Il 21 giugno 2021 il World Heritage Committee (Comitato del patrimonio mondiale) dell’Unesco ha pubblicato il documento preparatorio alla sessione annuale plenaria che si terrà dal 16 al 31 luglio a Fuzhou (Cina). Alle pagine 43-48 si affronta il tema di Venezia e della sua Laguna, analizzando in modo dettagliato i provvedimenti legislativi adottati, le misure proposte dalle amministrazioni locali e anche progetti approvati come quello di un serbatoio di GPL a Chioggia (ritenuti dannosi). Nelle conclusioni si legge che la commissione “Ritiene pertanto che il bene si trovi di fronte ad un pericolo accertato e potenziale dovuto alle singole minacce e ai loro impatti cumulativi e decide, in conformità con il paragrafo 178 delle Linee guida operative, di iscrivere Venezia e la sua Laguna (Italia) nella Lista del Patrimonio mondiale in pericolo”.
ytali è una rivista indipendente. Vive del lavoro volontario e gratuito di giornalisti e collaboratori che quotidianamente s’impegnano per dare voce a un’informazione approfondita, plurale e libera da vincoli. Il sostegno dei lettori è il nostro unico strumento di autofinanziamento. Se anche tu vuoi contribuire con una donazione clicca QUI
Dopo anni di benevole proroghe concesse per ragioni di cortesia politica all’amministrazione pubblica italiana (Comune, Regione Veneto, Stato) l’Unesco sembra finalmente approdare a una presa di posizione senza se e senza ma: fuori le navi dalla laguna di Venezia, anzi da VeneziaLaguna, un habitat unitario che va tutelato, dall’acqua alta, dalla marea di turisti e da tutte le attività economiche incompatibili con il suo delicato equilibrio. L’agenzia delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura ha dovuto prendere atto dell’assenza di volontà politica del soggetto pubblico italiano incapace, a tutte le scale, di prendere provvedimenti per affrontare, attenuare e risolvere nel breve, medio e lungo termine le rilevanti criticità che affliggono la città lagunare. L’Unesco ha tollerato per anni di farsi allodola catturata dagli specchietti di provvedimenti legislativi generici, utili solo a fare affermazioni di principio inapplicabili e quindi a mantenere lo status quo, ma quando infine ha visto riflessa non più l’immagine dell’allodola ma quella dell’allocco sembra avere smesso di cincischiare.
La politica non può più nascondendosi dietro alla foglia di fico dell’“impedimento” giocando a ping pong con un rimpallo di responsabilità dall’uno all’altro dei livelli di governo (locale o regionale e nazionale) che lamentano, dal basso in alto, l’inadeguatezza dei dispositivi di legge, e dall’alto in basso l’incapacità di prendere provvedimenti con la piena applicazione degli strumenti legislativi a disposizione. Né si può continuare a scaricare la responsabilità sui politici e i partiti, come se loro non fossimo noi. C’è da tenere presente che negli ultimi decenni la classe politica è cambiata ripetutamente, con elezione di ricchi e poveri, grandi vecchi e piccoli giovani, una mobilità sociale in politica che non sembra aver giovato granché. Il concorso di colpa accorpa le forze politiche all’intera comunità, incapace di esprimere una classe dirigente all’altezza. Urge un’assunzione di responsabilità politica collettiva per affrontare le crisi epocali del nuovo millennio (economica, ambientale, sociale, sanitaria, politica). Dobbiamo raccogliere le forze migliori delle comunità locali e nazionale intorno a un processo di definizione di una visione che si faccia progetto del/nel presente.
Condizione pregiudiziale è cominciare a fare sul serio senza far finta di non capire. Stupisce la dichiarazione virgolettata rilasciata dal ministro alla Cultura all’agenzia ANSA:
Abbiamo già fatto un passo importante nell’ultimo decreto legge con la destinazione definitiva dell’approdo delle grandi navi fuori dalla laguna, adesso credo vada fatto di più come impedire da subito il passaggio delle grandi navi nel canale della Giudecca.
