Nel ciclo di visite guidate speciali all’M9 Museo del 900 di Mestre, sono stato invitato a proporre un tema di mia scelta, per illustrare un aspetto per me significativo del secolo scorso. Pensando alla prossima ricorrenza dei cinquant’anni del manifesto, a cui sono personalmente legato, ho scelto di raccontare un decennio, gli anni Settanta, che inizia con la nascita proprio del “quotidiano comunista” e che segna una fase irripetibile d’innovazione per l’informazione del nostro paese, dentro un radicale processo trasformativo della società italiana. Qui di seguito il testo dell’intervento (19 febbraio 2021).

Il prossimo 28 aprile il manifesto compirà cinquant’anni. Una lunga storia destinata a continuare. Che il “quotidiano comunista” sia arrivato fin qui, è già di per sé impresa straordinaria. Un miracolo, la sua stessa esistenza. Luigi Pintor definiva il giornale che aveva fondato un calabrone. Un corpo grande, ali piccole, eppure vola.
Usciamo con solo quattro pagine, senza null’altro che un notiziario politico, senza abbellimenti o manipolazioni, nella persuasione che uno sforzo di semplicità e di chiarezza può valere più di tutto il resto.
Così scrive Pintor, nell’editoriale del primo numero.
Un’essenzialità che è anche nella bella, innovativa, severa grafica, opera di Giuseppe Trevisani, zero foto, sommarioni d’apertura, dove spiccano grandi firme, anche internazionali, come quella del mitico K. S. Karol.
Il manifesto quotidiano, “figlio” del mensile omonimo, nasce all’inizio di un decennio destinato a segnare un passaggio epocale, tra la fase del dopoguerra – quella della ricostruzione e del miracolo economico – e la fase della modernizzazione sociale, culturale, perfino antropologica, del nostro paese e della trasformazione dei nostri stili di vita.

Gli anni Settanta sono un periodo di grande e diffusa politicizzazione, di permanente mobilitazione politica, di irripetibile creatività, fermento d’idee e produttività culturale e artistica. Un periodo rivoluzionario, non solo negli slogan, ma nello spirito del tempo, ed è rivoluzionario anche nei suoi risvolti drammatici, terribili, che, però, solo uno sciatto approccio ideologico mette in primo piano, sintetizzando il decennio sotto l’etichetta di “anni di piombo”. Indicando cioè nel terrorismo il carattere distintivo e prevalente, più rimarchevole, dell’epoca, e mettendo in un unico contenitore storico, politico ed etico stragismo fascista, strategia della tensione e sovversivismo armato di sinistra. E collocando in secondo piano tutti gli altri aspetti che meritano di essere posti in primo piano.
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Quel decennio, infatti, fu molto di più che la sua riduzione a un fenomeno, pur di forte rilievo e di enorme impatto, come fu il terrorismo. Sono gli anni della contestazione studentesca, delle lotte operaie, dei movimenti politici, delle battaglie per diritti come quello per il divorzio e per la libertà d’aborto, per l’abolizione dei manicomi, delle riforme nei campi della sanità, del lavoro, dell’editoria, del femminismo, dei diritti gay, di solidarietà internazionale con popoli oppressi e sottomessi all’imperialismo o nuove forme di colonialismo. La tutela dell’ambiente diventa un tema politico. Sono anni di partecipazione e condivisione, di studio di testi fondamentali del pensiero filosofico e dei classici del marxismo, di elaborazione di teorie, di critica della scienza, del sistema giudiziario, di impegno per il diritto alla rappresentanza sindacale delle forze dell’ordine, della GdF, dei militari.
In quel decennio esplodono conflitti fecondi che ridefiniranno la società, la politica, le relazioni tra le persone e che, certo, nella loro deflagrazione produrranno anche violenza, vittime, lutti, paure, sentimenti estremi, con una lunga scia di rancori mai del tutto elaborati.
È un periodo che rivoluziona il mondo dei media, dell’editoria, della comunicazione.
Se l’inizio del decennio è segnato dalla nascita del manifesto, la sua conclusione vede in circolazione ben cinque quotidiani dell’estrema sinistra. Nel 1979 sono pubblicati e diffusi il manifesto, Lotta continua (1972-1982), il Quotidiano dei lavoratori (1974-1979), La sinistra e Ottobre.

