In base ai dati storici e alla tradizione, Venezia è nata in virtù del suo isolamento, che difendeva l’area di primo insediamento dalle scorrerie dei barbari. La successiva prosperità di Venezia è legata a vari aspetti: ancora la sua laguna, che la rendeva ben difendibile; la sua proiezione internazionale, sulle vie commerciali dell’Oriente; la sua capacità tecnica, marinara e commerciale; la sua forza militare; la sua modernità; l’unità fra popolo e aristocrazia sotto i simboli della Repubblica.
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Ora Venezia non è più una potenza, né commerciale, né tecnica; tantomeno militare. Venezia, come forma architettonica è sempre meno “moderna”, anzi è intoccabile e immutabile, una sorta di “forma urbis”, perché è difficile migliorarla sul piano stilistico. Venezia di fatto vive della sua fama mondiale, della sua unicità. In altre parole della sua “immagine”. Ma l’essere una pura immagine non è un destino inesorabile. Venezia può tornare a vivere essendo, più che immagine, realtà simbolica.
Ciò comporta una fisicità da mantenere. La fisicità degli edifici e degli ambienti lagunari e la fisicità degli abitanti. Ciò esclude le ipotesi sognanti della Venezia eterea e idealizzata dei giorni del lockdown sanitario. Sogni di ambienti incontaminati in quanto assenti di umanità, forme pure. La narrazione di un’umanità colpevole e corruttiva, anche per questo punita, e redenta dalla purezza di una sublime architettura! Questo il retro-pensiero in molti teorici, in realtà osservatori di immagini.
Prima di tutto Venezia, inclusa la sua laguna, è un’opera umana, non un ambiente naturale. È una mirabile opera naturale nella misura in cui l’uomo appartiene alla natura, ovvero fa parte della natura. È questo il fascino di Venezia; e non sarebbe lo stesso se l’arte e l’architettura di Venezia non fossero immersi nell’acqua, che è elemento simbolico per eccellenza, culla di vita. L’acqua è la base costitutiva di Venezia, anche simbolicamente, oltreché materialmente. Un libro di uno studioso purtroppo recentemente scomparso, Franco Rendich (Gli Indoeuropei e le Acque) suggerisce che l’origine del nome Venezia deriverebbe direttamente dalla consonante n, simbolo delle Acque nelle lingue indoeuropee; ovvero il significato originario del nome Venezia sarebbe “posta in un intreccio di acque correnti”.
Cosa fare allora per dare un futuro a Venezia? Infatti è indubbio che Venezia è minacciata in modo serio. La cosa va vista in prospettiva – secoli – ma la minaccia è palpabile qui e ora, per chi la frequenta in modo non episodico. Più precisamente, si può parlare di: minaccia secolare e minaccia immediata.

La minaccia secolare
In prospettiva secolare – e oltre – ovvero XXI secolo e oltre, Venezia è minacciata dal cambiamento climatico e dalla subsidenza. Fattori che verosimilmente porteranno a un innalzamento del livello del mare, anche se non c’è ancora un consenso scientifico sull’entità. Una recente review scientifica coordinata dall’Università di Ca’ Foscari stima una forchetta molto ampia, da 17 a 120 cm., entro la fine del secolo. Questo escludendo eventuali fenomeni di subsidenza antropogenica (ovvero causata dall’azione umana, quale per esempio l’estrazione di acqua o gas naturale). Ciò potrebbe avere conseguenze drammatiche visto che Venezia è costruita sull’acqua, la laguna di Venezia necessariamente scambia acqua con il mare Adriatico, e ragione d’essere di Venezia è stata sempre il rapporto con il mare. La conoscenza scientifica attuale indica quindi che entro la fine del secolo è ragionevole attendersi un aumento di circa 70 cm. sul medio mare attuale. L’ampiezza della forchetta è evidentemente dovuta ai grandi margini di incertezza ancora presenti.
La minaccia è quindi reale, anche se il livello di rischio dell’eventualità più pessimistica, correlato a come reagirà realmente il clima globale entro il XXI secolo, non è ancora quantificabile. È interessante notare che sulla minaccia secolare il mondo è abbastanza consapevole, anche perché simbolicamente Venezia è un accattivante paradigma della minaccia comune dovuta al cambiamento climatico, tema attualmente all’ordine del giorno sia della politica internazionale sia della rappresentazione mediatica.
La minaccia immediata
Drammaticamente percepibile qui e ora è invece la minaccia che si è evidenziata nel corso di avvenimenti reali, non teorici, recentissimi, anzi ancora in corso:
– Una serie di incidenti che hanno coinvolto il traffico delle Grandi Navi all’interno della laguna, con conseguenze che avrebbero potuto essere ben più gravi di quanto si è verificato.
– L’evento del 12 novembre 2019, con una acqua alta non del tutto prevista che ha raggiunto i 187 cm., poco sotto alla catastrofe del 1966 (194 cm.). Comunque danni per centinaia di miliardi e una prima “botta” alla fonte economica principale di Venezia, il turismo.
– La pandemia di Covid-19, a partire da febbraio 2020, ancora in corso. Oltre a creare lutti fra la popolazione ha gravemente colpito tutti i settori legati al turismo, dalla navigazione ai musei, oltre al settore alberghiero, della ristorazione, del commercio.
