Morire a Venezia

Una riflessione che parte dal divieto di esporre le epigrafi funebri sui vetri degli imbarcaderi dell’Actv.
GIANNI DE LUIGI
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Questa mia riflessione parte dal divieto di esporre le epigrafi funebri sui vetri degli imbarcaderi dell’Actv, particolarmente su quelli della Giudecca: cosa che trovo impopolare. Invece, su un grande quadro-vetrina illuminato, è scritto in caratteri cubitali: “QUESTA È LA PUBBLICITÀ PIÙ BELLA DE MONDO”; sottotitolo: “Perché qualsiasi cosa ci sarà in questo spazio pubblicitario, contribuirà a finanziare interventi a migliorare la vita in città”.

Questa epidemia che stiamo vivendo fa emergere come si è evoluta la percezione della morte. Si cerca in tutti i modi di renderla un passaggio indolore e di breve durata per la collettività, e ciò si manifesta proprio nel divieto – infrazione punibile con una ammenda – di comunicare la notizia della morte di un famigliare. Scendendo dal vaporetto ci si fermava a commentare la scomparsa di un amico o un conoscente. Si annunciava l’ora e il luogo della messa in suffragio. Era un riconoscimento che la morte esiste e i schei non sono tutto. Un tempo – e parlo degli anni del dopoguerra – si portava in segno di lutto una striscia nera sulla giacca e il cappotto dopo un bottone di stoffa nero, le barche funerarie erano quasi delle bissone armate con decorazioni in oro e velluti. Era il trionfo della morte e del morto. Più tardi anche i motoscafi erano decorati di nero e oro. Oggi sono di vetroresina più vicini alla plastica, grigi e anonimi.

Le messe venivano celebrate nelle chiese del quartiere del morto.
Oggi, si tende a celebrare la messa nella chiesa dell’ospedale, per andare in fretta al vicino cimitero.

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Trovo offensivo e oltraggioso punire le ultime testimonianze d’amore contenute in un foglio 18×24 corredato da una fototessera con il giorno della morte e l’età della persona deceduta. La Morte a Venezia diventa specchio del mondo di oggi, subisce ed è sottoposta a svilimento, fino a risultare smitizzata del tutto, nel momento in cui ci si identifica con una vita quotidiana il cui unico scopo è la ricchezza, o la fama. E chiunque proponga un senso sociale di memoria e di affetti è un nemico. In questo momento, i morti sono numeri: chi cerca di ricordare che esiste la solidarietà è un nemico. Anche la mascherina, che serve per difendere gli altri più che sé stessi, è una nemica.

Oggi, dove non ci si può nemmeno avvicinare ai propri cari vecchi, la morte è la solitudine, mentre nelle reti sociali si piange la morte con le faccette, con gli emoticon, l’epigrafe con foto viene eternizzata, il giorno del compleanno può rimanere per sempre una sorta di cimitero online. Ma nella memoria del vivo la morte dura un sospiro. Sopravvive una morte virtuale. La Rochefoucauld diceva:

Né il sole né la morte si possono guardare in faccia a lungo.

Morire a Venezia ultima modifica: 2021-05-04T19:38:26+02:00 da GIANNI DE LUIGI
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