“Islamo-gauchisme”. Il modello républicain scricchiola

Una ricerca sui presunti legami tra movimenti di estrema sinistra e islamismo radicale, ordinata dalla ministra per l’università Frédérique Vidal, riaccende la polemica attorno al modello repubblicano di convivenza, sempre più sotto pressione. L’assassinio di George Floyd ha dato nuova linfa al dibattito sul concetto di “razza” e molti oggi temono un’americanizzazione della società francese. Senza accorgersi che è già cambiata.
MARCO MICHIELI
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[PARIGI]

Il modello repubblicano francese è ancora una volta al centro del dibattito politico. A gettare benzina sul fuoco delle polemiche è stato l’intervento domenica scorsa della ministra per l’università Frédérique Vidal a Cnews. Vidal, ex rettrice dell’università di Nizza, ha infatti annunciato che il ministero da lei guidato avrebbe avviato un’inchiesta per fare un “bilancio d’insieme delle ricerche” che si stanno svolgendo in Francia, al fine di distinguere tra quello che concerne la ricerca scientifica e quello che riguarda i movimenti militanti dell’islamo-gauchisme, definizione non sua utilizzata per descrivere i legami tra i movimenti di estrema sinistra e islamismo radicale. Vidal ha deciso d’intervenire dopo un reportage di Le Figaro sulla “cancrena dell’islamo-gauchisme” nelle università francesi.

Secondo la ministra infatti nelle università francesi “ci sono persone che possono utilizzare i loro titoli e la loro aura per sostenere idee radicali o militanti”. Pertanto il ministero condurrà quest’inchiesta con particolare attenzione alle ricerche nell’ambito post-coloniale e dell’intersezionalità. Una decisione che ha immediatamente suscitato enormi polemiche da parte dei rettori delle università che hanno criticato l’utilizzo di questa “pseudo-nozione” di islamo-gauchisme, priva di alcuna scientificità. Peraltro, hanno aggiunto i rettori, non si può rimproverare alle scienze sociali d’interessarsi al razzismo o all’intersezionalità, poiché parte del loro lavoro di ricerca.

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Lo scorso ottobre era già intervenuto sul tema il potente ministro dell’istruzione Michel Blanquer che, dopo l’assassinio dell’insegnante Samuel Paty da parte di un fondamentalista islamico, aveva attaccato l’islamo-gauchisme, quasi attribuendovi la responsabilità morale dell’omicidio. A sostegno della posizione di Blanquer era stato pubblicato poi un appello su Le Monde da parte di un centinaio di ricercatori, tra i quali spiccavano i nomi di Luc Ferry, Marcel Gauchet, Gilles Kepel, Pierre Nora, Pascal Perrineau e Pierre-André Taguieff:

Chi potrebbe negare la gravità della situazione odierna in Francia, soprattutto dopo il recente attentato terroristico a Nizza, una situazione che, come affermano alcuni, non risparmia le nostre università? Le ideologie indigeniste, razziali e decoloniali (trasferite dai campus nordamericani) sono molto presenti qui e alimentano l’odio per i “bianchi” e per la Francia; e un attivismo a volte violento attacca coloro che ancora osano sfidare la doxa anti-occidentale e la predicazione multiculturalista.

Secondo gli estensori dell’appello la stessa “riluttanza” delle università a designare l’islamismo come responsabile dell’assassinio di Samuel Paty è un esempio dell’islamo-gauchisme

Poiché l’uso del velo – tra gli altri sintomi – si è moltiplicato negli ultimi anni, è tempo di dare un nome alle cose e anche di rendersi conto della responsabilità, nella situazione attuale, delle ideologie che sono sorte e diffuse. L’importazione di ideologie comunitarie anglosassoni, il conformismo intellettuale, la paura e il politically correct sono una vera minaccia per le nostre università. La libertà di parola tende ad essere drasticamente limitata, come recentemente testimoniato da numerosi casi di censura da parte di gruppi di pressione.

L’appello si concludeva poi con l’invito alla ministra Vidal di intervenire. Come è poi accaduto.

Questa volta però le polemiche sono state più dure e hanno visto anche l’intervento del portavoce del governo Gabriel Attal che ha voluto riaffermare l’assoluta indipendenza scientifica degli insegnanti e dei ricercatori, “garanzia fondamentale della République”. Anche i deputati della maggioranza hanno espresso dei dubbi sull’opportunità dell’intervento in questo momento complesso, mentre l’università alle prese con i problemi del Covid-19. Ma a molti analisti sembra una mossa – che guarda a destra – in funzione delle elezioni regionali di quest’anno e delle presidenziali del prossimo. 