Questi tre eventi hanno mostrato una fragilità che poteva ben essere preventivata, ma non prevista concretamente. La concretezza richiede sempre un’esperienza diretta, percepita coi sensi, non solo immaginata. Basti pensare che a fine 2019 la giunta comunale stava seriamente programmando di introdurre, a partire dal luglio 2020, tutta una serie di restrizioni e di diritti di accesso abbastanza salati e stringenti da applicare ai flussi turistici. Ragionando “a botta calda” si può percepire come il 2020 abbia totalmente stravolto la situazione, applicando alla città e alla popolazione un vero e proprio shock.
È interessante osservare che, al contrario della minaccia secolare, la minaccia immediata non è assolutamente percepita dal mondo, che anzi si culla sul fatto che una “Venezia deserta” sia finalmente pura ed ecologica; pura forma architettonica popolata da uccelli acquatici, con acqua finalmente limpida. Alcuni “sognatori” vedono di buon occhio questo ritorno al passato (del tutto teorico in quanto non riproponibile senza continuare il lockdown). Ma questo fa parte di una visione almeno animata di buoni propositi. Ci sono però anche molte entità economiche, ben più potenti, pronte ad approfittare della situazione, per acquisire asset a buon mercato.
La minaccia immediata non può quindi essere affrontata se non mettendo in campo una resistenza attiva, o resilienza autoctona. Ovvero deve coinvolgere la popolazione, e i veri “estimatori di Venezia” che non vivono a Venezia ma la amano. La minaccia immediata è soprattutto un effetto della pandemia, che non si sa quanto durerà e probabilmente costituirà una situazione da cui si uscirà mutati. Solo i vaccini sono stati sviluppati a tempo di record, il lavoro sui vaccini era già un aspetto ovvio per cui non c’era nulla da chiedersi, se non di estremamente tecnico. Purtroppo non è detto che siano immediatamente risolutivi, visto l’emergere di varianti virali e la difficoltà tecnica della produzione di massa.

Proposte sulla minaccia immediata: azioni di presa di coscienza. Mantenere e rivalutare la memoria
Stanno chiudendo molte attività, e molti alberghi ed esercizi commerciali stanno cambiando mano. Le prospettive non sono certo rosee. Alcuni casi fra i più recenti, riportati dalla stampa, sono ad esempio: la vendita della casa dei Tre Oci; la chiusura del ristorante Antica Carbonera; la perdurante decadenza dell’Hotel Des Bains al Lido di Venezia. Basta farsi un giro, magari uscendo dal percorso Zattere, San Marco, Strada Nuova, per vedere di persona. Al di là dei drammi imprenditoriali, è necessario prevenire la perdita di memoria, lo stravolgimento culturale. Mantenere e rivalutare la memoria è necessario sia per fornire una base al turismo di qualità, sia per fornire un inquadramento culturale alla necessaria immigrazione di forze giovani, che altrimenti si troveranno di fronte a una “tabula rasa”.
Una cosa da fare subito, immediatamente, è una ricognizione di tutte quelle attività e di quelle competenze che caratterizzano la tradizione veneziana, e che se chiudono o passano di mano su una base puramente commerciale, costituiranno un grave danno non solo per i gestori attuali. Il rischio immediato è la loro sparizione e sostituzione con altro, quando ci sarà una ripresa (Recovery). A questo proposito, la pandemia sta solo accelerando processi già in atto. Quindi: cibo tipico (tramezzini, cicchetti, piatti tradizionali); luoghi tipici (mescite, bàcari, bar, ristoranti e pasticcerie ben caratterizzati); mercati all’aperto; presidi culturali quali biblioteche e librerie che abbiano valore culturale rispetto a Venezia; negozi di barche a remi e forcole e simili; squèri; altre arti veneziane non dozzinali. Ricognizione contestuale (cioè a stretto giro d’azione, ovvero a fasi successive, non “a tempo debito”) alla ri-proposizione di istituzioni antiche da rivisitare, come erano un tempo le scuole grandi e piccole che organizzavano le arti e i mestieri di Venezia. Le attività così selezionate andrebbero tenute in considerazione per il loro ruolo pubblico. Si potrebbe pensare a: messa a disposizione di servizi web che ne illustrino e propagandino il valore anche all’estero, ovvero Proiezione internazionale organizzata; eventuale sostegno economico; creazione di consapevolezza pubblica; Feste; incontri periodici; premi; marchi di qualità. Questa azione dovrebbe coinvolgere il Comune, le università e associazioni culturali. Recentemente sono state istituite posizioni di servizio civile per giovani potrebbero essere attivate in merito. È quanto mai necessario coinvolgere giovani, veneziani, veneti, italiani, stranieri. In caso di cessione, i titolari delle attività promosse dovrebbero impegnarsi a trasmettere la conoscenza e la consapevolezza, in misura proporzionale al sostegno ricevuto.

