Che segni un’epoca di grandi cambiamenti o, addirittura, un grande cambiamento d’epoca, la fine del cancellierato di Angela Merkel apre per la Germania e per l’Europa una stagione di profonda incertezza. Quali dinamiche orientano questa transizione?
ytali ne ha discusso con Angelo Bolaffi, filosofo della politica, germanista e dal 2007 al 2011 direttore dell’Istituto di cultura italiana di Berlino.
ytali è una rivista indipendente. Vive del lavoro volontario e gratuito di giornalisti e collaboratori che quotidianamente s’impegnano per dare voce a un’informazione approfondita, plurale e libera da vincoli. Il sostegno dei lettori è il nostro unico strumento di autofinanziamento. Se anche tu vuoi contribuire con una donazione clicca QUI
Angelo Bolaffi, fino a oggi i tradizionali partiti di massa tedeschi – CSU/CSU e SPD – avevano dimostrato una certa tenuta, simbolo di una stabilità politica unica in Europa. Tuttavia, a sei mesi dal voto che decreterà il successore di Angela Merkel, la CDU è in forte calo nei sondaggi, la SPD è inchiodata ai minimi storici e i Verdi si preparano a sparigliare le carte. È l’inizio di un cambiamento d’epoca?
Certamente anche in Germania i partiti di massa conoscono un declino, ma qui, rispetto ad esempio a Francia e Italia, i partiti restano centrali e continuano a fare egregiamente il loro lavoro. Sono nati nuovi soggetti politici, come l’Alternative für Deutschland, ce ne sono altri – il partito dei Verdi – che crescono in maniera molto significativa nei consensi. In generale, c’è un forte declino delle istanze identitarie, populiste, mentre molto nervosismo agita i partiti per quanto riguarda la questione della pandemia e della vaccinazione, come del resto accade in tutta Europa.
La CDU/CSU non è più così sicura di esprimere ancora una volta il cancelliere.
Il consenso dei cristiano democratici è fondamentalmente trainato dalla cancelliera. Ora si assiste a una situazione dove si sommano l’imminente addio di Merkel, l’incertezza su chi sarà il candidato cancelliere della CDU/CSU e lo scandalo delle mascherine che ha coinvolto alcuni esponenti del partito (responsabili di essersi arricchiti mediando contratti sull’acquisto dei dispositivi, ndr). Su quest’ultimo punto, va ricordato che in Germania il tema dei politici corrotti è molto sentito: qui non si assolve facilmente chi fa politica per arricchirsi.
Tutto ciò lascia un grande punto interrogativo sul futuro elettorale del partito.

A ciò si aggiungono le recenti sconfitte in Baden Württemberg e Renania Palatinato, dove i cristiano democratici non sono mai andati così male.
Su questi risultati ha pesato molto il ruolo dei due governatori uscenti, in Renania Palatinato Malu Dreyer per la SPD e in Baden Württemberg Winfried Kretschmann per i Verdi. Si tratta di due leader carismatici, che hanno dato una marcia in più ai rispettivi partiti.
In ogni caso, bisogna andarci cauti con i pronostici. Mancano sei mesi al voto, potrebbero esserci ancora svolte impreviste. Se la strategia vaccinale dovesse funzionare ed essere combinata a una ripresa economica e un’estate “libera”, avremmo un consenso diverso da quello che succederebbe invece se andasse avanti questo ritardo nella vaccinazioni.
Aggiungo una cosa: non è stata fatta nessuna rilevazione su quale sarà il consenso nei confronti della CDU dopo le dichiarazioni dell’altro giorno di Merkel, che ha chiesto pubblicamente scusa ai cittadini (riguardo al lockdown “duro” per Pasqua, annunciato e poi ritirato, ndr). I tedeschi sembrano aver apprezzato l’umiltà della cancelliera, che tra l’altro ha assunto su di sé colpe che non erano solo sue, perché condivise con tutti i presidenti dei Länder.
In ogni caso l’impressione è che nella CDU ci sia un problema di leadership. Il favorito alla successione di Merkel, Armin Laschet, l’attuale presidente del partito, sembra un candidato “debole”. È così?
Laschet non è un candidato carismatico, però resta sempre il presidente del Land più popoloso di Germania, il Nordrhein-Westfalen. Si dice che chi vince qui, vince le elezioni. Il principale avversario di Laschet, il governatore bavarese Markus Söder, è forse più carismatico, ma ha il limite che viene dalla Baviera. A nord del Meno come verrà percepito l’accento della Franconia di Söder? Per chi votava Merkel, che viene dalla tradizione protestante del nord della Germania, questo è un problema.
Più in generale, sedici anni di cancellierato così forte creano inevitabilmente delle difficoltà in termini di successione. Se Merkel si ripresentasse, con tutta probabilità vincerebbe di nuovo. Questo è senza precedenti: tutti gli altri cancellieri sono usciti di scena cacciati o dagli elettori o dal proprio partito.
Inoltre oggi non c’è una chiara alternativa politica, diversamente da quando ad esempio finì l’era Kohl. Allora, il duo Gerhard Schröder (SPD) – Joschka Fischer (Verdi) offrì alla Germania il cambiamento di cui aveva bisogno.

