Cos’è l’uguaglianza nel XXI secolo? A un anno dallo scoppio della pandemia cosa ci attende? “Uguaglianza” è una parola concreta, che la pandemia ha reso ancor più significativa nella sua declinazione negativa. Le disuguaglianze, infatti, sono cresciute, anche drammaticamente. Questo e molto altro, come sempre a tutto campo nel nuovo numero della rivista Arel [l’intero numero è scaricabile da chi l’acquista o dagli abbonati, per essere successivamente pubblicato su carta e diffuso nelle principali librerie Feltrinelli]. Proponiamo qui di seguito uno degli articoli del numero.
Ringraziamo la direzione e la redazione di Arel per la gradita cortesia, che rinnova l’ormai consolidata collaborazione tra le due riviste.

L’antropologo francese Louis Dumont, in un’opera ormai classica, Homo Hierarchicus (1966), analizza il fenomeno delle caste in India e ne evidenzia i caratteri comunitari e gerarchici per sottolineare la diversità con la civiltà occidentale, basata sull’uguaglianza e l’individualismo. In Occidente l’individuo è una monade che si relaziona alla società, in India parte di un sistema organico e comunitario con varie stratificazioni. Ci sono due configurazioni opposte, una caratteristica delle società tradizionali e l’altra caratteristica delle società moderne. Nella prima l’enfasi è posta sulla società nel suo complesso, nell’Uomo collettivo, come per esempio nella Repubblica di Platone, mentre nelle società moderne l’Essere Umano è costituito dall’uomo indivisibile, elementare, sia come essere biologico che come soggetto pensante.
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L’India presenta questo sistema particolare, quasi unico, dove l’individuo appartiene a un gruppo, a una comunità che si pone in una struttura gerarchica rispetto ad altre. È decisamente la negazione del principio occidentale di eguaglianza individuale, la cui esistenza e radicamento è in qualche modo un enigma, di difficile lettura e interpretazione. Non esiste un sistema omogeneo di caste lungo il corso del tempo, come convenzionalmente si crede, e neppure un sistema omogeneo nello spazio; le variazioni locali e regionali sono notevoli. Anche la natura del rapporto gerarchico è sfuggente, normalmente si ritiene che sia un rapporto di status, determinato dalle categorie di puro e impuro – con al vertice i Brahmini e i cosiddetti “Intoccabili” all’altro estremo -, ma in particolari contesti storici o regionali può assumere caratteri di potere e autorità .Normalmente si pensa all’istituzione delle caste come un fenomeno antico e statico ma è difficile fare generalizzazioni senza cadere in stereotipi; in realtà è un fenomeno assai dinamico e variegato e ogni descrizione può essere accurata solo se vista in un particolare contesto storico e in un particolare contesto geografico. Nel momento che la lente s’ingrandisce e lo zoom si ampia si perde di accuratezza.

Caste: definizione e tradizione
Secondo le definizioni più classiche dell’antropologia occidentale, la casta può essere intesa come un gruppo endogamo con caratteristiche di esclusione da altri gruppi sociali – i matrimoni e la condivisione del cibo avvengono solo al proprio interno -, di divisione del lavoro – con specializzazioni funzionali per una particolare attività – e di gerarchia – di superiorità o subordinazione rispetto ad altre.
Il termine casta è comunque una parola relativamente recente, introdotta dai primi commercianti e colonizzatori portoghesi nel XVI secolo e diventato di uso frequente solo negli ultimi due o tre secoli. Il termine indiano è Varna, che vuol dire colore. Secondo la versione che si è cristallizzata e stereotipata vi sono quattro grandi raggruppamenti, i Brahmini, cui spettano le funzioni rituali e letterarie, caratterizzati dal colore bianco, gli Kshatrya cui spettano le funzioni militari e di governo, associati al colore rosso, i Vaishya che svolgono attività artigianali, commerciali, imprenditoriali e inizialmente anche lavori agricoli, associati al colore giallo e infine gli Shudra, lavoratori servili e addetti al lavoro dei campi, associati al colore nero. Ai quattro Varna si aggiunge poi la categoria dei fuori casta, che svolgono funzioni considerate impure, come occuparsi dei cadaveri, lavori a contatto con sostanze morte come la concia delle pelli, la lavorazione del cuoio, la lavorazione del legno, la caccia ecc. I primi tre Varna,corrispondono di fatto al potere religioso, politico-militare ed economico e hanno il privilegio di appartenere alla categoria dei “due volte nati” nella quale si compie un rito di passaggio e di iniziazione alla vita adulta a sottolineare lo status della persona, anche se la casta dei Vaishya era in effetti a un livello inferiore rispetto alle altre e il gap si è ridotto solo in tempi più recenti.