Dal canto suo la conferenza dei rettori ha sottolineato che, al di là della sostanza della questione, che tocca la libertà dell’insegnamento, sono anche le modalità a preoccupare. Nel passato quando insegnanti o ricercatori hanno sostenuto posizioni antisemite è stata direttamente l’università, attraverso i propri mezzi d’intervento, a disciplinare e sanzionare i docenti. Pertanto se vi sono docenti che utilizzano le aule universitarie per incitare alla violenza, dicono i rettori, dovrebbero essere segnalati e le stesse università dovrebbero occuparsene.

La questione è però molto politica. A partire dalla definizione di islamo-gauchiste.

Frédérique Vidal, ministra dell’università del governo Castex

La guerra semantica e la République

Uno dei problemi è proprio il il concetto utilizzato dalla ministra. Islamo-gauchisme è infatti termine nato in ambito scientifico a carattere descrittivo e ben presto utilizzato dalla politica per attaccare una presunta debolezza, finanche giustificazione, della sinistra tout court verso l’islamismo; e dai difensori del “secolarismo” alla francese, il principio cardine della laicità repubblicana. Soprattutto nel tempo è utilizzato per attaccare quella che molti considerano un’ossessione della sinistra per il politically correct.

Inizialmente il neologismo è impiegato da Pierre-André Taguieff, tra i firmatari dell’appello a sostegno del ministro dell’istruzione, per descrivere “l’alleanza militante tra circoli islamisti e circoli di estrema sinistra, in nome della causa palestinese, eretta come nuova causa universale”. È la “lotta contro l’imperialismo“ che secondo Taguieff univa queste due anime apparentemente molto lontane tra di loro. Le accomuna anche l’antisemitismo e, ça va sans dire, l’antisionismo.

Diventa però ben presto un termine a sfondo politico. Tanto che qualche anno fa lo stesso Taguieff interviene per sottolineare che il concetto è sempre meno chiaro poiché sempre più utilizzato in chiave di polemica politica. Ma dipende da proprio dalla politica il suo successo.

Dalla destra estrema a quella repubblicana l’islamo-gauchisme è concetto politicamente utile per criticare un supposto lassismo della sinistra radicale e moderata rispetto alla diffusione sul territorio francese dell’islamismo. Ed è utilizzato anche a sinistra. Come dall’ex primo ministro socialista Bernard Cazeneuve che, dopo gli attentati di Nizza, accusa la sua stessa parte politica di debolezza nei confronti dell’islamismo. Ma anche durante le primarie socialiste per la scelta del candidato presidente del 2017, è l’ex primo ministro Manuel Valls a definire come islamo-gauchiste l’avversario principale, e poi candidato socialista, Benoît Hamon: “La teoria di Hamon” disse Valls “è chiara: è normale che ci sia il comunitarismo perché i musulmani sono maltrattati”.

All’epoca il sociologo del Cnrs Marwan Mohammed dichiarò all’Express che l’azione di Valls puntava non a dibattere con Hamon, ma a squalificarlo moralmente:

È un termine manicheista semplicistico, che oppone il bene contro il male, i realisti contro gli utopisti, i musulmani moderati contro gli islamisti. Chi l’utilizza rifiuta di vedere la complessità dei fenomeni sociali e si accontenta di scomunicare i propri avversari.

Dal definire quei militanti di estrema sinistra che condividevano con l’islamismo radicale e moderato alcuni obiettivi di lotta politica, il termine oggi ha un significato così ampio che vi sono ricompresi tutti coloro che nella sinistra politica, dei media e della cultura rifiutano di denunciare l’islam radicale, se non l’islam tout court. 

Sono infatti gli attentati a segnare un radicalizzazione nell’uso del termine. Dopo gli attentati del 2015, è Elisabeth Badinter, certamente non appartenente al mondo della destra, ad utilizzare il termine in un editoriale di Le Monde, per denunciare la tolleranza della sinistra rispetto al “comunitarismo” islamico, l’altra parola chiave che spesso si accompagna all’islamo-gauchisme.

Già perché per alcuni la conseguenza dell’atteggiamento molle della sinistra nei confronti dell’islamismo e dell’islam la porta a non rendersi conto dei pericoli del comunitarismo per il modello repubblicano francese fondato sulla libertà, l’uguaglianza e la fraternità. L’islamismo, e spesso per alcuni l’islam in generale, punta infatti a sottomettere tutti i cittadini francesi alle norme di un gruppo minoritario, nel rispetto delle opinioni, delle credenze e dei comportamenti di quel gruppo minoritario.

Ma anche il termine “comunitarista” è un termine peggiorativo. Spesso usato in Francia, da destra a sinistra, per descrivere le minacce generali alla laicità, al nazionalismo, all’universalismo e all’individualismo. Vale a dire qualsiasi percezione di una minaccia al modello repubblicano francese.

