La nostra rivista pubblica volentieri la lettera aperta al Pontefice, in occasione del suo prossimo viaggio in Iraq, in marzo. L’iniziativa, partita dall’Associazione Verso il Kurdistan, ha raccolto 263 adesioni nel mondo della cultura e dell’associazionismo. Hanno firmato, tra gli altri, Moni Ovadia, Carlo Petrini, Padre Alex Zanotelli, Raniero La Valle, Nando Dalla Chiesa, Massimo De Vita, Milena Nebbia, giornalista ed educatrice
All’attenzione del Santo Padre,
nei giorni scorsi è stata diffusa la notizia di una Sua visita, prevista per il mese di marzo 2021, nelle martoriate terre irachene, quelle terre percorse tutt’oggi da venti di guerra e da violenze indicibili che hanno mandato in frantumi comunità multietniche e multiconfessionali, creando fratture profonde nella millenaria storia di convivenza mediorientale.
Abbiamo appreso che il Suo viaggio avrà come prima meta la città di Erbil, capitale della regione del Kurdistan iracheno dov’è presente anche un’importante comunità cristiana nel quartiere di Ankawa. Toccherà poi Baghdad, la capitale dell’Iraq e la città di Mosul, città rimasta tristemente nota come la capitale del califfato dell’Isis, ma anche per le persecuzioni contro i cristiani di Quaraqosh, antico insediamento assiro, un tempo il più grande centro della cristianità in Iraq. Quelle terre non possono non farci ricordare la figura di Padre Dall’Oglio, esule a Suleymanya, poi rapito o ucciso in Siria.
Santità, noi Le chiediamo che, oltre a incontrare queste comunità, nell’ambito di un discorso umanitario e di pacificazione, ci sia la possibilità d’incontrare anche i profughi del campo di Makhmour, nella provincia di Mosul, e le comunità yazide di Sinjar, nell’Iraq nord occidentale, al confine con la Siria.
Nel campo profughi di Makhmour vivono oggi 14.000 profughi provenienti dalla regione del Botan, dove l’esercito turco, negli anni ’90, aveva evacuato con la forza i villaggi di confine, abitati da contadini e pastori, accusati di aiutare i militanti del Pkk.
Questi profughi avevano attraversato le montagne coperte di neve che separano la Turchia dall’Iraq giungendo nella piana di Ninive. In quella traversata morirono 300 persone e circa 600 rimasero ferite da bombe, gelo e mine.
Costretti a cambiare per nove volte destinazione, si sono infine accampati in pieno deserto, in un luogo allora denominato “valle della morte”; in questo luogo hanno ricominciato a vivere, piantando alberi, dissodando terreni, allevando bestiame, aprendo scuole e cooperative. Oggi, Makhmour è una comunità autogestita, caratterizzata da una forte democrazia dal basso e di genere.
Pur tuttavia, i problemi del campo non sono finiti: abbandonata dall’UNHCR, la comunità è sotto embargo dal 2019. Inoltre, i droni turchi hanno bombardato il campo più volte e l’ISIS ha fatto frequenti incursioni armate uccidendo e seminando il terrore tra la popolazione. A questo si è aggiunta recentemente la pandemia di coronavirus che ha già mietuto le prime vittime.
Sinjar è stata teatro di scontri violentissimi tra l’ISIS e le minoranze etniche e religiose presenti nell’area, in particolare quella dei kurdi yazidi, vittime di un vero e proprio genocidio. Gli uomini e gli anziani sono stati trucidati in massa, mentre donne e bambine sono state ridotte a schiave del sesso e vendute sui mercati di Mosul e Raqqa per cifre tra i 5 e i 20 dollari, mentre i ragazzini sono stati arruolati e indottrinati dai miliziani islamisti come bambini-soldato.
La città, dopo diversi tentativi, è stata riconquistata dai peshmerga e dal Pkk il 13 novembre 2015. Negli anni successivi sono state rinvenute numerose fosse comuni, piene di corpi con le teste forate dai proiettili sparati alla nuca delle vittime.
Nel 2018, un’attivista yazida, Nadia Murad, è stata insignita del Premio Nobel per la pace, dopo essere stata rapita e resa schiava sessuale dai miliziani dell’Isis.
Oggi, purtroppo, il mondo sembra essersi scordato dei massacri subiti dagli abitanti del campo profughi di Makhmour e di Sinjar.
Noi, firmatari di questa lettera aperta, Le rivolgiamo un accorato appello affinché il grido sofferente di queste comunità non resti inascoltato.
Le chiediamo di prestare ascolto, nel corso del Suo viaggio pastorale in Iraq, alle sofferenze di queste popolazioni, visitando le loro povere comunità, e comunque rivolgendo anche a loro un messaggio di pace, di serenità e di speranza nel futuro.
Grazie!
Alessandria, 25 dicembre 2020

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