Martedì Madrid vota per il rinnovo del governo dell’Autonomia della capitale, che nel sistema territoriale spagnolo ha status di regione autonoma. Ne abbiamo scritto qui ma vale la pena fare un piccolo aggiornamento perché da allora qualcosa è cambiato nella campagna elettorale. Ancora una volta a determinare la svolta è stato Pablo Iglesias. Dopo la scelta a sorpresa di abbandonare il governo nazionale per presentarsi come candidato, pur avendo praticamente nessuna possibilità di essere eletto, è stato il leader di Podemos a rompere il copione che sembrava già scritto imponendo la pregiudiziale antifascista. Tutto è avvenuto nel pieno di un’escalation di lettere minatorie arrivate a diversi leader politici.
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Il 23 si viene a sapere che alla ministra di Industria, commercio e turismo, Reyes Maroto, è stata inviata una busta con un coltello. Lo stesso giorno si apprende che buste con minacce e proiettili da guerra erano arrivate all’indirizzo del ministro dell’interno, Fernando Grande-Marlaska, alla direttrice generale della Guardia Civil, María Gámez, all’ex vice presidente del governo e candidato, Pablo Iglesias, spedite il 19 aprile. La serie non si fermerà – il 28 ne verranno intercettate altre per Isabel Díaz Ayuso, l’ex capo del governo José Luís Rodriguez Zapatero e un’altra contro Iglesias, indirizzata però alla Direzione generale della Guardia civil. È nel corso del secondo dibattito fra i candidati, tenutosi il 23 – al quale non partecipa la presidente uscente Isabel Ayuso che evita quanto può i confronti diretti, il primo tenutosi a Telemadrid non è andato benissimo – che avviene la svolta della campagna elettorale.

La candidata dell’estrema destra di Vox, Rocío Monasterio, inizia disturbando e contraddicendo gli altri, rifiutandosi di esprimere solidarietà a Iglesias e insinuando che le minacce siano inventate. A questo punto Iglesias decide di alzarsi e andarsene, malgrado i tentativi della conduttrice di farlo recedere dalla decisione. Un gesto minimo che rompe il copione che sembrava immodificabile. Dopo una pausa pubblicitaria anche gli altri candidati delle sinistre, il socialista Ángel Gabilondo e Mónica García, la candidata di Más Madrid, decidono di abbandonare il confronto. La breve storia dei confronti tra candidati per le elezioni madrilene finisce qui, la rete privata La Sexta e la televisione pubblica Rtve cancellano quelli che avevano in programma.
Quanto avvenuto cambia il segno della campagna, anche se non è possibile dire quanto influirà sul risultato. Le sinistre, che hanno molti voti potenziali parcheggiati nel bacino dell’astensionismo, chiamano così alla mobilitazione il loro elettorato e provano a impossessarsi dell’agenda. Lo slogan di Ayuso, “Comunismo o libertà!”, viene rovesciato in “Fascismo o democrazia!”. È un bene per Madrid?
La partita sembra almeno aperta, per la prima volta, ma certamente chi cercava un confronto che superasse l’eterno “guerracivilismo”, il “noi o loro”, che da decenni domina la politica spagnola, deve registrare come sempre lì si resti. Se quanto avvenuto strappa dalle mani del Pp la regia del confronto, ne allontana però temi fondamentali, come la pessima gestione dell’epidemia da parte del governo autonomico, il progetto “secessionista” di Madrid, che col dumping fiscale sottrae investimenti al resto dei territori spagnoli, la costruzione di un governo e di una società a tutela dei ricchi a spese dei settori meno favoriti della popolazione – il classismo che caratterizza le politiche di governo e le dichiarazioni quotidiane è difficilmente immaginabile per noi, perlomeno in maniera così esplicita. Il frontismo silenzia il confronto su temi, è vero, ma è anche vero che quel confronto non veniva favorito dal sistema mediatico, anzi. Gli interessi dei gruppi editoriali, la pressione dei settori economici che beneficiano delle politiche del governo madrileno – sanità e educazione privata, speculazione immobiliare – è enorme e si unisce alla “guerra” dichiarata a Pablo Iglesias da diversi settori della politica e dell’informazione spagnoli, il cui vero obiettivo è il governo nazionale dell’alleanza “social-comunista”.
Il voto di martedì (che si voti un giorno feriale, che la presidente si è rifiutata di dichiarare festivo, è dovuto alla volontà di ostacolare ai lavoratori subordinati l’espressione del diritto di voto, altro elemento classista che caratterizza come trumpista il progetto politico del Pp madrileno che candida Ayuso), dunque, arriva a sancire il “guerracivilsmo” della politica spagnola, seppur in un contesto in cui le sinistre sono riuscite a tirarsi fuori dall’angolo e a determinare l’agenda del confronto. Quanto questo influirà sul risultato è difficile da dire, la destra parte avvantaggiata, fortissima nei quartieri ricchi, sempre presente in quelli popolari, anche in quello che un tempo era il “Cinturone rosso” della capitale. Se la destra. come probabile, dovesse vincere, il frontismo verrà esacerbato dalla maggiore importanza che Vox avrà nella formazione del governo.
Già nel comune della capitale, sindaco il popolare José Luis Martínez-Almeida, il Pp ha subito l’influenza di Vox emanando misure come la distruzione della targa che commemorava Largo Caballero, dirigente socialista e capo del governo repubblicano dal settembre 1936 al maggio ’37 (rifugiato in Francia, arrestato e deportato dai nazisti e morto nell’esilio parigino nel 1946, le spoglie tornate in Spagna solo nel 1978, dopo la morte del dittatore Francisco Franco) e la cancellazione dalla toponomastica del suo nome e di quello di Indalecio Prieto, dirigente socialista e ministro in un altro governo repubblicano. La targa era stata apposta da tutti i partiti, in un simbolo di unità democratica che le nuove destre spagnole oggi combattono in nome dell’apologia del franchismo e della volontà di ergersi a rappresentanti e difensori della “vera Spagna”. Unità democratica rotta anche nella fine dell’unità dei partiti rispetto a un tema come la violenza sulle donne, con la fine delle condanne unitarie sacrificate in nome della volontà di Vox di portare avanti la sua guerra culturale antifemminista e misogina. Una guerra culturale che ora è egemonica nella destra, in particolare madrilena.

