Aprile, tempo di amarcord rossonero

Il primo del mese compiono gli anni due icone del milanismo che fu: Arrigo Sacchi, il vate di Fusignano, artefice dei trionfi europei del Milan di Baresi e Van Basten, e Clarence Seedorf, simbolo del Milan di Ancelotti che conquistò, a sua volta, due Champions League nel primo decennio del nuovo secolo e fu protagonista di alcune annate straordinarie.
ROBERTO BERTONI BERNARDI
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Il 1° aprile, in casa Milan, da tempo profuma di amarcord. Quel giorno, infatti, compiono gli anni due icone del milanismo che fu: Arrigo Sacchi, il vate di Fusignano, artefice dei trionfi europei del Milan di Baresi e Van Basten, e Clarence Seedorf, simbolo del Milan di Ancelotti che conquistò, a sua volta, due Champions League nel primo decennio del nuovo secolo e fu protagonista di alcune annate straordinarie. Due personaggi diversi, diversissimi, ma accomunati da una grande intelligenza, da una notevole profondità di pensiero e dalla forza d’animo di chi sa rialzarsi dopo le sconfitte.

La differenza fra i due risiede soprattutto nel fatto che Seedorf è anche simpatico mentre Sacchi ha sempre fatto di tutto per risultare il puu antipatico possibile, benché carisma e levatura glielo consentano. L’Arrigo quest’anno ne fa settantacinque e vien da riflettere su cosa sia stata la sua vita: prima e dopo la gloria. L’uomo è d’acciaio, pronto ad affrontare ogni tempesta, in grado di combattere su ogni terreno e di forgiare un modello calcistico che molti hanno tentato invano di imitare. Del resto, se non hai quegli interpreti e quel carisma c’è poco da fare.

A giocare così, nella storia del calcio, ci sono riusciti solo Michels, alla guida dell’Olanda di un certo Johan Cruijff, Sacchi, con la poesia olandese sapientemente mescolata alla sagacia tattica di casa nostra e, per l’appunto, Cruijff, quando il Barcellona poteva permettersi un cecchino come Romario e un impianto complessivo di gioco che solo il meraviglioso Milan di un altro antipatico di talento, anche lui classe ’46, ossia Fabio Capello, riuscì a surclassare nell’epica notte di Atene, quando i blaugrana, dati per favoriti alla vigilia, vennero annichiliti dal 4 a 0 di Tassotti e compagni.

A dire il vero, ci sarebbe anche Guardiola, che di Cruijff è stato allievo, ma parliamo già di un’altra epoca e di un altro calcio. Clarence Seedorf, figlio delle Antille, della povertà e di tutti i traumi schiavistici che hanno caratterizzato la ben poco edificante vicenda europea, è stato invece, per anni, il prototipo del calcio totale applicato al Ventunesimo secolo, trovando nell’ambiente rossonero il posto ideale per salire in cattedra. Chiamato “il Professore” per la sua cultura complessiva e la sua intelligenza fuori dal comune, a tratti poteva apparire finanche indolente ma quando si accendeva, non ce n’era più per nessuno.

Nato per dominare, soprattutto in Champions, ne ha vinte quattro con tre maglie diverse, distillando al Milan tutta la propria classe e componendo, insieme a Gattuso, Pirlo, Rui Costa e Kaká, uno dei centrocampi più forti e meglio assortiti di tutti i tempi. Il professor Seedorf ha dedicato alla causa rossonera gli anni più belli della sua carriera, quelli della piena maturità, vincendo tutto ciò che c’era da vincere e lasciando dietro di sé una scia di rimpianti senza fine. Nell’amarcord milanista non c’è dubbio che i due meritino una menzione speciale. L’Arrigo, infatti, si è intestato gli ultimi anni della Milano da bere, prima che Tangentopoli spazzasse via il socialismo craxiano e le sue contraddizioni; Clarence, invece, ha illuminato la parte conclsuiva del trentennio berlusconiano, toccando l’apice nelle finali di Manchester e di Atene e nel derby del febbraio 2004, quando fu suo il gol del 3 a 2 che mise in ginocchio l’Inter e lanciò, di fatto, il Milan verso la conquista del diciassettesimo scudetto. 

Due arieti, due teste dure, due personalità di spicco e senz’altro, nei rispettivi ruoli, due fuoriclasse. A quarantacinque anni, nel mezzo del cammin, Seedorf ha tutto il tempo per ritagliarsi un ruolo da protagonista qualunque cosa voglia fare nel prosieguo della propria vita. Sacchi, dal canto suo, è oggi un apprezzato opinionista che, personalmente, spesso non condiviso ma dal quale impero sempre qualcosa. Entrambi ci ricordano come eravamo e perché, un tempo, il nostro era considerato il campionato più bello del mondo.

Aprile, tempo di amarcord rossonero ultima modifica: 2021-04-02T20:07:44+02:00 da ROBERTO BERTONI BERNARDI
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