Quintessenza della pochezza culturale nella città 1600

Come hanno potuto due storici e illustri istituti universitari veneziani, senza l’ombra di un pur minimo dubbio, aggregarsi nella réclame del quest’anno “ricorre il 1600º anniversario della Fondazione della nostra città”?
FRANCO MIRACCO
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È attorno alla quintessenza della pochezza culturale della Venezia 421-2021 che s’intende dire qualcosa. Una pochezza ancor più pochezza, visto che si fatica moltissimo ad attribuirle del culturale, nonostante che la parte più istituzionale del mondo della cultura sia, un po’ miseramente, approdata nella tragicomica pochezza che appartiene a chi si trova al governo della Città 1600. Va detto che su questa cosmica pochezza (quella della giunta attuale) c’è ben poco da aggiungere, non così per quella “culturale”, che si staglia con nitidezza inquietante e rabbrividente sui nomi dell’Università Iuav di Venezia e dell’Università di Ca’ Foscari.

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Ma come hanno potuto questi due storici e illustri istituti universitari veneziani, senza l’ombra di un pur minimo dubbio, aggregarsi nella réclame del “quest’anno ricorre il 1600º anniversario della Fondazione della nostra città”? Oimè lo Iuav, fino al 2001 Istituto Universitario di Architettura di Venezia, cui per esempio dette straordinario lustro accademico e culturale Manfredo Tafuri, e che, in anni ormai davvero lontani, ebbe per colleghi molti indimenticabili docenti, anzi tanti prestigiosi Maestri nelle più diverse discipline. Nello scrivere il suo Venezia e il Rinascimento, Tafuri, in premessa, si pose la domanda su cosa significassero quei due termini:

In prima istanza, il titolo di questo libro contiene qualcosa di paradossale, che non svanisce nemmeno dopo successive messe a fuoco. Quale Venezia, infatti? Quella ufficiale, del mito e delle apologie, soddisfatta della pienezza delle proprie rappresentazioni, o…

Sarebbe interessante conoscere i nomi di coloro che, dopo chissà quali “messe a fuoco” della storia di Venezia, hanno proceduto, senza nessun turbamento, verso il raccapricciante programmino di un vantaggio turistico mascherato dall’inesistente Fondazione alle ore 12 del 25 marzo del 421 di non si sa quale Città. Se solo invece ci si fosse spogliati di questa pochezza più che grottesca, quanto meglio sarebbe stato approfondire la conoscenza di “Venezia è tutto questo e ancora di più”, ovvero:

il modo in cui Venezia tenta di resistere dentro la sua origine: di tale resistenza Venezia diventerà simbolo, quando in essa la continuità comincerà a essere tradita dalla ripetizione e dal feticismo impotente.

Forse che non sarebbe valsa la pena se lo Iuav si fosse impegnato a capire che cosa resta della resistenza di Venezia dentro la sua origine (di quale origine? di quale tempo? di quale Venezia?), o di come possiamo rendere più nostri e veramente rinnovati il presente e il prossimo domani andando oltre il tafuriano “Venezia è tutto questo e ancor di più”? E per non tradire Manfredo Tafuri e lo Iuav di Samonà, Zevi, Scarpa, Piccinato, Albini, Gardella, e di seguito magnificando, come poter essere “ancor di più Venezia” una volta considerata l’ovvia, assoluta impossibilità della ripetizione e del feticismo impotente?