Il voto risponderà a diverse domande. Chi sarà premiato dalla polarizzazione, la destra ne beneficerà o la sinistra riuscirà a mobilitare il suo elettorato e cosa sarà del voto di Ciudadanos, sono solo alcune delle domande. Le sorti del partito arancione descrivono bene la trappola frontista in cui il partito si è cacciato. Nato come offerta per gli elettori socialisti dell’immigrazione catalana in difficoltà davanti al nazionalismo catalano allora maggioritario nel Psc, la formazione ha avuto un successo incredibile, prima locale e poi nazionale, grazie al favore della stampa e di settori europei che vedevano di buon occhio la nascita di una formazione moderata liberale di tipo “moderno” che potesse raccogliere l’eredità di un Pp travolto dagli scandali. Fu una meteora.

La gara a destra col Pp e Vox ha fatto abbandonare la moderazione democratica per diventare sempre più di destra e alla fine gli elettori hanno abbandonato il partito, prima quelli provenienti dai socialisti poi quelli del Pp, tornati all’ovile o andati all’estrema destra di Vox. La normalizzazione dell’estrema destra ha alla fine travolto Ciudadanos ovunque nelle ultime tornate elettorali, e i sondaggi la danno a Madrid sotto al 5 per cento, il minimo per ottenere rappresentazione, perduti per sempre il quasi 20 per cento dei voti e i 26 consiglieri che aveva ottenuto nel 2019. Chi riuscirà a intercettare di più il voto arancione in uscita, tra Psoe, Vox e Pp, otterrà i migliori risultati. I sondaggi disegnano uno scenario nel quale la distanza tra le destre e le sinistre si è accorciata ma non tanto da invertire il percorso che pare condurre alla vittoria delle destre. Dalla mobilitazione del proprio elettorato potenziale dipenderà il risultato delle sinistre. Il ritorno al governo dell’Autonomia dopo 25 anni di potere del Pp non sembra a portata di mano. Ma, per la prima volta da tempo, c’è qualche probabilità.
L’ultima volta che le sinistre vinsero nelle urne nella Comunità di Madrid fu nel 2003. Non bastò. Imprenditori legati al Pp riuscirono a “convincere” due consiglieri socialisti, Eduardo Tamayo e María Teresa Sáez, a tradire il partito non presentandosi all’investitura del candidato socialista Rafael Simancas e il Pp mantenne il governo. Oggi, già si moltiplicano i messaggi che mettono in discussione preventivamente l’accettazione di una eventuale vittoria delle sinistre. C’è da dubitare che il voto, qualsiasi sia il risultato, abbasserà le tensioni “guerraciviliste” che dominano la campagna elettorale permanente spagnola.

Nell’immagine d’apertura Il comizio di chiusura della campagna elettorale del Psoe per Ángel Gabilondo. Al centro Pedro Sánchez, presidente del governo e leader del Psoe.

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