L’origine di questa ripartizione nasce da una quartina del Rig Veda, il più antico corpus di scritture indiane che ha dato vita alla credenza secondo cui i Brahmini siano originati dalla testa del Purusha, l’uomo cosmico primordiale, gli Kshatrya dalle mani, i Vaishya dalle cosce e gli Shudra dai piedi. Ogni parte del corpo è in qualche modo simbolicamente associata alle funzioni delle caste. Le parti più vicine alla terra sono quelle considerate più impure e quindi gerarchicamente inferiori. In realtà, a parte questo accenno non vi è nessun riferimento nel Rig Veda al sistema delle caste, perlomeno nelle forme con cui lo conosciamo oggi. Secondo diversi indologi, incluso Max Muller, che fu il primo a tradurre i Veda in una lingua europea nel XIX secolo, ci sono diversi dubbi sull’autenticità di questi versi che potrebbero essere un’interpolazione più tarda e successiva alla compilazione dei primi inni vedici, la cui composizione è attribuita almeno al XV secolo avanti Cristo.
Di fatto il sistema delle caste si è progressivamente formato nel periodo postvedico. L’ordine dei quattro Varna viene effettivamente codificato nei canoni di Manu, una raccolta di testi teologici, sociali e legali, composti tra il secondo e il terzo secolo dopo Cristo, che furono utilizzati dai primi amministratori della Compagnia delle Indie per cercare di comprendere la natura della società indiana e formulare regole e leggi per le comunità locali.
Le origini del sistema delle caste sono oscure e controverse. Una teoria molto diffusa è quella razziale, secondo la quale le caste sarebbero il risultato di diverse invasioni, in particolare di tribù ariane, di pelle chiara che sarebbero penetrate in India nel secondo millennio a.C. e avrebbero soggiogato le popolazioni locali di pelle più scura. Nel sistema delle caste la complessione più chiara è un segno distintivo di appartenenza a una delle posizioni più elevate e viceversa. Si tratta di una delle interpretazioni più frequenti, ma anche molto contestata e ritenuta funzionale a un’ideologia coloniale e di supremazia occidentale.
Secondo un’interpretazione marxista le caste si sono formate, invece, con la separazione tra ceti produttori e ceti religiosi e militari e la sottomissione dei primi a questi ultimi.
I riformisti hindu interpretano la formazione delle caste come sorte inizialmente sulla base di inclinazioni psicologiche e/o occupazionali. Non erano un fenomeno ereditario, gerarchico e di appartenenza a gruppi chiusi, ma di una forma di cooperazione sociale organica e si sarebbe gradualmente irrigidito in una convenzione sociale, stereotipata e tipicizzata.

L’irrigidimento del sistema delle caste, con l’assunzione del carattere ereditario, gerarchico è stato un processo di lunga durata, consolidatosi in età medievale con il declinare delle influenze buddhiste e jainiste, che avevano rappresentato per secoli molte aspirazioni di ceti commerciali e militari nonché un contraltare alla supremazia brahamanica che in qualche modo rendeva i meccanismi sociali più variabili. Nel codice di manu vi sono ancora diverse parti in cui si afferma che la stratificazione sociale dipende dalle abilità e dalle qualificazioni e non dalla nascita.
Interpretazioni più recenti della storiografia occidentale, tendono a identificare le caste come un fenomeno essenzialmente moderno, nato dall’incontro della civiltà indiana con il colonialismo britannico. La dominazione coloniale inglese introdusse un sistema statale forte, con censimenti regolari, classificazioni amministrative che di fatto hanno irreggimentato il sistema. Mentre l’India precoloniale aveva una struttura statale relativamente morbida con un’organizzazione sociale assai decentralizzata e localizzata, l’introduzione di un sistema statale di tipo europeo che leggeva e interpretava la realtà anche sulla base di una visione orientaleggiante e parzialmente basata sui modelli letterari, creò uniformità e identità più rigide anche quando l’intenzione era di assegnare tutele e privilegi. Un fenomeno che si manterrà anche nello Stato indipendente.
