Mikhail Gorbaciov arrivò a Cuba il 2 aprile 1989. Era accompagnato dall’inseparabile moglie Raissa e da uno stuolo di funzionari sovietici. Noi giornalisti presenti all’Avana entrammo subito in fibrillazione per l’atteso incontro tra il leader della perestojka e Fidel Castro, che di quella politica era critico. Nel 1988, il lider maximo aveva preso infatti una posizione fortemente scettica nei confronti della politica di riforme avviata da Gorbaciov a Mosca:
Nella storia delle rivoluzioni non ce sono due uguali. Se si fosse dato retta ai classici del marxismo, quella cubana non ci sarebbe mai stata. Cuba non ha mai copiato gli altri paesi socialisti. Gorbaciov sta risolvendo i problemi dell’Urss. Noi abbiamo problemi diversi.
Andammo all’aeroporto José Martí a ricevere il leader sovietico raggruppati come giornalisti in un autobus. Sembravamo delle sardine: eravamo tantissimi. Folla delle grandi occasioni lungo Rancho Boyeros, la strada che porta allo scalo aereo. Rigide norme di sicurezza dappertutto. Vedemmo Gorbaciov e Raissa scendere dalla scaletta del volo Aeroflot, salutare noi e la gente assiepata. Lei bella ed elegante, lui con il sorriso: più basso di statura del previsto, con la visibile e caratteristica “voglia” sulla fronte. Suonarono gli inni nazionali, poi Gorbaciov e Raissa passarono in rassegna i militari di occasione e posarono davanti a noi per le foto di rito. Non c’era più lo stile grigio brezneviano delle manifestazioni ufficiali. La coppia era sorridente e affabile.

Gorbaciov e Castro pronunciarono il giorno dopo due importanti discorsi di fronte al Parlamento cubano riunito nel Palacio de las convenciones, nel quartiere Siboney.
Non siamo affatto convinti che l’imperialismo abbia assimilato il nuovo pensiero internazionale di Mosca che parla di mondo ed Europa come casa comune,
disse Fidel che elencò le crisi regionali che restavano senza soluzione: Afghanistan, Angola, Namibia, Nicaragua. Poi, ricordò il debito estero che stava decapitando le economie dei paesi del Terzo mondo e sottolineò come fosse insensato pensare che Cuba dovesse seguire la via della perestrojka che muoveva in quel momento passi decisivi a Mosca.
Noi non dobbiamo fare i conti con Stalin e lo stalinismo, o con la collettivizzazione forzata delle campagne,
concluse Castro che pur sottolineando molte divergenze con l’Urss non si spinse fino alla rottura.

Gorbaciov, nella replica, ricordò la lunga amicizia tra i due paesi. Poi, espone la sua strategia:
La realtà dell’Urss ci ha posto una questione. O intraprendere la difficile via del rinnovamento rivoluzionario della nostra società, conferendo al socialismo una nuova qualità in accordo con gli ideali dell’umanesimo e del progresso, o proseguire nella vecchia strada rischiando di aggravare i problemi economici e sociali del nostro paese.
Il leader di Mosca si spiegò ulteriormente: no al parassitismo sociale, sì alla distribuzione dei benefici secondo il lavoro di ciascuno. Da queste idee – concluse – prendono le mosse glasnost e perestrojka. Dopo le riforme economiche, annunciò, verranno quelle politiche.

