Dieci anni fa il 15 maggio 2011, alla Puerta del Sol di Madrid vennero montate delle tende. Erano studenti che allo sciogliersi di una manifestazione di protesta contro la crisi economica, la precarietà lavorativa, la corruzione, decisero di restare in piazza e di non abbandonare la protesta. Esplodeva così il movimento sociale più importante della democrazia spagnola, il 15M, come si autonominarono a partire dalla data di quella giornata i ragazzi e le ragazze della acampada. I media li denominarono gli Indignados. Appena l’autunno precedente era stato pubblicato Indignez-vous!, il testo di Stéphane Hessel, diplomatico francese, ex partigiano, che da novantatreenne si scagliava contro l’impoverimento della democrazia nata dalla guerra contro il nazifascismo e invitava a ribellarsi al “tradimento” compiuto dalle élite. Al governo di Spagna c’era al suo secondo mandato José Luis Rodríguez Zapatero. La “luna di miele” del leader socialista con gli spagnoli era decisamente finita, la crisi economica del 2008 aveva cambiato le carte in tavola. Le politiche di austerità mettevano le opinioni pubbliche contro i governi che le applicavano.

Il movimento era in gestazione da tempo. Viaggiava sulle reti sociali e nelle scuole, nell’opposizione ai tagli all’educazione del Piano Bologna che applicava la Strategia di Lisbona all’educazione superiore europea, aumentando le tasse scolastiche e diminuendo i finanziamenti pubblici, ma era anche contro gli alti costi degli affitti, per la libertà di riproduzione delle opere. Nell’ottobre 2010 nasceva la pagina Facebook “Yo soy un joven español que quiere luchar por su Futuro”, che diventerà juventudenaccion.info. Raccontava dei costi enormi per la casa, delle paghe misere del lavoro giovanile, della difficoltà a conciliare istruzione e lavoro, dell’impossibilità di pensare a un futuro nella costruzione di vite e famiglie.

Il 4 gennaio del 2011 un ventiseienne tunisino, Mohamed Bouazizi, si dette fuoco per protestare contro la situazione economica del suo paese e la corruzione. Fu l’inizio delle Primavere arabe che fungeranno da modello per la protesta degli Indignados e poi di altri movimenti nel mondo, come quello di Occupy Wall Street negli Usa. Intanto la protesta spagnola lavorava per unire le mille anime e i movimenti diversi individuando nuovi punti, come la degenerazione del sistema partitico, l’appropriazione dei meccanismi della democrazia da parte delle élite, le misure economiche decise dall’Unione europea che socializzarono le perdite generate dalla crisi economica scatenata dalla speculazione privata.
In marzo nasce la piattaforma Democracia Real Ya, che sul web lancia la mobilitazione per una manifestazione il 15 maggio. Nel percorso, lo sciopero generale degli studenti che il 30 marzo porta decine di migliaia di ragazze e ragazzi nelle piazze di tutto il paese a protestare contro la disoccupazione giovanile, la precarietà lavorativa, i tagli di bilancio nell’educazione, il Piano Bologna e l’aumento delle tasse universitarie. A aprile gli universitari di Juventud sin futuro organizzano una marcia contro la crisi economica e le misure di contrasto scelte dalle “inamovibili sigle PPSOE” unendo i due partiti principali in una sola entità che applica i tagli decisi da Bruxelles (al governo, a applicare l’austerità europea per la crisi del 2008 c’era José Luis Rodríguez Zapatero: il “tradimento della socialdemocrazia europea” entra nel dibattito). Si guarda alle lotte greche contro il “massacro” della Ue. Si invita a non votare i partiti che hanno sostenuto la Ley Dinde contro la libera circolazione delle opere, PP, Psoe e i catalani di CiU. Il 15 maggio la Puerta del sol viene occupata e manifestazioni e cortei occupano le piazze di altre 50 città spagnole.