Le caste sono state per secoli parte attiva e reale della società indiana, però prima del periodo coloniale le distinzioni formali di casta avevano un’importanza relativa con molte variazioni regionali. L’ufficialità britannica costruì una propria interpretazione sociologica della realtà indiana e, nel corso del tempo, contribuì a rendere rigidi ed egemonici concetti che inizialmente erano più fluidi.

Sottocaste e società tradizionale
La tradizionale suddivisione hindu in quattro grandi caste o varna corrisponde più a un modello ideale e letterario che a un’effettiva pratica sociale. L’unità fondamentale è in realtà fornita dalla jati che può essere definita in maniera approssimativa come sottocasta e vuol dire genere, specie; si può in qualche modo accostare alla gens latina. Le jati hanno collocazione regionale e locale e sono assai numerose, più di qualche migliaio. È la jati che rappresenta in realtà il gruppo chiuso di appartenenza per nascita, specializzazione professionale e ambito esclusivo per matrimoni e commensalità. Nella società tradizionale indiana, la famiglia o meglio il gruppo di famiglie unito da una comune discendenza (joint-family) rappresenta il nucleo fondamentale e, a sua volta, una comunità di famiglie, e non di individui, si identificava sul piano spaziale nel villaggio e, su quello funzionale, nella Jati che contribuisce tramite la propria specializzazione nell’ambito della divisione del lavoro al benessere e al sostentamento della comunità locale. Il sistema precoloniale indiano era caratterizzato da una grande concentrazione di popolazione nei villaggi, scarsa circolazione monetaria e una stratificazione di diritti sulla terra, senza una definita proprietà individuale. L’economia era organizzata su basi di tipo organicistico-cooperativo in cui ogni sottocasta contribuiva secondo la propria caratteristica funzione e competenza.
L’organizzazione delle sottocaste era connaturata a un sistema essenzialmente incentrato sulla suddivisione del raccolto, che era in sostanza diviso in due parti: vi era la cosidetta “quota del re” – la tassazione – che veniva corrisposta al sovrano in natura o in moneta tramite una rete di collettori e intermediari, mentre la parte rimanente era destinata al sostentamento del villaggio. Ciò determinava un ruolo centrale delle sottocaste coltivatrici, nonostante la loro posizione gerarchica teoricamente inferiore, che in qualche modo ne favorì l’elevazione sociale in varie circostanze. Le jati contadine potevano avere una considerevole mobilità e in particolari condizioni rivendicavano uno status superiore, che spesso era una condizione non ben definita tra Shudra e Kshatriya, e talvolta la loro ascesa poteva giungere fino alla conquista della sovranità locale. Il sistema delle caste consente un certo livello di mobilità – che riguarda non tanto l’individuo quanto la Jati nel suo complesso – tramite un processo di sanscritizzazione, che consiste nell’assunzione di comportamenti, tradizioni alimentari e rituali tipici dello status desiderato. Tale meccanismo era sostanzialmente favorito dalla mancanza di rigidità che caratterizzava l’ordine dei varna non Brahminici. Si può in un certo senso affermare che solo gli estremi della gerarchia sono facilmente indentificali nella collocazione dei Varna – le jati brahminiche da un lato e i fuoricasta dall’altro – mentre la collocazione dei gruppi intermedi è più fluida e porosa.
Nella società tradizionale l’interazione tra caste si può ricondurre a una sostanziale bipolarità tra jati Brahminiche e artigiane da un lato e produttori agricoli dall’altro. L’organizzazione sociale del villaggio fu la risultante di un equilibrio tra le due forze, espresso sul piano economico dal cosiddetto sistema jajamani, che permetteva alle jati non coltivatrici di partecipare alla divisione del raccolto comune del villaggio in cambio dei loro servigi. I brahmini videro riconosciuta la loro importanza oltre che per il ruolo sacerdotale, per la loro posizione di letterati ed esperti nella tradizione e di “uomini del calendario” che, come tali, svolgevano un ruolo di mediazione in quanto addetti ai riti e alle pratiche del caso, nei confronti delle forze celesti e naturali, di vitale importanza per una società basata sull’agricoltura. Alle jati artigiane e commerciali si richiedeva di compiere lavori o fornire manufatti per le necessità del villaggio e nel tempo restante di collaborare al lavoro nei campi, una situazione che rendeva anch’esse non collocabili con precisione nell’ordine gerarchico dei varna.

