I l discorso del presidente Draghi al Senato, poi trasmesso alla Camera, ha generato un equivoco e, per conseguenza, diverse interpretazioni laddove parla dei problemi della scuola e di come affrontarli, con riferimento alla formazione tecnica: Draghi ha citato gli Itis, ma forse si riferiva agli Its. L’equivoco si è protratto fino ad arrivare a un’interpretazione più diffusa: Draghi voleva parlare proprio degli Its, Istituti tecnici superiori.
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Io non so perché il presidente abbia involontariamente generato questo equivoco: se sia un refuso (Itis, volendo scrivere Its), se sia l’errore di un collaboratore o se sia l’equivoco generato da un non addetto ai lavori di scuola, ma più interessato al mondo del lavoro.
Sta di fatto che l’equivoco c’è, ed è necessario risolverlo.
Per mio conto, credo che il presidente Draghi volesse riferirsi innanzitutto alla formazione tecnica fornita dagli istituti tecnici della scuola secondaria di secondo grado (Itis, come acronimo generico). Mi sono fatto questa convinzione non solo per l’esplicito uso dell’acronimo che a essi fa riferimento, ma anche per i dati che Draghi propone nel suo intervento, laddove dice che
è stato stimato in circa tre milioni, nel quinquennio 2019-23, il fabbisogno di diplomati di istituti tecnici nell’area digitale e ambientale.
Qui si parla esplicitamente di diplomati di istituti tecnici; del resto è evidente che gli Its in Italia, per il loro assetto attuale, ci metterebbero decenni per produrre tre milioni di diplomati.
Bisogna pensare che i corsi di formazione tecnica superiore in Germania impegnano circa 750.000 giovani, circa 500.000 in Francia, mentre in Italia siamo sull’ordine dei 13.000.
Ma, quindi, da cosa si evince che Draghi potesse riferirsi agli Its e non agli Itis? Da una altro dato riportato nella sua relazione:
Il Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza assegna 1,5 md agli ITIS, venti volte il finanziamento di un anno normale pre-pandemia. Senza innovare l’attuale organizzazione di queste scuole, rischiamo che quelle risorse vengano sprecate.

In verità il PNRR assegna quel finanziamento all’implementazione degli Its, ovvero alla formazione tecnica superiore post-secondaria.
Come ormai tutti sanno (in ritardo, perché era meglio accorgersene e darsi da fare dieci anni fa) gli Its rappresentano una risorsa straordinaria di connessione con il mondo del lavoro, tanto che
circa l’ottanta per cento dei diplomati ITS risultano impiegati entro un anno dal titolo e il novanta per cento di essi inizia a lavorare nella specifica area di interesse (Tuttoscuola).
In questo campo c’è molto da fare, perché l’organizzazione e la gestione dei corsi Its è legata all’impegno di Regioni e fondazioni private. La loro proiezione nel territorio e nel futuro dipende proprio dalle aree di interesse in cui si sviluppa questo tipo di formazione: i settori tecnologici strategici per lo sviluppo economico legati al Made in Italy, ma altri settori potranno svilupparsi in relazione a Industria 4.0.
Detto questo, bisogna però aggiungere che gli Its rappresentano uno strumento per dare continuità agli studi tecnici e professionali.
Oggi come oggi non esiste la possibilità, per un giovane, di dare continuità agli studi professionali e tecnici, se non con l’accesso all’università, ma non tutti i giovani vogliono o possono accedere all’università, ecco perché serve la creazione (il potenziamento vero) di un altro canale.
In realtà esistono anche alcune “lauree professionalizzanti”, ed è importante che queste tipologie di formazione post-secondaria si coordinino, per evitare sovrapposizioni o percorsi autoreferenziali, senza collegamenti reali e verificabili con il mondo del lavoro. Come è importante che si creino passerelle di connessione tra gli Its e i percorsi universitari, affinché un giovane diplomato Its possa completare la sua formazione con una laurea.

