Nel 1877, ragionando su quello che considera il “problema” tedesco, Dostoevskij ha una idea fulminante: la Germania è essenzialmente un impero che protesta. Anzi, il suo compito storico è proprio quello di protestare contro tutto ciò che, affascinante e disturbante, si sviluppa a Sud delle Alpi. Oltre alla tradizione luterana, che pure della protesta aveva fatto una bandiera, questa opposizione ha una storia antica, ricca di melanconie, eccitazioni, a volte anche di barbarie:
Cominciò con Arminio e l’universo di Roma – scrive Dostoevskij – e in seguito contro tutto quello che dall’antica Roma passò alla nuova e poi in tutti quei popoli che da Roma avevano accolto la sua idea e la sua formula. Il suo elemento è la protesta contro gli eredi di Roma e contro tutto quello che costruisce tale retaggio.
È in questa guerra che la Germania sogna di conquistare l’egemonia, pronta a impegnare idee e fucili, con stuoli di poeti, filosofi, musicisti che guardano con diffidenza e un po’ di disgusto all’imperialismo della civilizzazione.

Il povero dottor Arno Widmann, dalle pagine della Frankfurter Rundschau continua in solitaria questa annosa guerra ai miti della “Romania”. Il suo controcanto ai festeggiamenti danteschi non è certo un “gesto galante dei radicali e non manca di un certo disprezzo” – come scrive Thomas Mann ai tempi delle sue “protestanti” Considerazioni di un impolitico – ed è truce, ironico e brutale, quanto basta ad attirare un coro di universale disapprovazione.
Sappiamo ormai cosa Widmann ha scritto con tutta la baldanza di riferimenti avventurosi in apertura e in due fitte pagine della sua testata: qualche notizia avveduta sui festeggiamenti e sulla biografia di Dante, una ricognizione realistica sui turbamenti di generazioni di scolari alle prese con la lingua e i contenuti della Divina Commedia, alcuni riferimenti critici affrettati se non imprecisi e una valanga di accuse che ci fanno capire quanto possa essere eccitante andare controcorrente quando si parla di uno scrittore rubricato tra i grandi.
Dante è per Widmann un plagiaro, incapace di creare (dalla lingua italiana, fino al tema del mistico viaggio che sarebbe stato trafugato alla letteratura araba), un uomo ambizioso, opportunista, senza sogni e insensibile al miracolo: solo un io ipertrofico rintanato in una “Bürolandschaft” una scialba natura per uffici e impiegatucci.

Sono critiche sorprendenti in un giornale progressista e in un giornalista di formazione radicale come Widmann, perché ripetono quello che Wagner diceva dei suoi colleghi ebrei e che viene ripetuto fino alla nausea dalla destra tedesca: un vero catalogo che il nostro autore nell’ebbrezza dell’originalità non riesce a scansare. Come ogni ebreo, da Heine a Mendelssohn, Dante sarebbe incapace di creare, privo di spiritualità, passione, generosità e senso della comunità; vive invece imprigionato nell’utile, in una torva ragionevolezza, in uno smodato opportunismo e in una lingua che non gli appartiene e non contribuisce a forgiare.
Al termine dell’articolo, e di sicuro effetto, il paragone, che Widmann riprende da Eliot, tra Shakespeare e Dante con la vittoria assegnata senza tentennamenti al primo sul secondo.
In realtà, l’esaltazione di Shakespeare contro la letteratura del Sud (anche se Dante viene per lo più graziato) è una delle più antiche e radicate “proteste” tedesche; riporta alla bella stagione dell’illuminismo e a quell’ennesimo tentativo (comunque tollerante e moderato dalla fascinazione per l’Italia) di trovare una qualche identità “nazionale” nel contrasto tra un Sud appaltato alle regole e un Nord impastato di spirito e genialità. Shakespeare è l’autore che nella Drammaturgia di Amburgo Lessing contrappone alla retorica classicheggiante dei francesi, che Goethe pone a modello dello Sturm und Drang, avvicinandolo a Erwin von Steinbach e a quella cattedrale di Strasburgo in cui la spiritualità sembra avere la meglio sulla regolata concretezza delle chiese romaniche. Ed è un mito che attraversa potente il romanticismo per riversarsi nelle tante servili glorificazioni ottocentesche della Germania che si avvia a diventare impero e nelle inquietudini della avanguardia storica.
Ma è estremamente consolante che questi giudizi siano ormai solo appannaggio di un giornalista, brillante e un po’ confuso, e che l’oggetto di tanta acrimonia sia un poeta come Dante, estremamente resistente alle polemiche dei suoi come dei nostri tempi.

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!