Documentare il cambiamento
Il Recovery Plan, ammesso si riesca ad attivarlo su Venezia, non risolverà la problematica. È necessario attivare subito le componenti più attive della cittadinanza. Ci sono gruppi che storicamente sono attivi, fra gli altri Venezia Cambia. Ma è necessario dar modo a tutti gli interessati, anche non residenti, di aumentareil contributo al bene comune di Venezia. A tal fine potrebbe essere utile costituire un repository (deposito) liberamente consultabile online, contenente tutti quei documenti, siano essi articoli, report scientifici, statistiche, testi, interventi, progetti, schede tecniche, che possono essere utili a tutti (studiosi, animatori sociali, imprenditori e semplici cittadini) per intervenire in modo informato nel dibattito che si deve sviluppare. Va data precedenza alla documentazione recente, a partire dagli anni Sessanta dello scorso secolo. Anche questa deve essere una attività in progress, ovvero in “evoluzione progressiva”, ma che deve iniziare a dare risultati a brevissimo termine. Non c’è alcun bisogno di attività che iniziano a dare frutti fra qualche anno, in stile accademico, “a babbo ormai morto”. Questo potrebbe essere un servizio di elezione fornito dalle università del territorio, con i loro studenti (potrebbe ben essere un prodotto, o deliverable, di una tesi di laurea magistrale o di dottorato su “I Problemi di Venezia”; da realizzare però in progress, cioè dovrebbe iniziare a dare risultati immediati) e le associazioni. Ovviamente il Comune dovrebbe sponsorizzare e collaborare. Attorno a questo repository si può anche organizzare un blog con sito web, non viceversa.

Trasparenza sui numeri
Sempre a livello di presa di coscienza dei cittadini – perché è invece ragionevole pensare che le autorità abbiano già contezza dei numeri – occorre anche iniziare a discutere in modo concreto e analitico. Una città si mantiene se ha sufficienti risorse; spese e risorse vanno quantificate. Quando Venezia era potente si procurava, o bottinava, le risorse. Ora non può più farlo. Quali sono le risorse di Venezia? Tasse e tariffe portuali? Trasferimenti dalla regione o dallo stato? E quanto sono? E quali le spese? Quanto costa mantenere Venezia, a livello di manutenzione delle opere di difesa dalle maree eccezionali (MoSE); a livelle delle opere di riequilibrio lagunare; a livello della manutenzione dei palazzi di interesse storico, delle rive, dei selciati, dei ponti, dei canali? Se non si quantificano questi aspetti non si può neppure discutere su cosa occorre fare affinché l’economia produca risorse sufficienti. O quanto occorre andare a chiedere di integrazione “al mondo” (perché è chiaro che sempre più la popolazione esistente non ha risorse sufficienti). Non si può valutare l’impatto di progetti alternativi. Questo per la sopravvivenza della città. Poi c’è anche la sopravvivenza degli abitanti. Quale tipo di attività economiche possono consentire agli abitanti di sopravvivere o, meglio, prosperare e svilupparsi? Pensioni, o turismo, o artigianato, o industria, o porto, o servizi, o affitti? Se non si risponde a ciò non si può capire quali sono i margini e i metodi per invertire la tendenza all’abbandono della città. Rimarrà solo la vendita o, peggio, la svendita, sia da parte del pubblico che dei privati.

Economia
Turismo
È indubbio che appena possibile e in una prospettiva post-Covid (i cui effetti dureranno verosimilmente da due a quattro anni, questa la mia personale valutazione) si dovrà sicuramente rilanciare in primo luogo il turismo. Come già detto, già nel 2019, e sembra un secolo fa, è emersa evidente l’insostenibilità del modello turistico di massa, tanto che per il 2020 il comune aveva già programmato un piano di contenimento, con tanto di tariffe di ingresso. La pandemia ha rivoluzionato radicalmente questa prospettiva, ribaltandola nell’esatto opposto, una Venezia praticamente deserta. In un certo qual modo prendendo spunto dalla situazione per uscirne “migliori di prima” il rilancio dovrà quindi puntare subito soprattutto al turismo di qualità, ovvero “né di massa né soltanto di élite”. Questo rilancio potrà avvenire in misura significativa prevedibilmente a partire dal 2022. Proprio l’azione immediata di salvaguardia e valorizzazione della memoria già citata è essenziale al fine del rilancio turistico su una base di turismo di qualità.

Porto
Essendo città d’acqua, Venezia non è concepibile senza laguna, ma anche senza porto. Sul porto e la portualità immagino ci sia già molta “carne al fuoco” con progetti magari alternativi ma abbastanza definiti. Ma il problema del porto è connesso al problema del controllo delle maree eccezionali (acqua alta), in quanto le chiusure del MoSE hanno un forte impatto sul traffico navale, e al problema dell’equilibrio lagunare, in quanto scavi di canali e movimenti navali hanno un forte impatto sulla laguna vista come ambiente naturale. Il porto e le attività portuali sono anche un elemento fondamentale dell’economia veneziana (Venezia+Mestre/Marghera). L’aspetto più visibile a tutti è legato al traffico passeggeri. È ormai evidente che il modello basato sulle Grandi navi non è sostenibile, a prescindere dal fatto estetico. Infatti, almeno per me, una grande nave non è necessariamente “brutta”. C’è una bellissima foto pubblicata in un volume curato da National Geographic su Marco Polo, che mostra una Grande nave che passa davanti alla Piazza San Marco, in un turbinio di piccioni. Questa è la visione di un fotografo sicuramente non alfiere del Comitato NO Grandi navi. In effetti il libro è datato, è del 2002. Ma si sono già sfiorati incidenti gravi, potenzialmente catastrofici. Inoltre è ormai assodato che le Grandi navi inquinano, sia in termini emissioni (CO2 problema globale, particolato e NOx problema locale) che in termini di moto ondoso. La richiesta di un cambiamento significativo non è quindi più solo un fatto teorico o ideologico. È un’esigenza ormai accettata da tutti, ciò che varia è la tempistica e la misura. Una soluzione concreta richiede approfondimenti tecnici, su cui personalmente non mi esprimo in quanto non ho attualmente elementi. Ma anche il traffico merci va considerato. Attualmente, merci e combustibili arrivano a Porto Marghera dalla bocca di Malamocco attraverso il canale dei petroli, lontano da occhi indiscreti, canale attualmente in fase di ampliamento come canale Malamocco-Marghera. Ogni ipotesi di ristrutturazione della generazione energetica, che sarà alla ribalta in questo decennio essendo un aspetto fondamentale del Recovery Plan europeo, implica conseguenze sul traffico portuale. La dismissione del carbone dal polo termoelettrico azzererà il traffico di carbone, a favore di gas, e/o idrogeno in futuro. Il consumo annuo di carbone dichiarato da Enel era di 1.200.000 tonnellate/anno nel 2011, oltre alla produzione di 200.000 tonnellate fra fanghi e gessi da smaltire. Il traffico correlato era probabilmente meno di una cinquantina di navi all’anno, se simili alla carboniera Star Maria da 42.000 tonnellate che ha soffrì per un principio di incendio nella stiva numero 4 nel 2016.