Caste e il periodo coloniale
Nel corso della storia la struttura e concezione delle caste ha incontrato diverse critiche e sfide all’interno dell’India. In epoca antica da parte dei movimenti buddhisti, jainisti e dalle scuole materialiste, in epoca medievale da vari movimenti devozionali sorti come contraltare al formalismo religioso hindu e mussulmano, più o meno nella stessa epoca in cui analoghi movimenti sorgevano nell’Europa medievale. La stessa penetrazione dell’Islam, seguita al declinare del Buddhismo, è stata in qualche modo favorita dalla conversione di varie caste subalterne attratte dal messaggio egualitario. Qualche contaminazione è tuttavia entrata anche nella cultura musulmana del continente indiano con una netta distinzione sociale e di rango, simili per certi versi alle restrizioni imposte dal sistema delle caste, tra gli Ashraf, i discendenti delle aristocrazie afghane, arabe o persiane, che avevano governato l’India in epoca medievale, e gli Atrap, discendenti da caste subalterne convertite. Barriere sociali e psicologiche analoghe si riscontrano talvolta anche in altre religioni egualitarie del sub-continente come il Sikhismo e lo stesso cristianesimo, soprattutto nei confronti dei cosidetti “intoccabili”.
Nel XIX secolo sorsero numerosi movimenti di riforma che tentavano di eliminare quelle che erano ritenute degenerazioni dell’hinduismo, anche sotto l’influenza occidentale o come reazione alla penetrazione occidentale.
Alcuni di questi erano espressione di ceti altolocati, come il Brahmo Samaj che propugnava una versione dell’hinduismo monoteista, con forti influenze cristiane e senza distinzioni di casta oppure l’Arya Samaj che proponeva anch’esso una versione monoteista dell’hinduismo, ma da un punto di vista tradizionale indiano. Sosteneva il ritorno alla purezza del messaggio originale vedico senza le accrezioni successive, l’uguaglianza tra le caste anche se non la loro completa eliminazione e si opponeva all’intoccabilità.
Altri movimenti sorsero dal basso, come quello di Jyotirao Govindrao Phule (1827 – 1890) conosciuto anche come Mahatma Phule. Era originario di una famiglia appartenente alla sottocasta dei Mali (Shudra), giardinieri, fiorai, venditori di verdure e avviò diverse attività per la diffusione dell’istruzione tra le donne – tra cui la prima scuola femminile per fuoricasta in India nel 1848 – e le caste subalterne. Phule esercitò una forte critica razionalista contro la cultura Brahminica contestando le basi stesse dell’hinduismo e del sistema sociale hindu, nella convinzione che la schiavitù mentale fosse la principale forma di oppressione, più ancora di quella sociale. Phule rappresenta ancora oggi il punto di riferimento per le critiche più radicali al sistema delle caste.
Phule era stato educato in una scuola missionaria e considerava il controllo politico britannico per certi versi come un fattore positivo, in quanto introduceva, almeno in teoria, nozioni statali moderne basate su giustizia e uguaglianza, ma al tempo stesso era assai critico della dipendenza che la pubblica amministrazione aveva dalle alte caste, che erano più istruite e letterate.
La questione delle caste e la segmentazione sociale dell’India rappresentò un fattore critico nel movimento per l’indipendenza, che in qualche modo ne minava anche l’unità. Da un lato le autorità inglesi argomentavano che il Congresso era sostanzialmente espressione di caste elevate e il loro governo garantiva le minoranze e i gruppi subordinati, mentre dall’altra si argomentava che le divisioni erano esasperate dai dominatori coloniali che attuavano un’azione di divide et impera. Gli stessi movimenti di riforma che tentarono di unificare la popolazione hindu ebbero un successo solo parziale e limitato.
La critica al sistema delle caste diede origine anche a movimenti politici alternativi, in opposizione al Congresso. Nello Stato meridionale di Madras, per esempio, sorse nel 1916 un movimento anti-brahminico, il partito per la giustizia (Justice Party) che rivendicava maggior spazio nell’amministrazione per le caste subalterne e – dopo l’instaurazione di una limitata autonomia locale nel 1919 – formò diverse volte il governo della provincia finché non perse contro il Congresso nel 1937. Dopo l’indipendenza il Partito della Giustizia rappresentò l’origine di diversi movimenti dravidici che rappresentano la costellazione politica dello Stato meridionale del Tamil Nadu – sostanzialmente dominata da partiti regionali – dove i partiti nazionali hanno un peso limitato e non guidano il governo dal 1967. L’ideologia politica di questi movimenti, inizialmente anti-brahminica si trasformò in ideologia anti-hindi e separatismo politico negli anni Sessanta per poi rientrare nelle dinamiche politiche normali e ordinarie.
