FC Barcelona. Non è un club. È una fede

La squadra iconica della Catalogna ha bisogno di simboli e bandiere, e da Lionel Messi non può prescindere. Con ogni probabilità, il Guardiola degli anni Venti si chiamerà Xavi Hernández, il capitano e lo straordinario cervello dell'ultima stagione di trionfi.
ROBERTO BERTONI BERNARDI
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Tornato sulla plancia di comando Joan Laporta, il presidente dei grandi trionfi blaugrana, l’uomo del miracolo catalano targato Rijkaard e, soprattutto, Pep Guardiola, possiamo dire con qualche certezza che anche Leo Messi recepirà il messaggio e, con ogni probabilità, si guarderà bene dall’accettare le lusinghe plurimilionarie di qualche emiro. O comunque ci penserà bene, assai più a lungo di quanto non avrebbe fatto quando alla guida della società c’era il nemico Bartomeu, arrestato per il tentativo sistematico di screditare, attraverso una campagna diffamatoria condotta senza esclusione di colpi, i suoi nemici interni, a cominciare proprio dall’istituzione con il numero 10 sulla schiena che era e resta un’icona del barcellonismo contemporaneo.

Chiunque conosca un minimo “l’esercito disarmato della Catalogna” sa, infatti, che il Barça è più di un club e che Messi è più di un fenomeno, specie se a Madrid dovessero riprendere ad acquistare galattici, in cerca di nuove vittoriose campagne nazionali, europee e mondiali.

Il Barcellona, per tornare grande, ha bisogno di ripartire da se stesso e dalla propria identità, da quel catalanismo che è la sua essenza e il suo marchio di fabbrica, al punto da essere considerato un tutt’uno con le mire indipendentiste di una regione da sempre in sofferenza nel contesto spagnolo e, più che mai, desiderosa di un autonomismo che potrebbe anche essere considerato, non a torto, profondamente nocivo.

Il Barcellona, come detto, ha bisogno di simboli e bandiere, e da Lionel Messi non può prescindere. Con ogni probabilità, il Guardiola degli anni Venti si chiamerà Xavi Hernández, il capitano e lo straordinario cervello dell’ultima stagione di trionfi, complemento ideale di sua maestà Andrés Iniesta da Fuentealbilla ed erede, per quanto concerne la fascia, di un altro mammasantissima come Carles Puyol.

In una stagione in cui si è capito che la storia non è finita neanche per sogno e che l’indistinto non premia, per tornare ai fasti del passato, i blaugrana avranno, dunque, bisogno di aggrapparsi agli eroi di un tempo che appare ormai remoto e, invece, dista appena qualche anno, quando chiunque, al cospetto di quell’invincibile armata, si faceva il segno della croce e si assisteva, talvolta, a “remuntade” impressionanti come quella ai danni del PSG ante-Mbappé. Si sa che i cicli finiscono e ormai è evidente che Kylian, il funambolo di Bondy, banlieue alle porte di Parigi, sia destinato a raccogliere l’eredità di Messi e CR7 e a contendere al norvegese Haaland il trono di fenomeno del decennio appena iniziato.

Si sa anche, tuttavia, che la cantera del Barça, la Masia che Bartomeu ha tristemente trascurato durante tutta la sua presidenza, la stessa fucina che ha sfornato i Messi e i Piqué, può tornare protagonista. Qualche avvisaglia, in tal senso, c’è, specie se si dà un’occhiata alla carta d’identità di un furetto come Ansu Fati, gioiello costruito in casa, e di un campioncino saggiamente valorizzato come Pedri, probabili eredi di Leo e, per il momento, suoi compagni d’attacco.

Lionel Andrés Messi Cuccittini, detto Leo, e Xavier Hernández Creus, detto Xavi

Hanno ancora molta strada da compiere ma gli esordi sono stati promettenti e, di sicuro, in un contesto meno instabile e con migliori prospettive per quel che riguarda la qualità del gioco e i successi, un binomio a quelle latitudini inscindibile, la loro classe potrebbe trasformarsi in una componente essenziale della gloria che verrà. Ora che le elezioni della comunità barcellonista hanno restituito alla causa un presidente degno di questo nome, è pressoché certo che gli scontenti degli anni precedenti, a cominciare dal nume tutelare Guardiola, torneranno a dire la propria e a dare un contributo, magari a distanza ma con quei colori ben tatuati in fondo all’anima.

Perché il Barcellona, ribadiamo, non è un club: è una fede, uno stile di vita, un modo di essere, una concezione del mondo e una passione che va al di là del calcio e dello sport. Il Barcellona è la ragione di esistere di un popolo che, nonostante sia passato quasi un secolo, conserva ancora i tratti caratteristici descritti da Orwell nel suo “Omaggio alla Catalogna”. E quando il Camp Nou tornerà a riempirsi e le sue tribune a costituire un muro umano che desta impressione solo a vederlo, il Barça tornerà a dire la sua sulla scena globale. E noi ad applaudirlo. 

FC Barcelona. Non è un club. È una fede ultima modifica: 2021-03-14T15:02:10+01:00 da ROBERTO BERTONI BERNARDI
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