I Verdi potrebbero essere ancora la novità.
Le cose però sono diverse rispetto al passato. I Verdi di Joschka Fischer diedero un contributo importante, ma appoggiandosi a un partito storico. Oggi invece gli ecologisti sono il pivot di un’alleanza dai contorni non ancora ben definiti. Sicuramente nessuno può fare un governo senza di loro. Ma chiunque sia il loro candidato alla cancelleria (sarà uno tra Annalena Baerbock e Robert Habeck, i due co-leader del partito, ndr), questo non avrà mai governato né una città né un Land.
Il dopo Merkel apre quindi una fase di grande incertezza. Questo è il vero problema della Germania, al di là delle questioni sanitarie con cui si trova a fare i conti oggi. Ed è anche un problema per l’Europa.
In termini di alleanze politiche, quali sono gli scenari possibili?
Credo che la soluzione verso cui andremo sarà quella che Merkel aveva cercato dopo le scorse elezioni, nel 2017, ovvero una coalizione detta “Giamaica”, dai colori dei tre partiti che la comporrebbero: CDU/CSU (nero), ecologisti (verde) e liberali (giallo). All’epoca fu il leader dei liberali, Christian Lindner, a far saltare questa opzione.
L’alternativa altrimenti è una Ampelkoalition, una “coalizione semaforo”, che metterebbe insieme verdi, liberali e socialisti. Questa dopo sedici anni relegherebbe all’opposizione il partito della Merkel. Ma se Merkel riprende la sua capacità di essere punto di riferimento e se la CDU/CSU supera il 30 per cento sarà veramente difficile tenere fuori dal governo i cristiano democratici. Inoltre, in una “coalizione semaforo”, i Verdi si troverebbero in mezzo a due “debolezze”, FDP e SPD.
Sicuramente possiamo già escludere altri due altri scenari: non esiste l’idea di una coalizione a sinistra del centro – come si sarebbe pensato invece dieci anni fa, che metta insieme SPD, Verdi e Die Linke. Così come non esiste l’eventualità di una nuova “grande coalizione” tra CDU/CSU e SPD, perché nessuno dei due partiti la vuole.

La Germania è un paese sempre più multiculturale, con una presenza forte e attiva delle minoranze. Qual è l’impatto sugli equilibri interni?
La Germania ha un tasso di immigrazione e di integrazione di gran lunga superiore a quello dell’Italia. Ci sono ministri con Migrationshintergrund, che sono cioè figli o nipoti di immigrati. Sono immigrati turchi i due fondatori dell’azienda farmaceutica tedesca BioNTech, che ha sviluppato il vaccino anti-Covid insieme a Pfizer. Tuttavia, userei con molta cautela il termine “multiculturale”: in Germania esiste una pluralità di culture, ma non la ghettizzazione parallela a cui si assiste nel multiculturalismo anglosassone o canadese, o nelle banlieue francesi.
C’è un’idea di Leitkultur, ovvero di una cultura guida a cui fare riferimento: bisogna conoscere la lingua tedesca, essere integrati. Si può parlare di una laicità pragmatica, di una terza via tra il multiculturalismo inglese e la laicità nazionalista francese. In questo senso c’è molto dialogo con le religioni e non si fanno battaglie ideologiche come in Francia, sul portare o meno il velo.
Torniamo alla politica. Sul finire del cancellierato di Merkel i partiti tedeschi sembrano già essere entrati in una nuova fase. Recentemente, due terzi del Budenstag hanno votato per la Schuldenaufnahme, la possibilità che l’UE emetta bond per finanziare il Recovery plan. L’anno scorso è stato abbandonato il dogma dello schwarze Null, il pareggio di bilancio. Due cose fino a poco tempo fa impensabili.
I tedeschi hanno avuto ragione a perseguire il pareggio di bilancio fino a prima della pandemia. Questo ha permesso loro di avere da parte le risorse necessarie per i momenti difficili. L’anno scorso, la Germania ha messo in campo mille miliardi di euro per quelli che noi chiamiamo ristori. Se l’Italia non avesse un debito pubblico così importante, anche da noi i ristori potrebbero essere più significativi.
Riguardo alla fine dello schwarze Null e alla Schuldenaufnahme, Berlino ha capito che è necessario l’intervento statale quando c’è una crisi esogena, provocata non da motivi strutturali del paese ma da cause esterne, come nel caso della crisi sanitaria. E ha capito che in questo momento va tenuta unita l’Europa, in un mondo che sta diventando sempre più plurale. Oggi il ruolo della Germania in quanto paese egemone – che sia benevolo, riluttante o, come lo chiamo io, “di servizio” – è quello di spingere gli altri a cambiare, ma anche di cambiare se stessa. L’egemone deve quindi essere abbastanza flessibile, deve concedere delle cose per potere ottenere quello che vuole, cioè tenere insieme la macchina dell’Europa.
Questo approccio è condiviso dalle principali forze politiche?
Sì, nel parlamento tedesco c’è la più grande maggioranze filo-europeista di tutti i parlamenti europei.

Questo approccio obbliga però la Germania a ripensare profondamente il proprio ruolo nel mondo. Quali saranno in questo senso le sfide principali per gli eredi di Merkel?
Il problema oggi è decidere cosa fare dell’alleanza atlantica. Dopo Trump che voleva sfasciare tutto, oggi con Biden c’è una ripresa del dialogo. Però l’America non tornerà mai il “lord protettore” di una volta. Essa chiederà all’Europa di farsi carico della propria difesa e soprattutto di una politica verso alcune aree del mondo rispetto alle quali Washington non è più responsabile: l’arco di crisi che va dall’Ucraina, fino ad Egitto e Libia è compito dell’Europa. Il futuro del nostro continente verrà deciso in Africa: o lasciamo l’Africa alla Cina o tocca a noi.
Siamo pronti a togliere risorse al welfare per investirle in difesa e aiuti allo sviluppo? Sapremo imparare a usare il linguaggio non solo della pace ma anche della forza? Abbiamo un progetto geopolitico?
Questi i grandi interrogativi a cui l’Europa e, in primo luogo la Germania, dovranno dare risposta.

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!