Certo gli ultimi due quotidiani sono effimeri – La sinistra, il giornale del Movimento dei lavoratori per il socialismo, dura cinque mesi, Ottobre, organo del Partito comunista d’Italia (m-l) neppure trenta giorni – ma sono comunque parte di un fenomeno che dà la misura del fermento politico e culturale a sinistra e che si riflette nella diffusione di ben cinque quotidiani autofinanziati. Senza contare la miriade di pubblicazioni d’ogni genere e periodicità, ovunque in Italia, rivolte a un pubblico avido di informarsi e di formarsi, al di fuori dei recinti stabiliti dal potere. Numerose e battagliere sono le tante pubblicazioni nel campo femminista, Differenze, Sottosopra, Quotidiano donna, Grattacielo, Tuttestorie. Ed è un proliferare di iniziative editoriali che interessano anche il mondo cattolico lungo la scia di riviste come Testimonianze di Ernesto Balducci e Questitalia del veneziano Wladimiro Dorigo, nate sull’onda del Concilio Vaticano II.
I lettori di questa stampa “alternativa” sono gli stessi che fanno la fortuna di case editrici come Feltrinelli, Einaudi, Dedalo, Editori Riuniti, Laterza, Samonà e Savelli. Si legge molto, si studia molto, molto tempo è dedicato alla discussione. Il cliché del voto “politico”, con il sottotesto di una generazione indisciplinata e priva di una valida formazione universitaria, racconta un mondo che è l’opposto di quello reale. Mai si è letto e studiato come in quegli anni, anche se fuori e contro i perimetri della cultura “borghese”, allora ancora molto collegata all’eredità del Fascismo.
L’esistenza di questi nuovi organi di stampa non è solo lo specchio della febbrile mobilitazione in atto nella società italiana, specie nel mondo giovanile, ma è dentro un profondo processo trasformativo che attraversa l’informazione italiana – stampa, radio e poi tv – e, più in generale, la produzione culturale. Il vento del cambiamento investe anche quelli che all’epoca sono chiamati giornali borghesi o giornali dei padroni, definizione più reale che ideologica, considerando che il grosso della stampa è nelle mani delle grandi imprese: industriali, petrolieri, costruttori, armatori.
Ci sono le eccezioni notevoli, come Il Giorno, L’Espresso, Paese Sera, L’Ora, Il mondo. E ci sono giornalisti combattivi e impegnati del calibro di Camilla Cederna, Corrado Stajano, Eugenio Scalfari, Lino Jannuzzi, Vittorio Gorresio, Natalia Aspesi, Giorgio Bocca, Italo Pietra, Miriam Mafai, firme che poi saranno tra i protagonisti principali del rinnovamento dei media mainstream, con la nascita di nuove testate e con la trasformazione di tante di quelle esistenti. Un processo favorito anche da altri fattori.
Nelle redazioni c’è effervescenza, e intanto è in corso un’evoluzione tecnologica nella fattura dei giornali, che, negli anni e nel decennio seguenti, diventerà incalzante. Cambia il sistema di distribuzione e diffusione che diviene più veloce e ramificato, grazie alla trasmissione via satellite verso tipografie in diverse parti dell’Italia. Fino ad allora il sistema di distribuzione e diffusione di un quotidiano a livello nazionale era penalizzato dalla conformazione territoriale del paese – lunga e stretta – e dalla grave inefficienza del sistema postale, con pesanti riflessi negativi sulla vendita per abbonamento.