Per quanto sia un termine molto contestato in ambito accademico, la politica lo rende parte attiva del dibattito pubblico, designando come espressione del comunitarismo qualsiasi forma di negazione dell’unità della République. Come l’islamo-gauchisme, anche il termine comunitarismo nasce nell’ambito del confronto-scontro della classe politica e intellettuale con il dibattito sulla laicità e in modo particolare con l’uso del velo a scuola. Generalmente chi si oppone, da destra a sinistra, all’uso del velo nella scuola pubblica parla di minaccia del comunitarismo. 

Rispetto al linguaggio del passato è però lo stesso presidente Emmanuel Macron a segnare una rottura, una delle molte – e inosservate – rispetto al modello culturale e politico-istituzionale francese. Il presidente infatti dichiara di non amare il termine “comunitarista“ perché la République può avere della comunità, che non possono però essere considerate come “un modo per sottrarsi alla leggi dello stato”. E quando annuncia un giro di vite rispetto all’islamismo radicale, presenta le linee di un disegno di legge contro il “separatismo islamista”, il vero problema per Macron:

[…] un progetto politico-religioso cosciente, teorizzato, che si concretizza in ripetute deviazioni dai valori della Repubblica […] Noi stessi abbiamo costruito il nostro separatismo. È quello dei nostri quartieri, è la ghettizzazione che la nostra Repubblica, inizialmente con le migliori intenzioni del mondo, ha permesso che avvenisse […]. 

Poi ci sono stati l’omicidio di Samuel Paty a Conflans-Sainte-Honorine e l’attacco alla cattedrale di Nizza. Eventi che hanno seppellito il dibattito semantico. Anzi il ministro dell’interno, Gérald Darmanin, che arriva dalle fila della destra repubblicana, reintroduce il termine “comunitarismo”, attaccando i supermercati e lo spazio dedicato alla cucina “comunitarista” (leggi non francese).

Al di là delle saldature che possono esservi tra islamismo radicale ed estrema sinistra, molti continuano a segnalare però che il problema rimane il modello repubblicano francese, fondato su quest’identità collettiva alla quale la comunità dei cittadini aderisce. È il cittadino francese l’unità fondamentale della Repubblica. Con una conseguenza: sono riconosciuti e integrati solo gli individui e non le comunità. E all’indivisibilità della nazione si aggiunge il superamento di ogni particolarismo, in particolare di quello religioso.

Tuttavia il modello francese si scontra con una realtà più complessa. Come hanno dimostrato la morte di George Floyd negli Stati uniti e la reazione della comunità nera francese. 

Parigi come Minneapolis

L’uccisione di George Floyd da parte della polizia di Minneapolis ha infatti contribuito ad alimentare il dibattito pubblico sul modello repubblicano. Inizialmente la discussione ha riguardato la violenza e il razzismo della polizia francese, come le manifestazioni per conoscere la verità sulla morte di Adama Traoré, ricalcando la discussione negli States.

Ma poi si è cominciato a discutere di “razza”, un termine tabù nel dibattito pubblico d’Oltralpe, proprio in virtù di questo modello repubblicano che gli anglosassoni definirebbero “color-blind”. La Francia è “cieca” rispetto alle differenze razziali e per questa ragione non può essere pronunciata la parola. Perché metterebbe a rischio il patto repubblicano e universalista francese dove le differenze razziali vengono puramente e semplicemente ignorate, vuoi per incapacità di riconoscere le differenze, vuoi per un timore di costruzione di un razzismo naturale.

Il problema però è che il modello francese per molti cittadini non bianchi non è davvero cieco rispetto ai pregiudizi razziali, come si vorrebbe credere. La società francese è diventata infatti più diversificata e la discriminazione rimane radicata

Il Covid-19 ha messo in rilievo queste differenze. L’Insee (l’Istat francese) ha pubblicato infatti uno studio che sottolinea le disuguaglianze etnico-razziali rispetto alla pandemia, che affligge in maniera più pesante i cittadini originari del Maghreb e ancor più quelli dell’Africa sub-sahariana, con tassi di mortalità più elevati. 

La sensibilità francese per il problema è molto elevata. Tanto che la stessa raccolta dei dati statistici solleva polemiche. Se molti infatti suggeriscono l’utilità di raccogliere dati su base etno-razziale per combattere le discriminazioni attraverso politiche più orientate, è la paura che questi studi possano mettere in discussione l’universalismo repubblicano a inquadrarne e restringerne l’uso. La scorsa estate l’allora portavoce del governo Sibeth Ndiaye aveva chiesto di riaprire il dibattito sulle “statistiche etniche”, per guardare in faccia la realtà, quale essa è veramente, rispetto alle discriminazioni subite dai cittadini francesi non bianchi. Polemiche a non finire.