Un tratto comune delle ideologie di questi movimenti del Sud dell’India e di quello di Phule nell’India Occidentale partiva dalla teoria che i Brahmini e le classi alte fossero discendenti di invasori ariani che avrebbero soggiogato e oppresso le preesistenti popolazioni dravidiche e di conseguenza le tradizioni storiche ed epiche venivano lette all’incontrario. Rama, l’eroe eponimo del poema nazionale Ramayana, diveniva così, con questa lettura, il simbolo della conquista territoriale da parte degli invasori del Nord e delle caste alte.
La questione delle caste rappresentava un profondo fattore di divisione e frammentazione del movimento nazionale dopo quella musulmana, che porterà poi alla separazione del Pakistan, che tuttavia fu gestita con maggiore successo, nonostante gli interventi dell’amministrazione coloniale che cercava di sfruttare queste differenze.
In India esistevano elettorati separati su base religiosa sin dal 1908, ma nel 1932 il governo inglese adottò un decreto comunitario (communal award) che assegnava elettorati separati anche sulla base di appartenenza a una casta.
Gandhi, che allora si trovava in prigione, oppose il provvedimento con uno sciopero della fame a tempo indeterminato perché riteneva che segmentasse la popolazione indiana, in particolare quello che concedeva elettorati separati ai fuori casta, definiti nel linguaggio amministrativo come “classi depresse”.
Per Gandhi la questione dell’eradicazione dell’intoccabilità era altrettanto importante di quella dell’indipendenza nazionale e aveva iniziato campagne contro di essa fin dai primi anni Venti. Non era tuttavia contro il sistema delle caste, ma contro le diseguaglianze che provocava, anche se negli ultimi anni della sua vita rivide la propria posizione e si espresse più radicalmente contro il sistema. In un primo tempo definì i fuoricasta come Antyaja, gli ultimi nati, poi a partire dal 1933 adottò il termine Harijian, che vuol dire “figli di Dio”, un termine che rimase popolare per qualche anno, ma poi è caduto in disuso perché denoterebbe un certo paternalismo. Oggi si usa prevalentemente il termine Dalit, che fu coniato da Phule e vuol dire oppressi, ma anche qualcosa di più forte, come “gli spezzati, i frantumati”.
Gandhi fondò anche una “Lega contro l’Intoccabilità” che, nel 1932, assunse il nome di Harijan Sevak Sangh e opera tuttora in molti Stati dell’India.
Sulla questione degli elettorati separati Gandhi si trovò, però, in contrapposizione con il leader dei fuoricasta B. R. Ambedkar (1891-1956) Alla fine fu raggiunto un compromesso in base al quale non fu istituito un elettorato separato ma venne assegnata alle caste depresse una quota riservata dell’elettorato generale con una maggiore rappresentazione.
B. R. Ambedkar era originario del Maharashtra, la stessa regione di Phule, e apparteneva alla sottocasta dei Mahar, che avevano la funzione di guardiani, sentinelle di villaggio, rimozione carcasse animali morti e bracciantato. Pur essendo considerati fuoricasta ebbero un certo prestigio nel XIX secolo in quanto erano reclutati militarmente dalla Compagnia delle India, finché l’amministrazione indiana non introdusse il concetto di razze marziali ed effettuò il reclutamento nell’esercito soprattutto da alcune regioni e caste medie. Fu il primo indiano a laurearsi in economia all’estero e un suo scritto diede un importante impulso alla creazione della Banca centrale indiana nel 1935. Fondò un partito laburista indipendente – in contrapposizione anche coi partiti marxisti – per il supporto delle classi depresse e, alle elezioni locali del 1937 conquistò la maggioranza dei seggi riservati. Per quattro anni (1942-46) fu anche membro del Consiglio del Viceré (il governo coloniale locale) come responsabile del portafoglio del lavoro e in questa veste fece approvare la riduzione dell’orario di lavoro da 12 a 8 ore.