Uno studio di fattibilità Enel del 2008 finalizzato ad alimentare due gruppi della centrale Palladio parzialmente a biomassa, prevedeva l’impiego di circa 250.000 t/anno di biomassa, approvvigionata con navi da 2500-5000 t; ovvero un traffico stimabile in un centinaio di navi all’anno, compresi i residui di combustione. Alcune ipotesi potrebbero prevedere in futuro rigassificatori legati al ciclo del gas o dell’idrogeno, in Alto Adriatico, per svincolarsi dalle pipeline. Ciò potrebbe coinvolgere Venezia. Infine, il grande piano cinese denominato “Via della seta”, oggetto di controversia internazionale e conteso da tutti i porti europei, potrebbe implicare un notevole sviluppo del porto industriale di Venezia, potrebbe essere un’occasione già persa o potrebbe essere una iattura, a seconda dei punti di vista.
A parte tutto ciò, da portare pienamente alla luce per un dibattito serio, in ogni caso è indiscutibile che il porto andrà riorganizzato in senso moderno, in accordo alle nuove direttive previste dall’IMO (International Maritime Oganization) già dal 2018. Infatti è ormai riconosciuto a livello mondiale come il prossimo settore su cui investire è il settore navale e portuale, al fine di ridurre l’impatto in termini di riduzione delle emissioni climalteranti e l’inquinamento locale. Uno studio sul porto di Amburgo ha mostrato come un terzo delle emissioni di NOx sono legate all’attività portuale. Molti porti, soprattutto del Nord Europa, si stanno ristrutturando per raggiungere l’obiettivo di zero emissioni di CO2; ciò aumenta anche l’appeal commerciale.
Un esempio è in fig. 1, tratta dalla Electric&Hybrid Marine World expo 2021. La strada maestra prevede l’aumento dell’elettrificazione delle banchine per alimentare le attività di carico/scarico merci e rifornimenti e per fornire l’alimentazione alle navi in porto al fine di ridurre o azzerare il consumo di combustibile a bordo nave, mentre sosta in porto. Elettricità che dovrà essere sempre più di origine rinnovabile e potrà anche comportare impieghi dell’idrogeno come vettore energetico. Altri aspetti sono la crescente digitalizzazione delle attività portuali. Vi sono grandi opportunità da cogliere, in termini di Ricerca e Sviluppo e di sviluppo industriale ed economico, visto che possono ricadere a pieno titolo nel capitolo fondi europei (PNRR o simili) in quanto l’Europa, con il Recovery Plan o Next generation EU spinge molto per questo tipo di soluzioni. In pratica è un percorso già tracciato, è solo necessario passare alla fase di specifica tecnica concreta. Tutto ciò coinvolge sia Venezia che Mestre/Marghera, potrebbe anzi coinvolgere tutto il settore della ricerca universitaria e dell’industria del triveneto, dato la forte presenza di competenze in campo elettronico/elettrotecnico.
Navigazione lagunare e cantieristica
Una rinascita di Venezia non può che passare per il suo rapporto con il mare e la navigazione, in particolare lagunare. Sempre in virtù delle risoluzioni dell’IMO, e non solo, poiché il settore navale è riconosciuto come una delle prossime aree da affrontare a livello di “svolta green” o Transizione ecologica, molti ferries in Olanda e alcuni servizi passeggeri a Bangkok sono già elettrici. Un esempio di Bangkok, città acquea che ha alcune somiglianze con Venezia, è mostrato nella figura seguente, tratta sempre da una presentazione al Electric&Hybrid Marine World Expo 2021.
