Dopo aver firmato con la principale autorità teologica dell’islam sunnita, l’imam al-Tayyeb, il Documento sulla fratellanza, Francesco di fratellanza ha parlato nella città santa degli sciiti con l’Ayatollah Sistani, autorità di questo altro campo islamico, spesso ritenuto in guerra con il primo. Tornando dall’Iraq ha detto al riguardo:
L’Ayatollah Al Sistani ha detto una frase che cerco di ricordare bene: gli uomini sono o fratelli per religione o uguali per creazione. Nella fratellanza è l’uguaglianza, ma sotto l’uguaglianza non possiamo andare. Credo che sia una strada anche culturale. Pensiamo a noi cristiani, alla guerra dei Trent’anni, alla notte di san Bartolomeo, per fare un esempio.
Francesco entra nella pacificazione plurale islamica, indispensabile per una pacificazione plurale dell’area? Sembra di sì… Ma tornando dal suo viaggio in Iraq il papa ha detto anche altro, che in questi mesi si è sentito “davvero un po’ imprigionato”. Si riferiva ovviamente all’impossibilità di uscire, muoversi, andare incontro al mondo. Forse il papa ha espresso così un dato di fondo dell’umanità in questo tempo di pandemia: stiamo riscoprendo oltre all’ovvio bisogno di libertà il nostro carattere di essere relazionali? E come noi lo stanno riscoprendo, grazie alla sua spinta, anche le religioni? O vogliono vivere da sole con i loro?

Quella dell’uomo come essere relazionale è una delle verità affermate da tanti anni da Bergoglio, e che forse ispira la sua certezza che siamo “fratelli tutti”, con le nostre diversità, che vengono dalla sapienza divina. L’uomo come essere relazionale emerge dagli scritti di Bergoglio con estrema chiarezza, e quanto disse anni fa padre Federico Lombardi, allora direttore della Sala Stampa Vaticana, spiega bene quanto questo incida nel suo modo di essere e di governare la Chiesa. Lombardi raccontò in un’intervista che quando c’era un incontro tra Benedetto XVI e un capo di stato, lui si recava dal papa per preparare il comunicato: Benedetto gli raccontava che avevano affrontato i punti 1, 2 e 3, che su uno e due avevano convenuto, mentre sul punto tre c’erano distanze sulle quali si sarebbe tornati nel prossimo incontro, insieme al punto quattro. Il comunicato era già pronto. Con Francesco invece, proseguiva, non funzionava così: il suo racconto lo vedeva entrare dal papa che gli diceva quanto avesse apprezzato i racconti, la formazione del suo interlocutore, di aver trovato alcune osservazioni stimolanti e di essere convinto che insieme si sarebbe potuto fare tanto di buono. Bello, ma cosa avrebbe messo padre Lombardi nel comunicato?

Il metodo relazionale nell’uomo Bergoglio è fondamentale, così è lecito pensare che un documento congiunto con al-Sistani non sia stato firmato per mancanza del tempo necessario a confrontarsi, a raccontarsi, a pregare insieme. Così diviene importante che abbia detto a commento di quanto dettogli da Sistani: “credo che sia una strada anche culturale”. Se è così si possono aspettare futuri sviluppi e non può non colpire che già tornando dal suo viaggio in Iraq annunci il prossimo: in Libano. L’altro terminale della contesa tra sunniti e sciiti che divide anche i cristiani. Ha parlato anche di altre tappe, come quella già programmata a Budapest, ma che il papa abbia sentito il bisogno di annunciare un viaggio ancora non fissato in Libano colpisce, per la relazione che ha evidentemente stabilito con quel mondo.