Il giorno dopo interviene la polizia che sgombera con durezza la piazza, arrestando 19 persone. La reazione è l’occupazione di centinaia di piazze in tutta la Spagna. In decine di migliaia il 17 riprendono possesso della Puerta del Sol. Il primo obiettivo è restare sino alle elezioni municipali del 22 maggio. La giunta elettorale si oppone, la polizia tenta di sgomberare la piazza ma i favori popolari sono per i manifestanti, appoggiati nei sondaggio di opinione da percentuali impressionanti che toccano l’80 per cento degli intervistati. Zapatero poi, che già ha dovuto applicare i diktat di Bruxelles, non vuole passare alla storia come un repressore nella fase finale del suo governo che si concluderà in novembre.
Il 15M affondò nel corpo della Spagna. Quei giovani vennero appoggiati senza riserve da un’enorme maggioranza della popolazione. Erano i loro figli e nipoti e per la prima volta un movimento sociale venne visto come voce di molti, oltre alle appartenenze e ai ceti sociali. Era “la generazione più preparata della storia di Spagna” – come disse José Luis Rodríguez Zapatero qualche anno prima rompendo un dibattito pubblico incentrato su vizi e debolezze delle giovani generazioni – ma erano anche i primi figli che avrebbero vissuto peggio dei loro genitori. Con meno certezze economiche e sociali, la prospettiva di un futuro precario, la costruzione di una famiglia come missione impossibile. Gli Indignados conquistarono il paese col loro radicale rifiuto della violenza e intercettando la crisi della politica. Nelle piazze studiavano la democrazia, organizzavano convegni, elaboravano proposte che comportavano una maggiore partecipazione democratica e una riforma del sistema elettorale. La monarchia, nelle loro vite, era un’istituzione già superata, che non li rappresentava, come i partiti. #spanishrevolution, #democraciarealya (democrazia vera adesso), #nonosvamos (non ce ne andiamo), #15M, #notenemosmiedo (non abbiamo paura) erano gli hashtag che veicolavano il loro dibattito. L’assemblearismo alla fine avrebbe prodotto il suo esaurimento, le piazze cominciarono a sciogliersi, alla fine di giugno le ultime, tra le quali due tra le più attive e partecipate, Acampada Sol a Madrid e Acampada BCN, nella Plaza Catalunya di Barcellona.

Ma la svolta era avvenuta. Il 15M mise davanti agli occhi di tutti la crisi della democrazia, il disincanto verso le istituzioni e i partiti che non avevano voluto o saputo proteggere le popolazioni dalla crisi economica. Al governo sarebbe andato Mariano Rajoy ma iniziava la fine del bipartitismo. Nel 2014, con la nascita di Podemos inizia la ricomposizione del campo a sinistra della politica spagnola a spese del Psoe. L’anno successivo inizia la marcia di Ciudadanos, nato in Catalogna cinque anni prima, che si imporrà ora come alternativa al Pp, come riteneva necessario l’anno prima l’allora presidente del Banco Sabadell, Josep Oliu, che propose la creazione di “una specie di Podemos di destra”. Ma la ricomposizione del quadro politico non passa solo per i due grandi partiti. I catalani di CiU, al centro del mirino delle proteste per il regime trentennale di corruzione, dimenticano il catalanismo moderato e diventano indipendentisti. Nasce in Catalogna il processismo, la continua evocazione di rottura con Madrid, la svolta indipendentista con cui il nazionalismo catalano tenta, riuscendosi, di celare la corruzione e le privatizzazioni dietro la Senyera, la bandiera catalana. Il Pp risponderà accettando e dando per buona la sfida secessionista. Lo scontro di nazionalismi come ricostruzione di identità, tornando indietro a ideali identità nazionali contrapposte. Podemos e Ciudadanos arrivarono entrambi a un soffio dal sorpasso sui partiti storici. Ciudadanos, giunto a un punto percentuale dal Pp, nel tentativo del sorpasso si è schiacciato a destra, e ora è sull’orlo della scomparsa. Podemos, anch’esso dopo aver inseguito il sogno del sorpasso a sinistra, si trova per la prima volta a navigare senza nessuno dei suoi fondatori con l’abbandono della politica da parte di Pablo Iglesias. In una ricomposizione ancora in atto. Dentro ai blocchi storici e nella crescita delle liste localiste che intercettano parti sempre più ampie dell’elettorato, nel perpetuarsi della crisi della España plural, della caduta di consenso delle istituzioni nazionali ed europee.
Con la crisi epidemica del Covid-19 molti capisaldi degli ultimi anni sono stati messi in discussione. Ma le ricette in gestazione, malgrado alcuni forti segnali in senso contrario, sembrano nel medio periodo differire sempre meno da quelle offerte per la crisi economica del 2008: la socializzazione delle perdite a fronte della privatizzazione dei profitti. E le democrazie continuano a procedere nella loro crisi, di potere e di consenso. I temi delle ragazze e dei ragazzi del 15M sono sempre sul tavolo.

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