Tornando a Draghi, probabilmente voleva parlare della formazione tecnica in un itinerario che inizia dagli Itis e giunge agli Its, e questo riguarda in generale la formazione tecnica in un paese che – fatte salve le eccezioni – non ha puntato su formazione tecnica e professionale di qualità.
Basterebbe considerare i trend di iscrizione alla scuola superiore per capire come sia necessario lavorare sulla qualificazione dei percorsi di formazione tecnica e professionale.
Il 57,8 per cento degli studenti – in crescita dell 1,5 per cento – sceglie un indirizzo liceale (6,5 per cento in calo al liceo classico); il 30 per cento – in calo dello 0,5 per cento – sceglie un indirizzo tecnico; e il 12 per cento – in calo dell’uno per cento – un corso professionale.
Ma anche la distribuzione territoriale è significativa: l’interesse per i licei è maggiore in Lazio, Campania, Abruzzo e Sicilia; meno interesse in Veneto ed Emilia Romagna. Del resto, e non a caso, visto l’assetto economico e produttivo territoriale, Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Friuli hanno più adesioni ai Tecnici e ai Professionali.
Certo, se volessimo addentrarci nel discorso, dovremmo evidenziare come la formazione professionale sia divisa tra Stato (Istituti professionali) e Regioni (Istruzione e Formazione professionale) e forse sarebbe necessario che fosse istituzionalizzata la relazione stretta che ci dovrebbe essere – per non dire che formazione e istruzione professionale dovrebbero essere coordinate e regionalizzate, dovendo operare in stretta connessione con il territorio, ma serve comunque un territorio che crei opportunità.

A questo punto appare evidente il legame tra istruzione e formazione e territorio, e appare chiaro che i percorsi di istruzione e formazione non possono essere solo “ideologici” o “ideali”, ma devono dialogare con il contesto, e il dialogo deve essere interattivo.
Se poi volessimo affrontare il tema dal punto di vista della dispersione scolastica, ci accorgeremmo che in Italia essa ha una dimensione molto preoccupante anche tra i giovani diplomati. Dice Tuttoscuola che
tra chi si diploma e si iscrive all’università, uno su due non ce la fa. Complessivamente su cento iscritti alle superiori solo 18 si laureano. Ma poi un quarto dei laureati va a lavorare all’estero… E il 38 per cento dei diplomati e laureati che restano non trovano un lavoro corrispondente al livello degli studi che hanno fatto. Un disastro.
E con questo chiudo, perché il mio ragionamento era nato per chiarire l’equivoco generato dal discorso di Draghi in Senato. Ma quell’equivoco ha permesso di mettere a fuoco come l’intervento di riqualificazione dei percorsi di formazione tecnica e professionale assuma carattere strutturale e sia strategico per il futuro economico e sociale del paese: non solo per dare forza lavoro qualificata al sistema produttivo, ma anche per dare opportunità di lavoro e di miglioramento ai giovani.
Qualcuno parlerà di sottomissione della scuola al “capitale”, ma pazienza: è un rischio da correre, perché la situazione odierna è ormai insostenibile.

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1 commento
Bellissimo articolo Dott. Sbarra.
Ho scoperto il tema degli ITS attraverso l’ultima puntata del podcast Actually di Will Media (ad esempio su Spotify) e mi sono imbattuto su questo suo articolo.
Sicuramente un tema da divulgare perché il potenziale di questi ITS credo sia notevole.
Ho completato la mia formazione terziaria con un corso sulla gestione dei sistemi formativi aziendali nella Fachhochschule della Svizzera Nord Occidentale (FHNW) e sono estremamente soddisfatto dello sbocco lavorativo che mi ha offerto.
Fachhochschule è tradotta nella svizzera italiana in Scuola Universitaria Professionale e in inglese è Università delle Scienze Applicate: mi chiedo se lo stesso nome possa rimuovere l’ambiguità attorno a questo nome.
“Istituto” nella testa delle persone si collega alla formazione secondaria (le superiori) e non alla formazione terziaria.