Non è il suo mondo, è noto, ma deve sentire che lì, in quell’arco territoriale che va dal Golfo Persico alle coste del Mediterraneo, si gioca una partita decisiva per la pace mondiale. I colloqui con l’imam di al-Azhar e ora con al-Sistani hanno aggiunto ora alla comprensione anche la relazione.
Ecco cosa ha detto:
il Libano è un messaggio, il Libano soffre, il Libano è più di un equilibrio, ha la debolezza delle diversità, alcune ancora non riconciliate, ma ha la fortezza del grande popolo riconciliato, come la fortezza dei cedri. Il patriarca Rai mi ha chiesto per favore durante questo viaggio di fare una sosta a Beirut, ma mi è sembrato un po’ poco… Una briciola davanti a un problema, a un paese che soffre come il Libano. Gli ho scritto una lettera, ho fatto la promessa di fare un viaggio. Ma il Libano in questo momento è in crisi, ma in crisi – non voglio offendere – in crisi di vita. Il Libano è tanto generoso nell’accoglienza dei profughi.

Sembra poco, ma è tantissimo. Il papa ha parlato di qualche diversità ancora non riconciliata e sembrerebbe un riferimento alla realtà miliziana in armi. Forse la ricerca di un modo per insinuarsi in quella granitica avversità pregiudiziale la può attenuare capendo che, alla base, origina in umani revanscismi. Questo insinuarsi potrebbe aiutare quel pezzo di mondo libanese a credere in quel che può essere: una ricchezza e non un problema. Questo lui ovviamente non l’ha detto, ci sono anche altre parti non riconciliate, ma qui c’è un nesso con il viaggio in Iraq. Superare le forze che vogliono imporre il settarismo in favore della riconciliazione, della fratellanza, cioè dell’accettazione paritaria dell’altro in paesi veramente sovrani perché plurali. È questo pluralismo riconosciuto e apprezzato dalle fedi che può portare quei paesi a diventare ciò che sarebbero, ricchi. La relazionalità non è la ricchezza che stiamo scoprendo mancarci? Il breve inciso del papa però dice anche un’altra cosa:
Il patriarca Rai mi ha chiesto per favore durante questo viaggio di fare una sosta a Beirut, ma mi è sembrato un po’ poco… Una briciola davanti a un problema, a un paese che soffre come il Libano.
Ci siamo mai soffermati su cosa significhino quelle sofferenze? Su quali progetti vi sottostiano, anche in certo identitarismo cristiano? È un fatto solo libanese che l’unico porto del Levante ancora cosmopolita e vivo, Beirut, sia in agonia? Forse, se Francesco avesse fatto un breve stop in Libano, avrebbe solo dato forza a un ceto politico a dir poco screditato. Lui invece vuole dare forza a un popolo che soffre la miseria perché non ha le verità che chiede: chi l’ha depredato, chi ha fatto saltare in aria il porto di Beirut? Chi blocca la costituzione di un governo da sei mesi nonostante in cassa siano finiti i soldi anche per l’elettricità? Chi non vuole la convivenza? E se fosse così non sarebbe lì la frontiera tra pace plurale e devastazione di ogni relazionalità? Non è questa la partita in corso e che ha la sua trincea a Beirut?
Io credo che l’annuncio inatteso di Francesco sia divenuto programmatico quando gli hanno chiesto se allora intendesse recarsi anche in Siria:
Non ho pensato a un viaggio in Siria, perché non mi è venuta l’ispirazione. Ma sono tanto vicino alla martoriata e amata Siria, come io la chiamo. Io ricordo all’inizio del pontificato quel pomeriggio di preghiera in piazza San Pietro, c’era il rosario, l’adorazione del Santissimo. Ma quanti musulmani con i tappeti a terra pregavano con noi per la pace in Siria, per fermare i bombardamenti, in quel momento in cui si diceva che ci sarebbe stato un bombardamento feroce. La porto nel cuore la Siria. Ma pensare un viaggio, non mi è venuto.
Dunque il viaggio della fratellanza procede, sfida a viso aperto ogni identitarismo settario, lavando i piedi di tutti, ma non leccandoli a nessuno.

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