Sono cambiamenti che si riverberano nel lavoro redazionale, anch’esso costretto a cambiare. L’atmosfera nelle redazioni si anima. Qualcosa si muove nella categoria, emerge sempre più la consapevolezza nei giornalisti più avvertiti di essere parte di una realtà rimasta indietro rispetto a tempi che ora si muovono tumultuosamente. Ci s’interroga sulla propria funzione, sui meccanismi che governano i giornali, sul peso che può avere la pressoché totale assenza di editori “puri”, e quindi di una stampa effettivamente libera.
Scrive Corrado Stajano nell’introduzione a Come si diventa giornalisti di Piero Morganti (Einaudi 1979)
In quegli anni i giornalisti si stanno muovendo, costituiscono dei comitati per la libertà di stampa e per la lotta contro la repressione, mettono in discussione i dogmi consolidati del mestiere, riconsiderano in una luce nuova la loro figura, i loro doveri e diritti, pongono le basi dei futuri comitati di redazione. I giornali degli anni Settanta sono stati in Italia ricchi di fervore, di vitalità, esempi di una informazione che ha tentato di affrancarsi da vecchie pastoie, da reticenze, bugie, omissioni, manipolazioni.
La rivoluzione nell’informazione di sinistra è tumultuosa negli anni Settanta ma non arriva all’improvviso. È preparata, negli anni Sessanta, dal fiorire di riviste e di iniziative editoriali, come Quaderni rossi (1961), diretta da Raniero Panzieri, Quaderni piacentini (1964) diretta da Pier Giorgio Bellocchio, La sinistra (1966) diretta da Lucio Colletti e Giovane critica (1963) diretta da Pio Baldelli e poi da Giampiero Mughini. Il 23 giugno 1969 esce il manifesto, rivista mensile di un’area di compagni e compagne, radiati dal Pci, in dissenso esplicito con la linea del partito, in particolare sulla relazione con l’Unione sovietica, dissenso che diventa contrasto insanabile in seguito all’invasione della Cecoslovacchia. Nel settembre del 1969, esce il settimanale di Potere operaio, che diventerà mensile.
Alle riviste teoriche s’associa un proliferare di tante piccole iniziative editoriali autonome, locali e nazionali, sull’onda delle contestazioni studentesche e delle proteste operaie, specie alla fine degli anni Sessanta.
È il fenomeno della controinformazione, che legittimamente intende contrastare un’informazione che è prevalentemente di regime, e che prende le distanze anche dall’informazione prodotta dalla sinistra parlamentare, come l’Unità e Rinascita, considerata strettamente di partito e ostile ai movimenti che agitano la società e la cultura. C’è da dire che la stampa del Pci vanta vendite rilevanti in quegli anni, specie la domenica e nelle giornate di mobilitazione, quando alle edicole s’affianca un’efficace distribuzione militante e quando la rete fitta delle sezioni, ancora ricca di vitalità, sono tanti centri in tutt’Italia di diffusione di Unità e Rinascita. E il laboratorio della nuova editoria della sinistra extraparlamentare avrebbe avuto un effetto positivo sui giornali e sui giornalisti del Pci, anch’essi coinvolti nel processo d’innovazione dell’epoca.
Di un mondo giovanile in fermento, negli anni Sessanta, parlano anche gli stessi giornalini pubblicati dagli studenti liceali, prodromi al nuovo giornalismo militante. È il caso della Zanzara, del liceo classico milanese Parini, che nel 1966 pubblica un’inchiesta che fa scandalo tra i benpensanti, dal titolo Un dibattito sulla posizione della donna nella società cercando di esaminare i problemi del matrimonio, del lavoro femminile e del sesso.