Fig. 2 – Battello a propulsione elettrica per traffico passeggeri a Bangkok
Venezia in realtà non è così indietro, ad esempio al Lido di Venezia sono già operativi autobus elettrici (e fino agli anni Sessanta c’erano i filobus…) e a varie riprese sono stati prototipati battelli a propulsione elettrica o addirittura a idrogeno (progetti SCOSSA e HEPIC). Nel frattempo la navigazione innovativa per passeggeri si è, a quanto pare, arenata. Il dibattito avviene con annunci giornalistici che creano un tira e molla un po’ defatigante, per chi vuole seguire la questione, dando l’impressione di iniziative estemporanee, non inserite in un quadro organico, o con tutta una serie di vincoli poco trasparenti. Il Recovery plan europeo punta proprio a questo tipo di attività, probabilmente perché il know-how dei paesi nordeuropei è pronto a entrare in azione. Venezia e il Triveneto vogliono resistere all’innovazione, essere un mercato per gli altri europei e i giapponesi/cinesi, o trarre vantaggio? Notizia positiva, recentemente ha preso il via il progetto e concept, anche tramite un’azione di crowdfunding. Questo progetto prevede di introdurre un sistema di alimentazione per barche a propulsione elettrica inserito in paline di ormeggio (e-dock) che riproducono le classiche paline veneziane (Fig. 3). Per adesso è una iniziativa “di piccola taglia” ma che coinvolge anche la consociata innovativa dell’ENEL, ENEL X. E non potrebbe che essere così, visto che l’ENEL ha tutto l’interesse a sostituire benzina con elettricità.
Arsenale
L’Arsenale di Venezia, il famoso “Arzanà de Viniziani” descritto da Dante nel Canto XXI dell’Inferno, è stato appunto un mirabile esempio di fabbrica o ciclo produttivo, prima dell’era industriale, quando Venezia era all’avanguardia della scienza e della tecnica. Nell’Arsenale si applicavano le migliori tecnologie e i migliori metodi produttivi. Occupava mediamente una maestranza di duemila persone, con punte di cinquemila.
Attualmente l’Arsenale è proprietà in parte della Marina militare e in parte della Fondazione Biennale di Venezia. L’Arsenale potrebbe avere un grande ruolo nella rinascita produttiva di Venezia, in particolare in rapporto alla nautica tradizionale (a remi e a vela) e innovativa e all’artigianato. In quanto alle navi e barche a vela, si potrebbe pensare che siano residui del passato. In realtà, sono concentrati di alta tecnologia, basti vedere le barche dell’America’s Cup. Esistono anche progetti di re-introduzione parziale o totale della propulsione a vela per navi da carico e passeggeri (di lusso…). Un progetto interessante di rivitalizzazione dell’Arsenale è già stato approntato dal 2016, e recentemente riproposto, da parte del Forum Futuro Arsenale. Sono previsti cantieri, musei e il recupero delle tecniche antiche in chiave moderna. Potrebbe essere centro d’attrazione per giovani da tutto il mondo. Se ben strutturate, le azioni potrebbero ben ricadere in quelle previste dal Recovery Plan europeo.

Industria chimica e Marghera
Prima di parlare di Marghera, vorrei riportare qui alcuni frammenti riportati alla luce (per quanto mi riguarda) casualmente dal web, ovvero dall’Album di Giuseppe Bedeschi, che si autodefinisce pilota, aspirante scrittore, matematico dilettante. I frammenti dovrebbero risalire agli anni Ottanta.
Marghera è la zona industriale della Laguna veneta dalla parte della terraferma. Per chi guarda da Venezia, tra le ciminiere di Marghera tramonta il sole.
Venezia. Tramonto industriale verso Marghera – col sole che penetra su lugubri ciminiere – in violacee contrade. A oriente, tacita tu attendi la notte – per stendere sui muri umidi pianti – tra crepe antiche, sgorganti sangue, su miasmi d’acqua”. E poi “Venexia, no ghé fusse el ponte, l’Europa sarìa un’ìsoa”.
La questione di Marghera è quindi “antica”.
Ora Marghera potrebbe riqualificarsi sull’idrogeno. L’idrogeno, ricordiamolo, è uno dei due costituenti fondamentali dell’acqua, H2O. È quindi naturalmente in accordo simbolico con Venezia. L’idrogeno è anche al centro dell’attenzione mediatica, ed è un punto fondamentale della ricetta europea, il Recovery Plan. Qualsiasi azione sensata sull’idrogeno ha quindi le porte aperte nei fondi europei. Perché? Perché l’idrogeno è un vettore energetico (portatore di energia) che sta all’opposto degli idrocarburi (carbone, petrolio, gas).
Infatti gli idrocarburi si traggono dalla terra e il loro utilizzo produce anidride carbonica (CO2) che è il maggiore responsabile, come gas climalterante, del cambiamento climatico di origine antropica. A meno che non si “neghi” questa tesi, che è sempre più condivisa come verità scientifica. L’uso di idrogeno invece produce acqua. L’idrogeno non esiste in natura allo stato libero, se non in tracce, per cui va ricavato dall’acqua o da idrocarburi, utilizzando energia. Nel caso sia ricavato dall’acqua è il cosiddetto “Idrogeno Verde”, nel caso sia ricavato da idrocarburi è il cosiddetto ”Idrogeno Marrone” (Brown Hydrogen) la cui produzione libera CO2 o Grey Hydrogen, a seconda degli autori; per cui non ha senso in termini eco-sistemici produrre “idrogeno marrone” a meno non si separi e confini o riutilizzi la suddetta CO2 in modo da avere una emissione nulla (idrogeno Blu), secondo i dettami dell’economia circolare. La vera svolta ecologica è quindi quella dell’idrogeno verde; quella dell’Idrogeno Blu, se è veramente Blu e non Blu/marrone, può avere senso solo come fatto intermedio, per consentire un “addestramento tecnico”. Perché passare da idrocarburi a chimica dell’idrogeno comporta una rivoluzione tecnologica in una quantità di aspetti, che vanno dalla produzione, allo stoccaggio, al trasporto e all’impiego. Quello che nella petrolchimica è il downstream (mentre l’estrazione è l’upstream). Personalmente mi sono occupato della produzione di Idrogeno Verde (Upstream dell’idrogeno) a livello di ricerca dal 1995 al 2001 (quando ancora non c’era questa distinzione in colori, introdotta dai comunicatori scientifici) partecipando anche al gruppo di lavoro coordinato dal fisico Carlo Rubbia, che dal 1999 al 2005 fu presidente dell’Enea.