In realtà, a pensarci bene si cade, forse, in errore nell’attribuire una tragicomica pochezza politica a chi governa la Città 1600. Se una leggenda per intero leggenda (fondazione di Venezia alle ore 12 del 25 marzo del 421); se una favola politicamente “costruita” in età medievale alla scopo di mitizzare Venezia quale unico tramite ideologico, quindi orgogliosamente imperialistico, tra la Roma che fu e una Bisanzio romana tutt’altro che lontana nei secoli prima dell’anno Mille; in sintesi, se “una cosa che non avvenne” si trasforma, nelle mani e nelle intenzioni di chi nulla sa della storia di Venezia, in uno strumento di attrazione mediatica e di persuasione di massa volta a modificare la verità storica, non è fuor di luogo il riconoscere il successo di un’operazione bassamente populista. Di qui il fallimento assai irriguardoso verso la propria storia di ciascuna delle istituzioni culturali veneziane, dalle Università ai Musei e non solo, se si considera l’enfatizzazione dell’evento in salsa Brugnaro montata su dal Patriarcato tra scampanii, in verità assai mosci, e cerimonie politico-religiose in Basilica di San Marco. Per rientrare nei territori della storia e non delle favole, è più che utile rifarsi a quanto ebbe a dire lo storico dell’arte Giovanni Lorenzoni durante il Simposio sulle “Origini di Venezia” che si tenne nel 1980.

Nel richiamarsi al momento chiave del processo genetico di Venezia, secondo i termini usati da Gherardo Ortalli, Lorenzoni disse:

Il fatto principale di tale momento è il trasferimento della sede del potere da Malamocco a Rialto (…). Ciò avvenne con Agnello Parteciaco o Partecipazio, nominato duca nell’811 e con l’approvazione del messo imperiale bizantino Arsafio. La costruzione del palazzo Ducale (…) e quella successiva di qualche anno, della basilica di San Marco, sono i segni esteriori del nuovo potere, che ritengo si possa definire autenticamente veneziano.

Pertanto il momento centrale del “processo genetico” di Venezia sarebbe il secolo IX. Quel convegno, cui parteciparono Giuseppe Mazzariol, Gaetano Cozzi, Gustavo Traversari, Wladimiro Dorigo, Feliciano Benvenuti, Michele Tombolani, archeologi e storici polacchi, gli stessi che avevano compiuto i preziosissimi scavi a Torcello nel 1961-62, in larga parte era stata voluto e organizzato dall’Università di Ca’ Foscari. Un’università che ebbe il vanto, nel XX secolo, di cattedre da cui insegnarono molti tra i maggiori storici italiani.

Giovanni Battista Gianquinto, detto anche Giobatta e/o Titta [illustrazione di Matteo Bergamelli, Il Gazzettino]

In conclusione, un illuminante passaggio dell’intervento di Giobatta Gianquinto, indimenticato sindaco comunista di Venezia nel secondo dopoguerra e che, in qualità di assessore, portò al convegno italo-polacco sulle origini di Venezia il saluto del Comune.

Perché il Comune aderì subito all’iniziativa dell’Università rendendone possibile l’attuazione? Non l’abbiamo fatto certo per finalità turistiche, né per aggiungere un’altra voce all’elenco delle molte manifestazioni veneziane. Abbiamo compiuto una precisa scelta di politica culturale nel campo istituzionale, una scelta e perciò non una presenza episodica transitoria.

Ora, si abbia almeno il buon gusto da parte delle Università, dei Musei, del Comune e della Curia, soggetti della Città 1600, di non tirare in ballo le necessità della ripresa imposte dal virus. Dato che l’epidemia la si contrasta soltanto con tutto ciò che non è episodico, né transitorio, né populistico. E lo si fa, innanzitutto, nel rispetto della storia reale di Venezia, che non ha bisogno alcuno di insensate falsità. 


Copertina: Celebrazione dello scoprimento delle spoglie di San Marco, mosaico del secolo XIII, transetto sud, Basilica di San Marco, Venezia

Quintessenza della pochezza culturale nella città 1600 ultima modifica: 2021-03-27T12:06:57+01:00 da FRANCO MIRACCO
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1 commento

franco migliorini 27 Marzo 2021 a 16:21

Altro che omaggio a Venezia è il segno del decadimento mercantilistico cui la città viene piegata con l’avvallo di esponenti di alcune sue istituzioni di prestigio, la miseria del risultato fa sperare in un rapido oblio

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