Dice proprio così nel canale della Giudecca. Smentisca o rettifichi questa dichiarazione il ministro ché altrimenti dimostra di avere solo sfogliato e non letto l’attenta disamina contenuta nel documento dell’Unesco. Inoltre Dario Franceschini conosce bene le vicende veneziane non solo perché è di Ferrara (città che sta a un tiro di schioppo) ma specialmente perché l’influente capodelegazione del Pd nel governo Draghi è oggi Ministro della Cultura così come lo era già stato nei governi Renzi, Gentiloni e Conte II, e in questa veste era membro di diritto nel cosiddetto Comitatone, l’organismo che si occupa del coordinamento dell’azione complessiva di salvaguardia e tutela di Venezia e della sua laguna per esercitare la “Tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione” secondo comma dell’articolo 9 della Costituzione al cui primo comma si legge “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”. Questo articolo è particolarmente significativo perché accorpa sviluppo e tutela, chiarendo (per il caso veneziano) che opere come il Mo.SE e attività economiche quella portuale e industriale devono essere inquadrate all’interno del contesto culturale della laguna non come panorama, semplice veduta, ma come paesaggio, termine che viene dal latino pagus che sta per villaggio, e indica un ambito precisamente caratterizzato: il paesaggio è una porzione di territorio risultato dall’azione dell’uomo ed è quindi depositario dei valori estetici ed etici della comunità degli abitanti.

Un progetto europeo per Venezia
Cogliamo l’opportunità di questa presa di posizione dell’Unesco, che appare finalmente forte e chiara, per chiedere che Venezia, il Veneto, l’Italia, l’Europa s’impegnino avviando un grande Progetto Europeo per Venezia. Manca l’aria, dobbiamo tornare a respirare, dedicarci a inspirare (con una espansione che allarghi la visuale al quadro d’insieme) ed espirare (contraendo l’attenzione a mettere a fuoco le criticità locali). Da dove partire?

Dalla laguna, ambito fisico vasto e complesso che si estende fino alle montagne al mare, ben oltre i confini della gronda e non può essere gestita con un approccio di carattere infrastrutturale. Avremmo potuto e dovuto utilizzare la pausa pandemica per darci un nuovo orientamento di sviluppo economico differenziato e sostenibile, invece sembra si sia solo aspettato di tornare al passato, a una situazione dannosa e incompatibile con la sopravvivenza della specie. Un segno positivo era stato fatto entrare dalla finestra con l’articolo 95 del Decreto-legge n. 104 del 14 agosto 2020 “Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia” che istituiva l’Autorità per la laguna. Nel corso dell’iter parlamentare erano state introdotte interessanti correzioni di rotta in un approccio inizialmente sbilanciato sotto il profilo della gestione della laguna come infrastruttura, ma anche questo provvedimento si è arenato nelle secche degli avvicendamenti delle maggioranze politiche per le consuete ragioni:
- la politica guarda al risultato a breve termine, spesso bloccando o disfacendo il lavoro di chi li ha preceduti vanificando la possibilità di godere degli effetti nel medio e lungo termine;
- c’è poi la lotta per il controllo e l’intestazione in capo a questo o quel referente politico locale.
Dalla riforma delle istituzioni locali imperniata su decentramento amministrativo e partecipazione, dalla piccola scala di vicinato e della dimensione comunale delle municipalità, fino alla dimensione metropolitana, ambito economico e politico incompiuto, da rilanciare e rendere organo di governo effettivo, luogo di cooperazione e coordinamento del territorio a scala allargata, unitaria e policentrica.

Diritti e doveri tra estetica ed etica
Il tema non può essere strumentalmente ridotto all’aspetto estetico dell’allontanamento delle grandi navi dal bacino di San Marco e dal canale della Giudecca, leitmotiv del sindaco che ripete come un vecchio disco in vinile rotto di volere allontanare le navi dal bacino… ma solo per non perdere quei turisti che vanno invece necessariamente ridotti. Luigi Brugnaro, che deve il suo successo imprenditoriale a Umana (agenzia di lavoro interinale, termine che viene da interim che sta per provvisorio, temporaneo), si è rivelato incapace di costruire prospettive economiche diversificate e ha puntato sul gioco d’azzardo al tavolo della sola economica turistica, soggetta a fluttuazioni devastanti per il tessuto economico della città. È giusto però rilevare che la miopia è patologia che affligge i politici cittadini da molti più anni della sindacatura Brugnaro, troppo comodo addossare ogni colpa sull’ultimo arrivato. Il turismo offre margini di arricchimento rapido ma poco duraturo e incisivo.
