Abbiamo appreso della scomparsa di Alberto Nascimben, carissimo amico e sostenitore della nostra rivista. Alberto ha trascorso la sua vita professionale nell’editoria. Persona colta, acuto osservatore, e ironico, un compagno di solida cultura politica, era appassionato di fotografia. Era di fatto la sua seconda professione e, per importanza interiore, la prima. Diverse le sue mostre, una delle quali, a Treviso, nello Spazio Paraggi, fu recensita per la nostra rivista da Lucio Chin. Vogliamo rendere omaggio ad Alberto, riproponendola ai nostri lettori, anche come espressione di cordoglio per la nostra Adriana Vigneri, sua compagna di vita, e per i figli, i nipoti. (Guido Moltedo)

La vita è ciò che facciamo di essa.
I viaggi sono i viaggiatori.
Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo.
Fernando Pessoa
Il lavoro di Alberto Nascimben presenta almeno tre temi, le architetture, talvolta in rovina, il ritratto, il paesaggio. Un lavoro da intendersi come metafora del viaggio con tutte le sue componenti, reali e ideali, consce e inconsce. Nella parola “viaggio” si definisce un’istanza relazionale tra l’azione del muoversi, dello spostarsi e il luogo dove si compiono tali azioni. Si possono certamente riconoscere fini diversi in questo “viaggiare” ma ogni scelta, alla fine, ci porta poi a considerazioni ed esiti inaspettati, imprevisti. Questo “muoversi” nello spazio e nel tempo rappresenta, quindi, una meraviglia (mirabilia-mirari) e una scoperta che si arricchisce di geometrie (da un punto all’altro), di rallentamenti e permanenze (soste), di sospensione (attese), di variazioni che, a volte, contraddicono le finalità e gli obiettivi iniziali.

Partenza, arrivo e transito diventano metafora di una ricerca che l’arte per prima affronta. In verità è un percorso di conoscenza, è un modo per prendere coscienza di ciò che siamo e di quello che forse vorremmo essere. Da questi luoghi, visti nelle loro parzialità e grazie alla fotografia, siamo portati a ridefinire le nostre coordinate, catturati da dimensioni culturali ed emotive che ristabiliscono gradi di sensibilità diversi rispetto all’usuale quotidianità. L’attraversamento, il transito conduce a un guardare, un osservare che, privo di ogni ordine precostituito, è catturato dalla luce, dalla materia e dall’aura che avvolge le memorie del luogo. In questa dialettica la fotografia di Alberto Nascimben si pone come mediazione fra il soggetto e l’oggetto, tra la forza di uno sguardo da esprimere con umiltà e la riconoscibilità di una testimonianza sulla quale si è sedimentata una spessa stratificazione valoriale.

Il pensiero che porta all’agire di Alberto Nascimben si traduce in una coerenza costruita sulla messa a fuoco in un paesaggio di architetture che costringe a definire i punti di vista, i corridoi ottici, le tensioni visive necessarie per portare alla luce la sintesi del contesto nonché la sua bellezza. La ricerca del punto dove fissare l’occhio esprime un insieme di relazioni e coerenze necessarie per fissare una precisa luminosità, la dinamica e la dialettica delle ombre nel loro dispiegarsi netto oppure nel loro tenue e delicato passaggio sulle superfici arrotondate delle colonne; meccanismi che disegnano le forme nella loro individualità e nel rapporto con lo spazio in cui sono poste.

