La nuova chiusura delle scuole e il passaggio alla didattica a distanza (Dad), sta facendo molto discutere, ma queste discussioni troppo spesso, a mio avviso, non individuano il tema centrale e confondono l’obiettivo.
Per gli opinionisti e gli studenti, ma anche per i sondaggisti, pare che il problema sia la Dad, così le si attribuiscono molte responsabilità negative e addirittura la si ridicolizza a forza di aneddoti più o meno divertenti, mentre sfugge la questione vera che sta alla base dei problemi di oggi: l’interruzione della Dip (didattica in presenza, andando per acronimi).
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E dico i problemi di oggi, legati alla pandemia, perché molti problemi della scuola sono strutturali e hanno radici profonde, per cui lo scandalo di oggi risulta spesso fastidioso.

Del resto, non conosco nessuno che voglia sostituire la Dip con la Dad, perché è evidente che l’istruzione, la formazione e l’educazione hanno bisogno di relazione e di scambio; il rapporto di insegnamento-apprendimento non si accontenta della trasmissione ma ha bisogno del confronto, della dialettica, anche del conflitto.
I dati negativi derivanti dalla sospensione della Dip (e gli aneddoti) li conosciamo fin dalla prima ondata, ovvero dal secondo quadrimestre dello scorso anno scolastico, non ci possono più sorprendere.
Quello che, invece, dovrebbe sorprenderci è un paese ove si straparla di “scuola in presenza al cento per cento” senza crearne le condizioni e poi ci si scatena contro la Dad, invece che contro chi non ha saputo creare né le condizioni per la Dip né le condizioni per una Dad efficace.

E allora, se volessimo davvero esaminare l’accaduto, dovremmo ripartire da marzo dell’anno scorso, per dire che chi di dovere si sarebbe dovuto interessate innanzitutto alla scuola dell’infanzia e alla primaria: scuole di prossimità, che non hanno bisogno di trasporto, con bambini che non possono stare a casa da soli e non possono stare in Dad. Per quelle scuole sarebbe stato necessario ridurre il numero di alunni per classe e trovare nuovi docenti e nuove aule, al fine di garantire il più possibile la Dip. Eventualmente si poteva pensare alla riduzione dell’orario, considerata la situazione di emergenza.
Per la secondaria di primo e secondo grado, invece, era necessario innanzitutto monitorare con chiarezza la situazione della Dad: connessioni delle scuole, connessioni delle famiglie, disponibilità di strumentazioni, situazioni degli spazi e delle condizioni famigliari; non dappertutto è stato fatto.
Anche per la scuola secondaria sarebbe stato necessario ridurre il curricolo e l’orario delle lezioni, anche perché non è la quantità di ore che forma i ragazzi.
Inoltre bisognava valutare l’impegno e la formazione dei docenti: come si sa, nella prima ondata non sono stati pochi i docenti che hanno evitato l’impegno, ma credo che in pochissimi casi chi di dovere abbia controllato e monitorato e sia intervenuto.
La formazione per la Dad, invece, sempre in arretrato in Italia, avrebbe dovuto essere incentivata, magari liberando i docenti da tanta inutile burocrazia. È evidente che la Dad non è la “solita didattica” ma a distanza, la Dad è un’altra cosa, e non è fatta per sostituire la Dip, ma è un di più, un’occasione ulteriore per nuove modalità di ricerca, approfondimento, collaborazione e per sviluppare una nuova autonomia individuale nella collaborazione.

Certo, se un docente parla per un’ora o se un ragazzo ha due fratelli in Dad e un genitore in smart working, la cosa non può funzionare.
Ma stiamo parlando della prima ondata che, almeno, poteva essere utilizzata per studiare la situazione e pensare a nuovi provvedimenti.
Invece la parola d’ordine della ministra (non sola, per altro) è stata “scuola in presenza al cento per cento”; io non l’ho mai creduto possibile, perché penso che la questione trasporti non sia facilmente risolvibile in tutto il territorio nazionale, ma in ogni caso bisognava almeno strutturare il tracciamento e organizzare la presenza a scuola (non bastava il postulato “le scuole sono sicure” basato sul metro tra le rime buccali; l’altro giorno il nuovo consulente del Ministro Bianchi ha detto che il ministero “Non sa quanti docenti sta vaccinando, non conosce i contagi interni agli istituti scolastici. All’ultimo questionario inviato, ha risposto il dieci per cento dei dirigenti scolastici. Domande impossibili, da trattato epidemiologico”). Invece niente, tutto subito fuori controllo.
Bisognava, almeno, dopo avere organizzato il tracciamento, fare una Dip per metà classe alla settimana, perché una settimana sì e una no gli studenti sarebbero stati a scuola per fare tutto quello che a scuola si può fare di questi tempi.
E, ovviamente, bisognava avere i docenti in cattedra fin dall’inizio delle lezioni: così non è stato.
Il risultato di questa colpevole inadeguatezza è stato la chiusura della scuola dopo qualche settimana.
Ovviamente resta aperta la questione delle Regioni, il cui operato andrebbe verificato una per una, ma l’errore di fondo è stato quello di immaginare che ci potesse essere Dip senza averne creato le condizioni e che si potesse interrompere la Dip senza avere creato le condizioni per far funzionare la Dad.
Non è questa la sede per segnalare tutto quello che non è stato fatto (troppo tardi e, in fondo troppo facile, anche se molte questioni le abbiamo sollevate in tempo utile), mi interessa solo dire che se vi è un danno nella preparazione dei giovani, questo è dovuto all’interruzione della scuola in presenza, non tanto a una Dad che emergenziale era ed emergenziale è rimasta.
Anche perché va sottolineato questo paradosso: proprio quelli che più hanno lamentato gli aspetti negativi della Dad, hanno di fatto portato alla sostituzione della Dip con la Dad per lunghi periodi.
Per chiudere, la cosa peggiore, adesso, sarebbe quella di dare una definitiva valutazione negativa della Dad, accantonarla e non investire sull’importante esperienza che moltissimi docenti hanno fatto, perché nell’insegnamento del futuro (ma anche nella vita quotidiana e nel lavoro) avremo sempre più bisogno di tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

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