I dipendenti di Amazon a Bessemer in Alabama hanno votato contro la possibilità di creare un sindacato. In attesa dei dati definitivi, con il 72 per cento delle schede elettorali contate, circa il 71 per cento dei lavoratori dello stabilimento ha votato contro l’adesione al Retail, Wholesale and Department Store Union. Il numero di voti contro supera i 1608, la cifra necessaria per raggiungere la maggioranza delle 3.215 schede inviate via posta dai lavoratori.
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È probabile che il sindacato si appelli contro il risultato del voto, dopo aver già accusato Amazon di violare gli obblighi legali che regolano le campagne di sindacalizzazione. Amazon ha affermato di aver seguito la legge nelle comunicazioni con i dipendenti prima e durante le elezioni.
Si tratta di una vittoria importante per Amazon. La posta in gioco infatti era alta. L’ultima volta che i lavoratori di Amazon hanno votato per decidere d’iscriversi al sindacato è stato nel 2014, quando un gruppo molto piccolo – trenta dipendenti in uno stabilimento nel Delaware – ha votato contro la creazione di un sindacato. Questa volta però le speranze erano maggiori. Molti credevano che una vittoria a Bessemer avrebbe potuto innescare una reazione a catena in tutte le strutture di Amazon a livello nazionale, alla ricerca di migliori condizioni per i lavoratori dell’azienda i cui profitti sono saliti alle stelle durante la pandemia.
Amazon aveva tentato di ritardare il voto e aveva cercato di obbligare i lavoratori a votare di persona, nonostante i pericoli legati al Covid-19. Senza successo. Anche la campagna contro la sindacalizzazione fatta dall’azienda è stata particolarmente dura. Amazon ha tentato di convincere i lavoratori che un eventuale sindacato avrebbe trattenuto parte del loro stipendio, senza grandi benefici. Alcuni lavoratori hanno testimoniato al Senato che l’azienda ha appeso cartelli anti-sindacali in tutto lo stabilimento, anche nei bagni, e ha organizzato riunioni obbligatorie per i lavoratori per spiegare perché il sindacato fosse una cattiva idea. L’azienda ha poi creato un sito web per i dipendenti nel quale si diceva che avrebbero dovuto pagare 500 dollari mensili in quote sindacali.
Prima di Amazon, altre votazioni erano fallite: nello stabilimento Nissan nel Mississippi nel 2017 e in quello Volkswagen nel Tennessee nel 2019. Le due aziende di produzione di automobili sono alcune delle società che hanno deciso di stabilirsi nel Sud del paese negli ultimi tre decenni. E non è una caso.
Tutti gli undici stati del Sud hanno cosiddette leggi sul “right to work” – i diritti dei lavoratori mistificati come diritto al lavoro, right to work, senza diritti – provvedimenti che consentono ai lavoratori di rinunciare al pagamento delle quote sindacali, pur mantenendone i benefici e la protezione del lavoro negoziati dal sindacato. Questo ha indebolito i sindacati, riducendone i membri e il potere negoziale. La maggior parte degli stati del Sud inoltre esclude i dipendenti pubblici dalla contrattazione collettiva.

Le elezioni si sono sovrapposte al tentativo di Joe Biden e dei democratici di approvare il “PRO Act”, la legislazione che revisionerebbe il diritto del lavoro per facilitare la creazione di sindacati. Se approvato nella sua forma attuale, il disegno di legge produrrebbe i cambiamenti più salienti nel diritto del lavoro degli Stati Uniti dal 1935.
La legge ha già passato il voto della Camera, dove i “sì” sono stati 225, tutti democratici più cinque repubblicani, e i “no” 206, tutti repubblicani più un democratico. Il disegno di legge prevede, tra le altre cose, la possibilità di eliminare le leggi sul “right to work”; l’imposizione di limiti alla capacità dei datori di lavoro di contestare i risultati elettorali sindacali; nuove sanzioni per le società che violano i diritti dei lavoratori; il divieto per i datori di lavoro di intraprendere azioni contro i sindacati che scioperano in solidarietà con i lavoratori di altre società.
Il problema come al solito è il Senato. Qui i democratici detengono una maggioranza soltanto grazie al voto della vice-presidente Kamala Harris, che può far pesare il proprio voto solo e soltanto in caso di parità. Ma la maggioranza non è sufficiente poiché, come è noto, al Senato per l’approvazione delle leggi sono necessari 60 voti per aggirare l’ostruzionismo, regola che i democratici vorrebbero modificare, senza averne grandi possibilità di successo (serve un voto a maggioranza per modificare il regolamento e i dem non sono uniti sulla questione).
Qualche repubblicano si è espresso contro Amazon. Per esempio, il senatore Marco Rubio della Florida ha scritto un editoriale su USA Today, sostenendo la sindacalizzazione di Amazon. L’ultra-conservatore senatore Josh Hawley del Missouri ha chiesto un’indagine antitrust sulle pratiche di utilizzo dei dati di Amazon e ha introdotto una legge la scorsa estate per sradicare il “lavoro da schiavi” dalle catene di approvvigionamento delle grandi aziende. Difficilmente però i due voteranno la legge PRO Act.
Le prospettive di far passare la legge sono così basse che Biden ha deciso d’intervenire. Per porvi rimedio i dem hanno seppellito nel disegno di legge sulle infrastrutture – l’American Jobs Plan da duemila miliardi di dollari, pubblicizzato come uno sforzo per migliorare le infrastrutture fatiscenti del paese e creare nuovi posti di lavoro – le principali disposizioni del PRO Act. Uno stratagemma dall’amministrazione per evitare l’ostruzionismo da parte del Senato.


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