L’immagine comunica il senso del tempo e della storia, della vita e degli uomini che quei luoghi hanno costruito e percorso. In fondo è uno spazio misurato sulla scala umana che ora si declina nella dimensione dell’infinito. Il pregio della fotografia di Alberto Nascimben si riconosce dalla capacità di evitare ogni teatralizzazione, mediante una disposizione affettiva nei confronti del luogo da cui prendere le mosse per ogni agire artistico. In questo si ritrova l’umiltà dell’atto intellettuale, nell’umile gesto dell’inquadrare e del far emergere l’immagine-opera quale risultante dell’approccio umanistico alla realtà da parte dell’autore.
Ed è nell’indagine umanistica della realtà che si ritrova il tema del ritratto. Da un lato si assiste alla sostituzione dell’immagine al modello, dall’altro al confronto con il modello, esprimendo una delega che porta a un’evocazione, a esercitare un rinvio, a esprimere un’alterità. Il ritratto implica l’assenza e la sostituzione del modello ma restituisce una caratterizzazione, un’impronta, una traccia attraverso la quale distinguere una proprietà singolare. È in questa esperienza del vedere che si pone il senso del vedere, con il quale riconoscere e/o interpretare un contesto. La fotografia e la pittura, in particolare, si sono riconosciute in questo tipo di esplorazione indagando a volte in chiave introspettiva altre volte in chiave esteriore. La capacità di porre la figurazione nel punto di mezzo fra questi estremi informa del senso che si riconosce nell’immagine ritratta. Un senso nel quale si trova un punto di vicinanza tra il fotografo, che da quella immagine è attratto, e la forza di un viso, di un’espressione o anche solo di una contingenza che determina l’atto condiviso dell’immagine. È l’appropriarsi di un contenuto sia con la sensibilità propria dell’intelligenza, della cultura e dello stato d’animo, sia con la tecnica che quella sensibilità riesce a renderla visibile, la fa apparire, la disvela, la offre e la dona, come in un rito sacrificale, all’esigenza visiva e partecipativa altrui, a coloro che vivono una condizione di estraneità e/o di indifferenza ai luoghi, agli uomini, all’esistenza. Attraverso questo atto di generosità e di riscatto che l’arte esprime si ritrova il fondamento stesso dell’esperire e dell’atto dell’artista nel suo peregrinare.
Ed è la vita che Alberto Nascimben rappresenta, traslata in un hic et nunc nel quale lo straniamento si accompagna al completo immedesimarsi nell’esercizio della fotografia, un’azione di possesso dell’oggetto da rappresentare e della sua consequenziale narrazione fotografica. Il disporsi in questa scansione duale non può che restituire una altrettanta doppia dialettica, tra la percezione che si definisce rispetto a un tema, a un contesto, a un luogo e la sua rappresentazione. Mai come nella rappresentazione del paesaggio, sia esso naturale o antropizzato, si restituisce questo scambio tra soggetto e oggetto, una inseparabilità che trova la propria legittimazione nella capacità umana di immedesimarsi, di identificarsi. Il dialogo che si genera porta ad affrontare la rappresentazione del paesaggio e dei suoi elementi costitutivi come accorta opportunità per la costruzione di senso, ancora prima che genere artistico. L’esperienza riflessiva che ne consegue diventa l’atto concettuale che l’operazione fattuale della fotografia ha determinato ed è anche l’atto estetico con il quale si riconosce l’aura di artisticità che avvolge la fotografia di Alberto Nascimben.

La rappresentazione di un brano urbano, di una montagna, di un albero o di un particolare minimo della natura è la declinazione dei morfemi di una grammatica visiva portatrice di un significato universale, quello della inseparabilità tra paesaggio, natura e uomo. Seppur latente nelle immagini fotografiche, l’indissolubilità affiora in un ritorno circolare dove l’uomo-artista è parte e inscritto nella stessa realtà che indaga e rappresenta ma, contemporaneamente, si riconosce quale soggetto esterno e narrante. L’impossibilità di uscire da questa condizione è anche il prerequisto che ci sollecita e ci costringe a guardare il lavoro di Alberto come dato esistenziale che si identifica con i luoghi, percorsi e attraversamenti che restituiscono un’impronta formativa, sostanziale sull’uomo.
Le categorie di “luogo, paesaggio” debbono intendersi in un significato ampio, nel quale riconosciamo quello naturale ma anche quello degli uomini e quello dell’anima. La sintesi è evidente nella profondità delle parole usate da Orham Pamuk in Istanbul (2006) laddove
In realtà ogni frase sulle caratteristiche generali di una città, sulla sua anima e sulla essenza, si trasforma in un discorso sulla nostra vita, e soprattutto sul nostro stato d’animo (…).
Il significato di questa riflessione è perfettamente riconoscibile nell’azione, nel lavoro e nel risultato di Alberto Nascimben, dove le sue “frasi” si strutturano con un preciso, mutevole e raffinato significante, al di là del quale si coglie il turbamento, e una vibrazione emotiva ed esistenziale che invera quanto lo scrittore turco ha saputo ben illustrare con poche parole. In fondo, l’arte è un atto universale nel suo manifestarsi e il medium con il quale si esprime non si presta a differenze gerarchiche. La scrittura o la fotografia non sono che due modelli espressivi accomunati dalla stessa esigenza estetica ed etica: comunicare, riflettere e far riflettere, senza alcuna volontà pedagogico-didattica ma come occasione per esercitare il pensiero critico. Un’esigenza di verità che alimenta una personale visione critica, tra conoscenza sensibile e intellegibile, valori e qualità che rappresentano la natura fondamentale dell’intero corpus fotografico.

Articolo pubblicato il 2 marzo 2016

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!