I Lieder. Dai Trovatori a Schubert, quando poesia e musica s’incontrarono

La consacrazione avvenne nei salotti viennesi dove la melodia di una voce e l’armonia di pochi strumenti costituivano un’alternativa ai concerti nei grandi teatri, alle orchestre “pletoriche” del sinfonismo fino ad allora imperante.
MARIO GAZZERI
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Quando si parla di Lieder, la mente e la memoria vanno subito a Schubert, il grande compositore viennese che nella sua breve vita ne compose oltre seicento. Solo in un secondo momento si pensa a Schumann, a Brahms, a Liszt, ma forse anche a Hugo Wolf, a Johann Friederich Reichardt e a Karl Friedrich Zelter. Fu un felice incontro tra musica e poesia che ebbe la sua consacrazione nei salotti viennesi dove la melodia di una voce e l’armonia di pochi strumenti costituivano un’alternativa ai concerti nei grandi teatri, alle orchestre “pletoriche” del sinfonismo fino ad allora imperante, in una definizione anche artistica del nuovo gusto (quasi minimalista) del Biedermeier, che si muoveva verso una dimensione più umana e quasi familiare della musica (detta appunto da camera) di queste “canzoni”, di queste “romanze” composte sui versi di Goethe, Heine, Novalis, Schiller, Petrarca e di alcuni poeti minori, oggi per lo più dimenticati.

Ovviamente Schubert compose ben nove sinfonie più un’ultima, la cosiddetta Incompiuta, considerata uno dei suoi maggiori capolavori. Ma è rimasto, anche ai nostri tempi, l’autore prediletto per i suoi Lieder e per la sua musica da camera, i quartetti o i quintetti (ancora oggi non c’è cartellone che non preveda l’esecuzione del quartetto Winterreise (Viaggio d’inverno, che dà il titolo anche ad una raccolta di oltre venti Lieder) o del Forellenquintett, il celebre Quintetto della trota dove dolcezza e brio degli archi dialogano con il puntuale contrappunto pianistico in una composizione armonica gioiosamente travolgente). Ma questi canti d’amore che nella operosa e placida Vienna della Restaurazione diventarono la cifra stessa della capitale austriaca (così come lo furono, decenni dopo, i valzer di Strauss) avevano radici lontane.

Nel basso medioevo, l’“amor cortese” fu alla base dei “canti d’amore” (Minnesang) che i trovatori tedeschi diffusero nelle città del sud al pari dei Trobador della Francia meridionale da dove poi il genere passò in Italia, in particolare in Toscana e in Sicilia. Fu questo il momento in cui il canto abbandonò la lingua latina che rimase prerogativa della musica religiosa, e dei canti gregoriani in particolare, per passare al volgare sia in Francia (in Occitano) sia in Germania e in Italia. I testi trobadorici che furono alla base delle canzoni, delle ballate del XIII e XIV secolo furono per lo più opera della scuola poetica di Aquitania, in Francia, e di Giacomo da Lentini e dei suoi seguaci in Italia.

Certo, i toni intimistici e crepuscolari che possiamo trovare nei Lieder schubertiani, mancavano ai tempi dei Minnesänger, dei Trovatori, quando era semplicemente “l’amor cortese’, quello cantato da Dante e Petrarca, ad ispirare i componimenti. Ma un filo che li collega c’è ed è appunto il ritorno della voce sola accompagnata preferibilmente da un unico strumento (il pianoforte in Schubert e negli altri preromantici) che ritroveremo anche, in parte, nella successiva epoca dei trionfi dell’Opera italiana dove la musicale struttura polifonica è a volte intervallata dalle ‘arie’ che poi son quelle che, non di rado, resero famose e popolari alcune opere (basti pensare al Caro nome del Rigoletto, a Casta diva di Norma, a Celeste Aida, a Vissi d’arte, vissi d’amor di Tosca). E non è un caso che Giuseppe Verdi abbia dedicato proprio a quel mondo lontano dell’amor cortese una delle sue più famose opere, il Trovatore in cui si narrano le vicende del Trobador Manrico e del duca di Luna.

Ma per tornare al primo romanticismo austro-tedesco, fu nelle serate gioiose trascorse con pochi amici in qualche salotto viennese che Schubert improvvisava i suoi Lieder partendo da una poesia e ponendo l’accento, come scrisse Massimo Mila, citando il grande critico musicale Andrea della Corte,

sulla carezza del verso e della rima, musicalissimo elemento romantico, sugli intervalli che pare scolpiscano il moto dell’anima, sulla declamazione nuda, plastica della dizione, sulla Stimmung, infine, che derivava dal cuore del poema e costituiva la sfera luminosa e palpitante della composizione duplice.

Der Leiermann, ventiquattresimo e ultimo Lied del ciclo Winterreise di Franz Schubert, composto nell’autunno 1827 su un poema di Wilhelm Müller.
I Lieder. Dai Trovatori a Schubert, quando poesia e musica s’incontrarono ultima modifica: 2021-05-30T17:03:54+02:00 da MARIO GAZZERI
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