Ambedkar è conosciuto soprattutto come uno dei padri della Costituzione indiana, uno dei suoi principali artefici in quanto presidente della Commissione di stesura durante l’assemblea costituente ed è entrato, soprattutto in anni recenti, nell’iconografia ufficiale, tra i padri fondatori dell’India indipendente accanto a Gandhi Nehru. All’assemblea costituente fu anche contrario alla clausola che concedeva l’autonomia al Kashmir, perché minava l’integrazione nazionale.
Dopo l’indipendenza fu ministro di Legge e Giustizia, carica da cui si dimise per via del lento ritmo di riforme sociali, soprattutto per quanto concerneva le donne e le caste subalterne, e nelle ultime settimane di vita si convertì al Buddhismo, in una cerimonia di conversione di massa, alla quale parteciparono diverse centinaia di migliaia di persone. Il Buddhismo, che era scomparso dall’India da secoli, ha così trovato una nicchia nello Stato del Maharasthra, che associa religione con impegno sociale, anche se il fenomeno è rimasto limitato e non ha assunto le dimensioni di massa come era, forse, nelle aspettative di Ambedkar.

Quote e tutele nell’India indipendente
La Costituzione dichiara l’India una Repubblica che garantisce giustizia, eguaglianza e libertà ai suoi cittadini. È in effetti una Costituzione socialmente assai avanzata, cui fu aggiunto negli anni di Indira Gandhi la definizione di essere socialista e laica. Laico in India ha un significato diverso e più ampio rispetto a quello europeo, non sancisce alcuna forma di ostilità rispetto alla religione, ma di equidistanza rispetto a qualunque religione e considera il cittadino come un individuo e non per la sua appartenenza a una comunità o un gruppo sociale. La Costituzione sancisce che nessun cittadino può essere discriminato o subire restrizioni in base alla sua religione, all’appartenenza a una casta, a un gruppo etnico, o per via del suo genere.
Le caste però sono rientrate nella Costituzione e nella legislazione, anche se per stabilire principi di tutela e protezione o promuovere lo sviluppo dei gruppi sociali arretrati.
L’articolo 341 della Costituzione consente di individuare razze, tribù depresse – scheduled tribe – e caste depresse – scheduled castes – che corrisponde alla tradizionale categoria dei fuoricasta o Dalit, con l’intento di effettuare una discriminazione positiva, ma istituzionalizzando in tal modo il loro status.
I principali settori di intervento sono quote di rappresentanza nell’ammissione al pubblico impiego, all’istruzione superiore, nei Parlamenti nazionali e regionali e anche negli enti locali dopo che, nel 1993, è stato effettuato un ampio decentramento di poteri ai consigli rurali di villaggio e alle municipalità. Le quote di rappresentanza avrebbero dovuto durare solo quarant’anni, ma sono state prorogate fino al 2030, con la possibilità di ulteriore estensione.
Le azioni affermative hanno ottenuto molti risultati importanti, ma al tempo stesso hanno ulteriormente cristallizzato il sistema e creato competizione sociale.
Una particolare forma di competizione è lo sviluppo all’incontrario, vale a dire la richiesta di gruppi relativamente avanzati di essere inseriti tra le caste depresse in modo da attingere ai relativi privilegi.
Il fenomeno si è accentuato dopo il 1990, quando il governo indiano decise di introdurre benefici e criteri di discriminazione positiva anche per le caste intermedie definite come OBC (Other Backward Classes, “altre classi arretrate”) cui venne assegnata una quota del 27 per cento, in aggiunta a quella per le caste depresse e le popolazione tribali. Nel complesso le quote riservate raggiunsero così il 49,5 per cento.
L’attuazione di questa misura provocò forti proteste soprattutto tra gli studenti di caste avanzate che videro ridotte le loro possibilità di accesso all’istruzione superiore. Ci furono diverse autoimmolazioni e suicidi di protesta. Istruzione e pubblico impiego erano tra le principali forme di mobilità sociale durante il periodo coloniale e hanno continuato a esserlo anche dopo l’indipendenza.
La diffusione su larga scala delle quote di tutela è stata criticata perché penalizza il criterio meritocratico e per il fatto che vengono assegnate sulla base dell’appartenenza a una sottocasta, mentre, invece il criterio per la definizione degli svantaggi dovrebbe essere quello economico. La Corte Suprema indiana stabilì, poi, nel 1992, che le quote di tutela riservate non potevano comunque superare il 50 per cento del totale della popolazione. Alcuni Stati però mantengono quote superiori. In Tamil Nadu, che ha ereditato la tradizione del Partito della Giustizia, le quote sono del 69 per cento, con qualche contenzioso tra il governo regionale e la Corte Suprema dell’India.
