altissimo, hanno subito una violenza inaudita ma ora possono tornare, se non a vincere insieme, quanto meno a vivere e a camminare a testa alta. Sarebbe bello, poiché probabilmente non potrà gareggiare a Tokyo, che la RAI invitasse Alex a commentare le gare di atletica: un piccolo, grande gesto di umanità di cui lo sport e il paese avvertono il bisogno.

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