All’epoca produrre idrogeno da fonti rinnovabili non era proponibile a livello commerciale, anche se, se ne parlava da tempo. Come già detto, attorno all’idrogeno si può sviluppare tutta una filiera chimica e industriale, che passa anche per vettori più maneggevoli dell’idrogeno gassoso, quali ad esempio l’ammoniaca (NH3). L’idrogeno può alimentare anche i veicoli. Ecco che quindi si prospetta un’enorme potenzialità di sviluppo economico basato sulle tecnologie legate alla produzione, trasporto, utilizzo di idrogeno in campo energetico e non solo in campo chimico (cosa questa che già avviene, al petrolchimico). Esiste una mole considerevole, e crescente, di letteratura scientifica e tecnica in merito, e c’è ancora molta ricerca tecnologica da fare per rendere l’idrogeno un’opzione commerciale, ma è evidente che il settore energetico mondiale sta puntando all’idrogeno. Tanto per intendersi, la prospettiva idrogeno è stata oggetto di una riunione del G20 del 2019, ed esiste in merito un report di 203 pagine. E già le industrie europee si stanno attrezzando a iniziare l’introduzione di quote di idrogeno nelle pipeline di gas naturale.
In definitiva, se l’area industriale di Marghera non cogliesse la prospettiva idrogeno in termini di investimenti, ma se ne stesse alla finestra, vorrebbe dire che è votata a scomparire. Il Recovery Plan è aperto a finanziare questa prospettiva.

Digitalizzazione
Anche la digitalizzazione è una delle linee principali previste nel Recovery Plan, per cui ha le porte aperte, in linea di principio. La digitalizzazione nello specifico di Venezia può essere di particolare interesse per vari aspetti:
1. Consentire ai cosiddetti “nomadi digitali” (giovani che lavorano online, artisti, creativi e simili) di venirsi a stabilire a Venezia, contribuendo a un ripopolamento di qualità.
2. Consentire di sviluppare imprese hi-tech, in particolare nel settore della ricerca.
A tal fine è necessario riesaminare seriamente il corretto utilizzo del patrimonio abitativo, prevedendo corrette politiche abitative e incentivi per favorire l’arrivo e la permanenza di giovani.
3. Consentire di digitalizzare i Musei e il patrimonio artistico, rendendolo più fruibile, con minori vincoli di spazio e tempo. In questo caso è più corretto parlare di memorizzazione del patrimonio, in modo che vengano magari portati alla luce dettagli ora poco apprezzati. Non solo si può evitare l’affollamento, si può creare un maggior interesse a visitare poi Venezia di persona, andando a vedere aspetti poco conosciuti. Possono essere realizzati documentari, visite in 3D e quant’altro. Si possono educare i bambini. Si può anche completare la digitalizzazione architettonica, utile per ricostruire edifici nella malaugurata ipotesi che vi siano dei danni (Il Campanile crollò nel 1902…). Soprattutto, si può dare molto lavoro per i giovani, che notoriamente hanno questo tipo di competenze.
Gestione del MoSE
Il MoSE ormai c’è, è inutile dibattere ancora se serve o no, se risolve o no, e cose simili. È noto che ci sono stati grandi scandali in passato, su cui è intervenuta la magistratura. Ora il MoSE va usato, e qui già sorgono i problemi. Infatti va completato, e poi va mantenuto. Aspetti non banali, ma ci sono sicuramente dei piani in merito.
Ma va anche sperimentata la sua operatività. È ingenuo pensare che la gestione sarà ottimizzata in un batter d’occhio. Dovranno per esempio essere verificati gli effetti sulla marea, ma anche sulla laguna. Da questo punto di vista, quale miglior modo per mettere a punto (validare) i modelli idraulici lagunari (basati su simulazione dinamica al computer) che avere a disposizione uno strumento che crea una forzante idraulica, e di cui si conoscono le modalità di attuazione? Disporre di una modellistica validata consente anche di valutare e comparare altri tipi di intervento sulla laguna. Certo, se i dati rimangono proprietari, e il proprietario non li usa a scopo scientifico e non li mette in gioco, allora la sperimentazione non si fa, o rimane proprietaria. È quindi necessario un accordo scientifico che coinvolga tutti gli attori operativi e scientifici in campo. Questa azione di ricerca potrebbe ricadere nel Recovery Plan, in quanto Venezia è esemplare per l’Europa. Molti occhi sono puntati su Venezia.

