Salvini e Le Pen, la “normalizzazione” del populismo di destra

Mentre il leader leghista sostiene con convinzione il governo Draghi e cambia idea sull’Europa, la politica d’Oltralpe parte alla conquista del centrodestra francese, tra il “sì” all’euro e il “no” alle chiusure delle frontiere per i cittadini europei.
MARCO MICHIELI
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Tranquilla, pacata, sorridente. Quando qualche settimana fa Marine Le Pen ha affrontato in televisione il ministro dell’interno Gérard Darmanin è apparsa diversa dal solito. Più “gradevole”, più “accettabile”. Molto distante dallo sconfortante e penoso confronto con l’allora candidato presidente Emmanuel Macron nel 2017. È la nuova strategia della leader del Rassemblement National. Quella della “normalizzazione” della candidata dell’estrema destra in vista delle elezioni presidenziali del prossimo anno.  

L’obiettivo della strategia è presto detto: conquistare e affascinare un elettorato più ampio, di destra e di centrodestra. Per costruire quel serbatoio di voti a cui attingere in vista del secondo turno delle presidenziali, che le era mancato nel 2017. Perché Le Pen si vede già al secondo turno.

Un sondaggio di Harris Interactive, pubblicato da L’Opinion il 25 gennaio, attribuisce infatti a Le Pen il 25 per cento al primo turno, con uno zoccolo ormai consolidato di elettori, seguita da Emmanuel Macron con il 23 per cento. Più distanziati gli altri e con molta varietà a seconda delle candidature di destra e di sinistra. Al secondo turno l’attuale presidente vincerebbe con il 52 per cento dei voti, contro il 48 della candidato dell’estrema destra. Le Pen prese il 30 per cento nel 2017. Una distanza ridotta che ha messo in allarme l’Eliseo.

Un risultato che è anche il frutto dello sforzo della leader del Rassemblement National per acquisire credibilità. A partire dal programma economico. Dopo aver cambiato idea sull’euro, poco dopo la sconfitta elettorale del 2017, recentemente, sempre dalle pagine de L’Opinion, Le Pen ha preso posizione sul tema del debito, in particolare sull’esplosione della spesa pubblica per affrontare il Covid-19: 

Un debito deve esser rimborsato. C’è un aspetto morale essenziale in questo. Quando uno stato sovrano fa appello a una fonte esterna di finanziamento, deve mantenere la sua parola. Deve organizzarsi per rimborsare quel debito, costi quel che costi.

Parole che suonano un messaggio rivolto al di là del Reno ma anche a quell’elettorato di centrodestra che su euro e debito pubblico avevano posizioni opposte a quelle di Le Pen. Unica soluzione per la presidente del Rassemblement National è la crescita, un approccio che lei definisce “pragmatico”:

Ciò implica investimenti a lungo termine in infrastrutture, tecnologie, settori industriali chiave per la sovranità nazionale, pianificazione regionale, transizione energetica e ambientale.

Qualche tempo prima Le Pen aveva anche abbandonato l’idea di un ritorno alle frontiere francesi e si era espressa per la libera circolazione dei soli cittadini europei, cambiando parere anche sul ruolo della Corte europea dei diritti dell’uomo che un tempo la retorica lepenista definiva come un vincolo alla sovranità nazionale.

Questo riposizionamento di Marine Le Pen ha due obiettivi. Il primo è differenziarsi dal programma populista in campo economico e di politiche europee di Jean-Luc Mélenchon, il leader de La France Insoumise. Il secondo, e più importante, è avanzare su “territori” oggi presidiati da Les Républicains, il partito che fu di Nicolas Sarkozy. In particolare Le Pen punta alla componente più anziana dell’elettorato di centrodestra – e francese in generale -, scettica rispetto alle proposte economiche e in tema di Europa della leader del Rassemblement National.

Marine Le Pen e Gérard Darmanin, ministro dell’interno

Una strategia non molto diversa è quella messa in atto dalla Lega di Matteo Salvini. Certo i sistemi elettorali e istituzionali dei due paesi sono diversi, ma gli obiettivi sono comuni: conquistare parti di elettorato ad oggi reticenti sull’attribuzione della leadership dello schieramento di centrodestra a leader di partiti populisti di destra o di estrema destra.

Nel caso italiano si tratta di un processo che potrebbe culminare con l’ingresso della Lega nel Ppe, secondo alcuni. In realtà di tratta di una prospettiva per ora molto lontana e di difficile realizzazione. L’obiettivo più immediato è invece rassicurare le élite europee moderate, in particolare tedesche. Da qui il sostegno del partito di Matteo Salvini al governo europeista di Mario Draghi e soprattutto il “sì” al regolamento del Recovery and Resilience Facility (RFF) al Parlamento europeo (i lepenisti si sono astenuti), dopo mesi di critiche durissime.

Una mossa di “seduzione” delle élite moderate europee e tedesche che non è passato inosservato ai colleghi di gruppo al Parlamento europeo. E che ha suscitato qualche reazione. Come quella di Jörg Meuthen, il vice-presidente del gruppo “Identità e democrazia” ma soprattutto membro del partito tedesco di estrema destra Alternative für Deutschland, che ha criticato duramente il governo Draghi. Tweet a cui ha risposto Marco Zanni, presidente leghista del gruppo: 

Se qualcuno all’estero critica il professor Draghi per aver difeso l’economia, il lavoro e la pace sociale europea – quindi anche italiana – e non solo gli interessi tedeschi, questa per noi non sarebbe un’accusa, ma un titolo di merito.

In quest’ottica di normalizzazione del partito vi rientrano anche le nuove posizioni della Lega sull’immigrazione, come riporta Il Giornale. Sembrano lontani i tempi dei toni duri e violenti dell’ex ministro dell’interno contro i migranti. Ora l’obiettivo sembra essere la ricerca di accordi con i paesi europei per la redistribuzione degli arrivi, senza creare troppe polemiche con gli alleati di governo.

Più pragmatici e più consensuali, Le Pen e Salvini cercano così di dominare la rispettiva area ideologica di appartenenza, approfittando della scomparsa di Forza Italia e Les Républicains. Un’operazione che, se riuscisse, potrebbe aprire nuovi scenari. Il tentativo di fondere il messaggio populista con il conservatorismo dei partiti che in Italia e in Francia sono legati alla tradizione del Ppe, potrebbe essere una macchina elettorale imbattibile.

A sinistra infatti, tanto in Francia quanto in Italia, la frammentazione e la scarsa competitività dei partiti dell’area non rappresentano una grossa minaccia. Né l’alleanza Pd-M5s-Leu sembra oggi in grado di contrastare quest’operazione di conquista dei moderati, né la divisa sinistra francese sembra in grado di farlo, oggi alle prese con l’obiettivo di scalzare i centristi di Macron dal potere.

In ogni caso si tratta di operazioni politiche rischiose. E non del tutto indolori. Uno spostamento verso il centro potrebbe far perdere qualche voto “populista”. Ma Le Pen non ha molti avversari a destra in grado di farle ombra e “ospitare” i voti degli scontenti. Un problema invece che potenzialmente ha la Lega: oggi Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni rappresentano infatti un’alternativa di destra per il possibile elettorato scontento di un Salvini versione soft.

Giancarlo Giorgetti, ministro leghista dello sviluppo economico, accanto al presidente del consiglio dei ministri Mario Draghi
Salvini e Le Pen, la “normalizzazione” del populismo di destra ultima modifica: 2021-03-08T18:55:43+01:00 da MARCO MICHIELI
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