La Corte Suprema dell’India ha inoltre stabilito che l’appartenenza a una casta intermedia (OBC) non era sufficiente per avere diritto alle quote riservate e occorre essere al di sotto di una soglia di reddito minimo. Tale importo nel 2021 è di 800.000 rupie annue (circa 10.000 euro). Nel 2018 il criterio di reddito è stato esteso anche alle caste depresse (dalit) e ai gruppi tribali.
Nel 2019 il governo ha introdotto una quota di tutela del 10 per cento per le caste alte economicamente svantaggiate, sempre con il criterio del reddito minimo applicabile per le altre categorie. Questo provvedimento ha comportato una modifica costituzionale in quanto le quote riservate superano il 50 per cento.
C’è stata negli ultimi decenni una notevole mobilitazione e contro-mobilitazione politica attorno alla questione delle caste che sono ormai diventate un forte elemento di pressione, di lobby e un bacino elettorale. Si è assistito a una sorta di rivoluzione silenziosa che ha cambiato la natura della rappresentanza e vede ai vertici dell’amministrazione e della politica membri di caste intermedie o subalterne. Ciò è avvenuto prima nell’India del Sud e nell’India Occidentale – dove le caste elevate rappresentano una netta minoranza e forme di mobilitazione e condivisione del potere erano avvenute già nella prima parte del XX secolo – e poi anche nell’India Centro-settentrionale dove la questione delle caste è più forte e anche conflittuale. Nello Stato dell’Uttar Pradesh, il più grande e popoloso dell’India, il partito del BSP, che rappresenta Dalit, caste tribali e caste subalterne, gode di un forte consenso elettorale e la signora Mayawati è stata primo ministro dello Stato per cinque anni (2012-2017).
La segmentazione delle caste ha anche prodotto una regionalizzazione della politica indiana con il crescere dell’influenza di partiti che hanno una forte egemonia locale ma non hanno una presenza nazionale.
L’emancipazione politica, però, non va di pari passo con quella economica. Secondo il World Inequality Data Base mentre circa la metà di membri delle caste avanzate si collocano in una fascia alta di reddito, per le caste arretrate e depresse ciò avviene solo nella misura del 16-17 per cento.
Nonostante la mobilitazione attorno alla questione delle caste gli episodi di discriminazione sono in aumento, talvolta anche come forma violenta di contro-mobilitazione. Nel 1989 il governo ha emanato una legislazione speciale non solo contro i delitti e le atrocità penali, ma anche contro le offese alla dignità della persona. È stato istituito pure un tribunale speciale, con pene severe e sanzioni, anche per le omissioni di ufficio. Tuttavia il numero dei casi nell’ultimo decennio è cresciuto del 6 per cento, molti dei quali non giungono a conclusione.
Nel linguaggio corrente in India più che di appartenenza a una casta si parla di appartenenza a una comunità ed è un fattore psicologico molto importante per comprendere la natura e la persistenza di questa forma di organizzazione sociale. La comunità rappresenta vincoli di solidarietà, di supporto nel mercato del lavoro, ma anche un rifugio e un ammortizzare sociale in un’economia, come quella indiana, caratterizzata da un settore informale molto ampio. La dimensione comunitaria sopravvive nelle sue forme tradizionali nelle campagne, nel microcosmo del villaggio, ma trova una sua ragione di esistere, con altre modalità, anche in città dove i processi di urbanizzazione e industrializzazione espongono l’individuo alla mercé di cambiamenti sociali in cui ha un controllo limitato. Ci sono tante ragioni per la persistenza di questa particolare organizzazione sociale, ma non è un caso che si è comunque rafforzata negli ultimi trent’anni che hanno coinciso con riforme finanziarie, liberalizzazioni e modernizzazione dell’economia.
Alcuni riformatori del XIX secolo ritenevano che le caste fossero destinate a sparire con la crescita di uno spirito nazionale, dell’industrializzazione e di una economia moderna, ma, contrariamente a queste previsioni, c’è stato invece un assestamento e un adeguamento con le trasformazioni sociali ed economiche. È un sistema che va interpretato e compreso anche tenendo conto della sua modernità, come un fenomeno che si è storicamente evoluto e adattato al contesto storico-sociale di ogni tempo e non una semplice e inesplicabile sopravvivenza arcaica del passato.

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