Immigrazione e ripopolamento
Venezia ha bisogno di immigrazione, infatti è evidente che si sta spopolando, e i ritmi della natalità tipici delle società occidentali portano a una crescita zero, se non negativa. Solo un flusso dall’esterno può compensare la decrescita demografica nell’attuale frangente. Riporterò qui alcune considerazioni non sistematiche, basate sulla mia esperienza personale.
Prima di tutto, spesso non si riflette correttamente sul significato della parola immigrazione. Il turismo, ad esempio, è una forma di immigrazione temporanea. Il turista viene, sta poche ore o poche settimane, lascia un corrispettivo in denaro rispetto al suo consumo, e se ne va. Il turista non necessariamente s’interessa al destino della città che visita, più che altro la usa, ricambiato. Non gli si può comunque chiedere di impegnarsi più di tanto per la sorte della città che visita. Nei periodi di “punta turistica” il veneziano medio si sente scocciato, se non defraudato. Ad esempio, sul Ponte della Paglia non si passa, tocca magari fare il giro per calle degli Albanesi, o calle delle Rasse, e poi giù per ponte della Canonica. Eppure può essere anche piacevole mescolarsi in mezzo a queste folle, meglio se vestite con fogge pittoresche. È come fare un viaggio in India, a volte. Il veneziano medio comunque non considerava, finora, che gran parte dell’economia si reggeva sul turismo di massa. Ora se ne accorge.
Più importante è il contributo di uno studente, o di un lavoratore temporaneo. Entrambi si sentiranno più coinvolti, e potranno anche decidere di rimanere, se troveranno l’opportunità di farlo. Questo vale anche per i “migranti” stranieri, sia poco qualificati – che però lavorano in gran parte nel comparto turistico – sia molto qualificati, come i “nomadi digitali”.
Questo vale a maggior ragione per tutti quelli che magari se ne sono andati, per motivi di lavoro, o per vedere il mondo, e mantengono un legame, o tornano magari in pensione. Sono più emigrati o immigrati? In passato sono questi che hanno fatto grande Venezia; i navigatori e i mercanti, come Marco Polo, quando essere mercante voleva dire affrontare pericoli e riportare indietro nuove idee, nuove visioni del mondo.
Caso a parte gli artisti, i possidenti, i mecenati. Sono in gran parte stranieri. Ma quanti possono essere?
Venezia, essendo un porto, ha vissuto di mercato e di scambi. I fondaci, parola di origine greca che significa albergo, presente in tutto il mediterraneo (al funduq in arabo) c’erano anche a Venezia, ora sono solo toponomastica (Fontego dei Turchi, Fontego dei Tedeschi… ma c’era anche quello dei Persiani). A quanto pare, i mercanti e marinai che arrivano a Venezia dovevano albergare nei rispettivi fondaci, affinché non andassero in giro a far danni, segno che i veneziani non si fidavano poi molto di questi – tutto sommato – avventurieri. Se ci pensiamo, in tutte i porti frequentati dai marinai della flotta americana nel dopoguerra giravano gli MP, per sgravare la locale polizia dalle possibili intemperanze dei marinai.
Quindi, immigrazione non significa sempre una cosa tranquilla. Soprattutto gli anziani e le classi sociali meno favorite si possono sentire minacciate, anche da pratiche mercantili scorrette.
Da questo punto di vista è fuorviante pensare a un’immigrazione in termini generici, ma anche in termini di “barconi di profughi”. Queste persone – i profughi – andrebbero accolte come profughi, su un principio di solidarietà, né più né meno di quanto avviene in altre città, e aiutati temporaneamente o integrati secondo misura. Soprattutto, andrebbe valorizzata la loro presenza in termini di cultura (quanti si chiedono come consentire a costoro di “raccontare” la loro cultura, oltre a “poter acquisire” la cultura di chi li ospita?).
La migliore garanzia affinché l’immigrazione – che è necessaria – porti benefici è quindi:
– Mantenere vivo il patrimonio culturale veneziano, la memoria specifica, in modo che sia “attrattiva” anche per gli immigrati; in modo che diventino “nuovi veneziani”.
– Favorire l’immigrazione di qualità. A tal fine è necessario riesaminare seriamente il corretto utilizzo del patrimonio abitativo, prevedendo corrette politiche abitative e incentivi per favorire l’arrivo e la permanenza di giovani.
– Favorire lo scambio e il dialogo interculturale, anche con occasioni culturali e conviviali.

Risposte alla Minaccia secolare
La minaccia secolare richiede risposte graduate nel tempo, sia per motivi di entità dell’investimento necessario sia perché non essendo del tutto chiara l’entità della minaccia, attualmente non è del tutto chiara l’entità necessaria della risposta. Ho già ricordato che la forchetta delle previsioni attuali è ancora ampia.