Con la strage di piazza Fontana e il clima di stretta autoritaria, tra voci ricorrenti di golpe, si fa impellente, nella sinistra extraparlamentare e non solo, l’esigenza di andare oltre la pubblicazione d’inchieste, come La Strage di stato, che pure ha un enorme risonanza (cinque edizioni, centomila copie), e di fogli di nicchia. È necessario contrastare la stampa dei padroni con propri giornali, competitivi nel loro stesso mercato. La forza in più rispetto ai media borghesi è data dalla militanza che – oltre alla distribuzione nelle edicole – si fa carico della diffusione nelle numerose, frequenti manifestazioni di quegli anni.

A metà anni Settanta esplode il fenomeno delle radio libere. A Roma nasce Radio Città Futura, che avrà un ruolo nella mobilitazione alla Sapienza per contestare violentemente il comizio di Luciano Lama dentro l’università. Nel frattempo, dopo la sentenza della Corte costituzionale numero 202 del 28 luglio 1976 che sancisce la liberalizzazione dell’etere, nascono anche Radio Popolare a Milano, Radio Sherwood a Padova, Radio Alice a Bologna, e molte altre radio. Nel 1976 sono 582, nel 1977 sono 1176, nel 1978 sono 2500.
Le radio indipendenti hanno realizzato la figura del corrispondente a gettone. È un ragazzo qualsiasi, magari informalmente legato alla radio, che entra in una tabaccheria, acquista dieci gettoni e informa in diretta la radio di quello che sta vedendo. È una riduzione nella tecnica del giornalismo, abbiamo un giornalismo dell’istantaneo… (Umberto Eco, Con qualche radio in più, Corriere 21 marzo 1977, citato da M. Veneziani)
In questo clima, 14 gennaio 1976, nasce a Roma la Repubblica, un giornale che può contare su un capitale iniziale di tutto rispetto, impensabile per i quotidiani dell’estrema sinistra, un quotidiano che può vantare di avere un editore “puro” (la Mondadori vi ha una parte di rilievo).

Scrive Massimo Veneziani, in Controinformazione: stampa alternativa e giornalismo d’inchiesta dagli anni Sessanta a oggi (Castelvecchi, 2006):
I giornali subiscono un salutare cambio generazionale: i giovani provenienti dal movimento si sparpagliano per il mondo dell’editoria. Le redazioni si svecchiano, scompaiono i redattori e gli inviati che si sono formati durante il Fascismo, facendo spazio alle nuove leve giunte dalle esperienze sessantottine. I giornali si aprono poi a interventi esterni: gli editoriali, che erano stati fino ad allora di esclusiva competenza del direttore, vengono redatti anche da opinionisti extra redazione, i cui interventi erano prima inseriti come articoli di spalla. Il Corriere diretto da Piero Ottone, ad esempio, ha la nuova rubrica Tribuna aperta che ospita opinioni differenti di varie personalità della cultura e del mondo accademico, voci anticonformiste e non tradizionali. In tal proposito, Pier Paolo Pasolini inizia la sua collaborazione con il Corriere della Sera il 7 gennaio 1973.
Il Messaggero, il giornale della città della Santa Sede, conduce una vera e propria campagna per il NO al referendum per il divorzio, un impegno che implica una notevole e rapida innovazione del quotidiano, a partire dalla veste grafica, opera di Pasquale Prunas, vero leader di una redazione molto impegnata e capo di una “scuola” che rivoluziona le vesti grafiche dei giornali introducendo importanti novità sul piano formale, come l’uso di fotografie a piena pagina con titoli incisivi e lapidari, tra cui il NO gigantesco all’abolizione del divorzio e la pagina dedicata allo sbarco sulla Luna. Suo allievo, Piergiorgio Maoloni, tra i massimi grafici degli anni Ottanta e Novanta, che ridisegnerà diversi quotidiani in Italia e in Europa.
D’altra parte quel periodo fu il vero punto di svolta nell’affermazione di nuovi professionisti dell’informazione, molti dei quali formatisi proprio nei giornali e nelle radio della sinistra extraparlamentare. Quella generazione è ancora attiva, molti in posti di rilievo, ma è già da tempo che si stanno affermando nuove generazioni, meglio attrezzate a fronteggiare la nuova rivoluzione nel campo dei media, altrettanto e forse più imponente di quella degli anni Settanta, questa volta dettata più che dalla politica dall’innovazione tecnologica.


Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!
1 commento
bellissimo e interessantissimo articolo. grazie.