Quei “bolos” nell’isola
La quattro giorni cubana di Gorbaciov si chiuse con la sigla di un “Trattato di amicizia e solidarietà” che confermò le buone relazioni economiche tra Mosca e L’Avana. Ma non era tutto oro quello che luccicava. I giornalisti che seguirono la visita di Gorbaciov mettendo in rilievo le divergenze tra i due capi di Stato, scrissero nelle loro cronache: Mosca aveva deciso che d’ora in poi L’Avana dovesse fornire un resoconto dettagliato sull’utilizzo degli aiuti economici. Era dunque finita l’epoca dell’assistenzialismo in nome del socialismo. Fidel, in quelle stesse cronache, era descritto come un leader stanco e appartenente ormai a un’altra generazione, rispetto a quella rappresentata da Gorbaciov che voleva riformare il socialismo (pure io scrissi cose di questo tenore: eravamo entusiasti della nova Urss gorbacioviana).
Di fronte alle perplessità espresse da Fidel nei confronti della perestrojka, Cuba era tinteggiata in quel momento come una sorta di “Albania dei Caraibi”. Abbondarono le previsioni su un “Fidel solitario e sconfitto”, destinato a perdere i benefici degli anni della “guerra fredda” tra Mosca e Washington. Dalle edicole cubane, intanto, scomparvero le pubblicazioni di Mosca in lingua spagnola che raccontavano la nuova politica di Gorbaciov.

Dal 1985 – anno dell’elezione di Gorbaciov alla guida del Partito comunista dell’Urss – l’Africa era diventato argomento di polemica tra Cuba e Urss. Castro aveva ripetuto più volte che senza l’intervento internazionalista dell’Avana in Namibia non si sarebbe arginata l’offensiva dell’esercito del Sudafrica dell’apartheid. L’episodio clou fu quello della battaglia vinta dai cubani a Cuito Cuanavale nel 1988, mentre a Malta si svolgeva il primo summit tra Ronald Reagan e Gorbaciov: L’Avana, che non attese il via libera di Mosca, vinse quello scontro militare che si rivelò decisivo per l’indipendenza successiva della Namibia dal Sudafrica.
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I sovietici, nonostante gli ingenti aiuti economici a Cuba dal 1960 in poi, non erano stari mai ben visti sull’isola, dove venne loro affibbiato l’appellativo popolare e ironico di bolos (birilli) per il modo di vestirsi e gesticolare (oltre che per la fama di lavarsi poco e di puzzare molto alle temperature del caldo tropicale). Tra cubani e sovietici che convivevano a L’Avana c’era stima e solidarietà, non simpatia. Le loro sensibilità e i loro stili di vita erano molto diversi per andare d’accordo.

A conferma del dissidio Castro-Gorbaciov, qualche mese dopo la visita a Cuba del leader sovietico arrivò la notizia che il Cremlino aveva disposto il graduale ritiro dei contingenti militari dell’Urss da Cuba. Tra il 1989 e il 1990 un nutrito gruppo di giornalisti fece scalo a L’Avana, da cui venivano redatti articoli-fotocopia con gli stessi titoli: “L’agonia cubana”, “Gli ultimi giorni di Fidel Castro”. Si prevedeva la fine della rivoluzione cubana in mancanza di sostegno da Mosca e dall’Est europeo. Quanto accadeva nelle altre capitali dei paesi del “socialismo reale” e la dipendenza cubana da quelle economie sembravano dare ragione ai profeti di sciagure. Invece, Cuba nel 2021 è ancora lì con il suo socialismo scricchiolante, mentre la parabola politica di Gorbaciov si è chiusa del 1991.
Nel 1991, lo stesso Gorbaciov annunciò a James Baker, segretario di Stato americano, il definitivo ritiro dei militari sovietici da Cuba. L’Avana replicò con orgoglio ferito:
Le dichiarazioni pubbliche del presidente Gorbaciov non sono state precedute da consultazioni o da qualsiasi tipo di avviso previo. Si tratta di un atto non adeguato agli storici accordi tra i due paesi.
Successivamente, Cuba perse da un giorno all’altro l’aiuto economico del blocco dei paesi socialisti che si stavano intanto disgregando. Quando al Cremlino s’insediò Boris Eltsin, le relazioni tra la nuova Russia e Cuba si ridussero quasi a zero. Nell’isola, di conseguenza, iniziò il “periodo especial” fatto di enormi sacrifici.
A ristabilire relazioni di amicizia tra L’Avana e Mosca ci pensò Vladimir Putin, in visita sull’isola dal 13 al 17 dicembre 2000. Ancora oggi la Russia è un partner di favore per Cuba, anche se il tempo della solidarietà politica è finito con la visita di Gorbaciov nell’aprile 1989.

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