Italy has a new way to combat overtourism. L’Italia ha un nuovo modo per combattere l’overtourism, racconta Julia Buckley su CNN Travel. La giornalista descrive ed esalta “Uffizi Diffusi”, il progetto di esposizione di opere, conservate nel deposito degli Uffizi di Firenze, in diverse località in giro per la Toscana, che trasforma, come sottolinea l’inviata, “la regione più famosa d’Italia in un grande museo diffuso”. Idea suggestiva. Può essere trasferita e pensata anche per Venezia, per il Veneto? Può essere un modo per contrastare l’overtourism nella città dei Dogi? Oppure lascerebbe la situazione così com’è? Ne discutiamo su ytali. Dopo il breve intervento iniziale di Paul Rosenberg, sono intervenuti Franco Avicolli, Franco Migliorini, Antonella Baretton (qui di seguito), Francesco Erbani, Rebecca Ann Hughes.
[G. M.]
Quando si parla di turismo “diffuso” mi viene sempre in mente Sveti Stefan, l’isolotto del Montenegro, già trasformato durante il regime di Tito da villaggio di pescatori a resort di lusso per le coppie del regime in luna di miele. Correva l’anno 1982 e mi ricordo ancora l’orgoglio della guida turistica nell’introdurci nelle casette dei pescatori divenute, per l’appunto, il primo esempio di albergo diffuso.
Potrei anche sbagliarmi ma la prossima località (prossima in senso temporale e geografico), oggetto di analogo intervento, sarà Burano, già ampiamente inclusa nei tour “Venezia e le sue isole” per la tradizione del merletto, le sue case colorate, il risotto di go… Invasa, in epoca pre-pandemica, dal tipico overtourism di giornata, ha fino a oggi mantenuto il suo “splendido isolamento notturno” proprio a causa di una posizione geografica scomoda ai collegamenti con Venezia.
È cosa recente il progetto, dibattuto nei media in questi giorni, di collegarla in soli 13 minuti di motoscafo al Montiron, vicino a Quarto D’Altino. Mentre è intuitivo scorgere in tale progetto (a prescindere da qualsiasi valutazione d’impatto ambientale e della pretestuosa motivazione di evitare lo spopolamento dell’isola) la precisa volontà di porre solide e definitive basi per la sua trasformazione in un’unica struttura ricettiva “diffusa”, mi chiedo quale avrebbe potuto essere, invece, un modello di sviluppo alternativo.

Per non andare fuori tema, premetto che l’idea promossa dagli Uffizi, di “prestare” parte del proprio patrimonio artistico ai fini di una valorizzazione di luoghi a oggi non propriamente a vocazione turistica, potrebbe dimostrarsi apprezzabile nella misura in cui si concretizzasse in una rigorosa operazione culturale. La ricollocazione del manufatto artistico nel suo originario contesto, site specific, come si usa dire in gergo, s’inserisce in quella tendenza di cui avevo già dato conto a proposito del vetro artistico muranese volto alla valorizzazione dell’opera d’arte attraverso la sua contestualizzazione. Ritengo che tali operazioni, oltre all’indubbio richiamo turistico culturale, possano impattare nell’economia locale con potenziali effetti sinergici anche per la filiera non propriamente turistica, a beneficio di quella sostenibilità tanto auspicata nelle più recenti teorie economiche e definita quale creazione di valore a vantaggio dell’intera comunità.
E qui torno a Burano, a quanto auspicavo circa il suo modello di sviluppo alternativo, che a mio avviso avrebbe dovuto partire proprio dal tratto caratterizzante della sua principale attrattiva, ovvero il merletto autentico buranello e la sua realizzazione intesa come vero e proprio momento artistico meritevole di tutela. L’idea di fondo è di partire dalla promozione turistica di un’eccellenza e costruirci attorno tutto il resto; più o meno l’idea promossa dagli Uffizi.

Mi ricollego al termine di “arte diffusa” per sottolineare come, proprio nel caso di Burano, il primo passo da compiere sarebbe quello di far conoscere i manufatti artistici al di fuori del rigido contesto museale dove ora sono custoditi e fruiti da (scarsi) visitatori. Gli stessi che invece affollano, inconsapevoli, i negozietti dell’isola ove sono esposti e venduti, per lo più, articoli seriali di fattura spesso più che dozzinale. Invece, un’attenta attività di promozione rivolta alla valorizzazione e alla tutela dell’autenticità dei manufatti (magari l’ottenimento di una tutela privativa del prodotto) potrebbe stimolare il recupero di un artigianato d’eccellenza.
Se è indubbio che una tovaglia interamente ricamata ad ago è appannaggio esclusivo di tavole reali e principesche, la realizzazione di manufatti rifiniti in pizzo di ispirazione tradizionale, o che magari reinterpretano la tradizione in chiave moderna e innovativa, soddisferebbe (come peraltro in parte già accade) la domanda di una clientela medio-alta ma anche di semplici discenti, desiderosi di cimentarsi loro stessi nella creazione di un manufatto. Ciò importerebbe la creazione di atelier, laboratori di produzione con annessi uffici stile, scuole e seminari per apprendere le originali tecniche di lavorazione. Ancora, le botteghe artigianali, di nome e non di fatto, potrebbero dover riconsiderare il target di riferimento proprio a causa di una rinnovata consapevolezza della clientela.

L’isola potrebbe tornare a rivivere come laboratorio diffuso, grazie proprio all’arte diffusa, esposta e replicata nelle sue botteghe. Allargando il discorso alle isole dell’intero sistema lagunare, si potrebbero citare infine i contratti di rete, aggregazioni di imprese, anche appartenenti a settori affatto diversi, che si qualificano come strumenti per accrescere la competitività del mercato attraverso la realizzazione di progetti e obiettivi condivisi. In questo senso, attesa la diversa specificità di ciascuna isola lagunare, proprio partendo dalla valorizzazione turistica di ciascuna eccellenza (artistica, enogastronomica, ambientale) sarebbero senz’altro ottenibili importanti ricadute in ambiti diversi e trascendenti, appunto, la semplice attrattività turistica dei luoghi.
Concludo pertanto il mio intervento schierandomi non aprioristicamente contro qualsiasi iniziativa che parta da presupposti di sollecitazione turistica. È indubbio che tale industria sia motore di ricchezza e che molti v’intravvedano una modalità di arricchimento a ridotto rischio d’impresa. Essenziale è che non si trasformi in monocultura, che non oscuri ma viceversa traini la creazione di altro nei termini sopra indicati.
in copertina: Claude Monet (1840–1926), Canal grande, Museum of Fine Arts, Boston

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