Se Ndyae non ha parlato direttamente di privilegio dei bianchi – “white privilege” – è però stato lo stesso Macron a farlo in un’intervista a dicembre dello scorso anno a L’Express. Alla domanda specifica della giornalista sull’esistenza di questo “privilegio”, Macron ha risposto dicendo che è un dato di fatto: 

Nella nostra società, essere un uomo bianco crea condizioni oggettive che sono più facili per accedere a un lavoro come il mio, ad avere una casa, a trovare un lavoro, rispetto a un uomo asiatico, nero o nordafricano, o rispetto a una donna asiatica, nera o nordafricana.

Il presidente ha anche poi aggiunto che contano però anche i singoli percorsi e il merito, poiché questo “privilegio” non può essere il fattore principale di spiegazione della traiettoria di ciascuno.

Ma per molti le parole di Macron sono state una campanella d’allarme. Di più: una minaccia aperta al modello repubblicano francese. E soprattutto a una sua americanizzazione. Un processo quest’ultimo che è di fondo quello che preoccupa molti di coloro che hanno applaudito all’iniziativa della ministra dell’università contro l’islamo-gauchisme. Il filosofo Jean-François Braunstein, docente alla Sorbona, ha per esempio espresso chiaramente queste paure in un’intervista a Le Figaro:

Ciò che si sta accelerando soprattutto è il rapido arrivo in Francia delle teorie che stanno distruggendo le università americane. Esisterebbe, in Francia come negli Stati Uniti, un “razzismo sistemico”, che interesserebbe tutti i bianchi, e un “privilegio bianco”, una specie di peccato originale dal quale i bianchi non potranno mai sbarazzarsi completamente. Il razzismo diventa una sorta di razzismo inverso, con i bianchi che sono tutti colpevoli, indipendentemente da ciò che fanno o dicono.

Un’americanizzazione, secondo il filosofo, che non riguarda solo le questioni razziali e religiose ma che interessano anche altri campi della ricerca:

Gli studi di genere mirano a cancellare la dimensione biologica della differenza tra i sessi. La biologia è squalificata come scienza patriarcale e virile. I generi sarebbero solo identità scelte liberamente. Il “trans” o il “queer”, con il genere “fluido”, sono i nuovi eroi mentre la mascolinità è ancora “tossica”. Per porre fine al cosiddetto dominio patriarcale, la scrittura inclusiva tende a generalizzarsi nelle università: si tratta di cambiare la lingua per far cambiare idea. Stiamo creando nuove specialità universitarie, sul modello degli “studi” anglosassoni: studi sulla razza, studi decoloniali, studi sul genere ma anche studi sugli animali, sulla disabilità, sul peso o sulla pornografia. Non è più l’oggetto che conta, ma l’adesione a determinati presupposti: di questi temi può parlare solo chi è d’accordo con l’approccio militante e vittimistico di questi “studi.

Per quanto però Braunstein sia critico, la realtà sociale francese cambia molto più rapidamente di quanto non siano soliti pensare i difensori del modello repubblicano.

Se è vero che esiste un certo radicalismo – che tuttavia come ogni forma di pensiero anticonformista, ovviamente non violento, dovrebbe essere un utile stimolo nel dibattito democratico -, associazioni e movimenti cominciano a parlare apertamente tanto di affirmative action, la discriminazione positiva, quanto di rappresentanza della diversità anche nella produzione televisiva, filmica e culturale in generale. Lo stesso lavoro di ricerca storica sul passato schiavista e coloniale del paese, una negazione stessa dei valori che il modello repubblicano intenderebbe difendere, è lungi dall’essere terminato. Come hanno dimostrato le polemiche sulle statue e sui nomi delle vie che dagli Stati Uniti è giunta in Francia.

Perché secondo molti questo famoso modello repubblicano assimilazionista in realtà nega la possibilità di comunità differenti. E nel farlo esclude quella parte di cittadini non bianchi, che in quelle comunità hanno ritrovato sostegno e appoggio nel loro percorso migratorio. Che poi dal quel percorso migratorio iniziale pochi siano i successi, dovrebbe essere un problema che la classe politica dovrebbe porsi. 

Ma come ha ricordato al New York Times Gérard Araud, ex ambasciatore francese negli Stati Uniti: 

L’universalismo funziona abbastanza bene quando non ci sono troppi immigrati o quando sono cattolici e bianchi. Ma al confronto con islam e i neri, il modello ha evidentemente raggiunto i suoi limiti.

Così il dibattito oggi è tra i sostenitori dell’universalismo, un bell’ideale, e coloro che dicono che è un bell’ideale ma che non funziona più.

Sibeth Ndiaye, ex portavoce del governo
“Islamo-gauchisme”. Il modello républicain scricchiola ultima modifica: 2021-02-20T16:52:14+01:00 da MARCO MICHIELI
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