La prima risposta è il MoSE, che ormai c’è, deve solo essere completato e collaudato. Il MoSE, se correttamente mantenuto e operato, in linea di principio può limitare le punte di marea in laguna (in Bacino) a un livello prestabilito praticamente a piacere. A quanto pare non ci sono vincoli tecnici, a parte il fatto che una marea superiore a tre metri lo supererebbe (ma in questo caso non sarebbe necessariamente una catastrofe maggiore di quella che si avrebbe comunque in assenza del MoSE). Mentre fenomeni come il differenziale di livello intralagunare dovuto al vento può portare comunque a livelli di marea in bacino o in altre parti più elevati della “marea residua” prevista (cfr. Luigi D’Alpaos), per cui la gestione andrà ottimizzata. La quota attuale prevista per la “marea residua” è dell’ordine di 100-120 cm. La scelta esatta è una decisione politica più che tecnica. Ogni chiusura infatti influisce sulla navigazione e sullo scambio mare/laguna. Inoltre, livelli più o meno elevati di “marea residua” comportano danni più o meno elevati alla città. Poiché sia porto che città che ambiente lagunare sono “portatori di interessi” (stakeholder) la mediazione implica scelte politiche. Il “governo” del MoSE (chi comanda le sue manovre, e su quali basi e interessi) è necessariamente politico, seppur sulla base di un input tecnico.
Essendo prevedibile un aumento progressivo del livello medio del mare in città, o livello medio “naturale” (effetto combinato di aumento del livello del mare e subsidenza) le manovre del MoSE dovranno diventare più frequenti. Fino a renderlo inutile o dannoso, secondo i detrattori del MoSE, più di quanto non sia già dannoso questo “ecomostro”. Ci sono critiche autorevoli, ad esempio sempre Luigi d’Alpaos che indicano che quando l’innalzamento del livello medio del mare arrivasse a 50 cm. il MoSE dovrebbe essere chiuso 350 volte all’anno, ovvero sempre. E’ chiaro che questa previsione presenta dei margini di incertezza, ed è quindi discutibile, ma segnala il problema a lunga scadenza. Di fatto ciò potrebbe avvenire più o meno fra cinquant’anni.
Una seconda risposta è il riequilibrio idraulico. Vi sono varie ipotesi in discussione da tempo, in particolare la riduzione della portata dei canali industriali di navigazione e la riapertura delle valli da Pesca. Probabilmente è anche il MoSE stesso che aumenta le maree, come sostiene Mauro Tozzi, quindi forse andrebbe smantellato. Personalmente ritengo che le varie ipotesi sul tavolo andrebbero verificate puntualmente applicando i modelli matematici. Proprio questo tipo di attività scientifiche potrebbero essere finanziate dal Recovery Plan.
Ma anche il riequilibrio idraulico contrasta solo la marea dinamica, non l’aumento di lungo periodo del livello medio “naturale”. In merito, è necessario un sollevamento, che può essere locale o dell’intera area lagunare (sollevamento geologico). Entrambi potrebbero probabilmente fruire dei fondi del Recovery Plan, a livello di approfondimenti o di progetti pilota.
Il sollevamento o rialzo locale è già stato considerato, in relazione a rive o fondamente, o singoli palazzi. Partì anche un progetto concreto, nel 2011, ma si apparentemente l’ipotesi si è arenata, secondo un articolo del Gazzettino del 2014.
Il sollevamento geologico dell’intera area lagunare è chiaramente un progetto più ambizioso. Potrebbe sembrare fantascientifico ma l’ipotesi è stata studiata in modo abbastanza esteso e approfondito, in particolare da Giuseppe Gambolati e Pietro Teatini, dell’Università di Padova. Sulle ipotesi di fondo esistono vari studi scientifici, sviluppati a partire dal 2004, alcuni molto approfonditi.

Il progetto è stato poi descritto in dettaglio in un libro. Secondo gli autori, consentirebbe una sopraelevazione di 25-30 cm. nell’arco di dieci anni, iniettando acqua marina in pressione in una serie di pozzi (una dozzina) per raggiungere una profondità di 650-1000 m. Sempre secondo gli autori, il rialzo può avvenire in tutta sicurezza, ovvero evitando microsismi e fratture, visto che gli strati profondi sono composti da materiale che consente un certo grado di plasticità. L’investimento è stato stimato in 200-300 milioni di euro, come ordine di grandezza.
Sebbene questo progetto sia prematuro, potrebbe essere opportuno approfondirne gli aspetti tecnici, anche con studi concreti a livello di sperimentazione in campo, con un progetto pilota che potrebbe costare venti-trenta milioni di euro, sempre secondo Gambolati, spesa che potrebbe essere finanziata dal Recovery Plan.
E se non bastasse neppure il rialzo geologico? In effetti, 25-30 centimetri non sono poi molti, in rapporto a più di un metro, nell’ipotesi più pessimistica. Ma questa è l’ipotesi “secolare”, appunto a fine secolo, e noi comunque non ci saremo, come dice una famosa canzone. Ma, se il Mediterraneo si alzasse di un metro, tutte le città costiere sarebbero interessate in maniera disastrosa. A quel punto forse si unirebbero le forze e si potrebbe chiudere parzialmente lo stretto di Gibilterra, in modo da limitare l’afflusso di acqua dall’Oceano, al punto tale che l’evaporazione mantenga un differenziale di quota di qualche metro fra Oceano Atlantico e Mediterraneo. In teoria è possibile creare una differenza fino a 100-200 metri (progetto Atlantropa) potendo per di più produrre grandi quantità di energia idroelettrica. Per cui possiamo dormire sonni tranquilli, sempre se crediamo nella Tecnica.
versione con i riferimenti bibliografici
in copertina: Carel Nicolaas Storm van ‘s-Gravesande (1841-1924), Laguna di Venezia, Detroit Institute of Arts

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