Si doveva approfittare del Covid-19 per mettere la palla al centro e fare un nuovo gioco, l’Unesco ci ricorda che non l’abbiamo fatto e lo schema di gioco è rimasto lo stesso.
C’è la necessità etica di salvaguardare la laguna allontanando le attività dannose e al tempo stesso di insediare attività compatibili. VeneziaLaguna è una realtà integrata, unitaria e inscindibile, complessa, le sue criticità vanno affrontate in modo organico conciliando ambiente, salute e lavoro in una nuova prospettiva di sviluppo economico, differenziato e sostenibile. L’habitat lagunare è condizionato dall’azione umana che in un passato ormai remoto era basata sulla cura e sul rispetto. Ci si è illusi che la cura potesse essere l’insediamento di un polo chimico e un porto industriale sulla gronda di una laguna ferita dallo scavo di un canale come quello dei petroli, fuori scala come le navi che lo solcano, che nulla a che fare con la delicata fisiologia lagunare e le leggi idrodinamiche che determinano la morfologia. Interventi come questo stravolgono l’equilibrio pretendendo di sottomettere la vitalità lagunare a un modello di sviluppo economico estrattivo, sordo e cieco a ogni istanza che non sia improntata allo sfruttamento e al profitto.
Le legittime istanze del lavoro, diritto sancito dalla carta costituzionale, non possono prescindere dal dovere di tutelare la Res Publica, il bene comune in termini di spazio pubblico urbs e civitas da parte della polis. La urbs è città fisica, l’insediamento antropico, che secoli addietro era racchiuso entro la cinta muraria e oggi si estende alla dimensione vasta e complessa del paesaggio/territorio, irriducibile alla componente estetica di una veduta o di un panorama ma teatro del conflitto e della dialettica tra spirito di accoglienza (dell’ambiente alle specie che vi s’insediano) e di accettazione (del rispetto delle regole da parte delle specie che abitano un ecosistema) nel tendere alla ricerca di un equilibrio fondato sul rispetto reciproco. La civitas è la dimensione sociale della comunità di cui fanno parte l’insieme delle specie che abitano un luogo, tra cui quella umana, civica e civile, che a Venezia è regolarmente penalizzata in misura insopportabile. Ma sopra tutto sta la polis, cioè l’inevitabile dimensione politica che non è quella dei partiti, scivolati in un’autoreferenzialità distante dalla realtà quotidiana dei cittadini, ma la sfera politica alta, grazie alla quale la comunità agisce per prendersi cura di sé (civitas), dell’habitat (urbs) e soddisfare i bisogni della comunità degli abitanti, non solo umani ma l’insieme delle specie animali e vegetali.

Venezia laboratorio del III millennio
Dobbiamo scegliere. Da una parte sta un presente eterno, tempo sospeso, che consacra all’eternità ciò che è stato, facendo affidamento su un passato da cui è incapace di emanciparsi, ostinandosi a vivere di rimpianti, nella nostalgia di un tempo che non è più, crogiolandosi nel rimpianto del tempo che fu, con la presunzione di sconfiggerlo, il tempo, e di continuare ad essere ciò che è stato, senza accorgersi che volgendo lo sguardo alle spalle non si procede ed è indietro che si finisce per andare. D’altra parte, c’è l’eterno presente, il vissuto vivente, l’attimo fuggente che dal passato prende le mosse per costruire qui e ora il futuro. Venezia deve decidere se giacere immobile, andando incontro a una sicura sconfitta destinata a consegnarla all’oblio, o se raccogliere forze e risorse per riprendere il cammino e andare avanti, costruendo un arcipelago di cultura e sapere.
Non si può più prescindere da un intervento sistematico, per rilanciare le attività economiche e differenziare una realtà produttiva che oggi fa affidamento esclusivamente sul turismo, occorre ripartire dalla cultura del progetto e dal progetto della Cultura come arte del fare, per dimostrare in modo concreto e tangibile la praticabilità di modelli di sviluppo capaci di conciliare i bisogni locali con le istanze di carattere generale. Le problematiche più rilevanti del nostro tempo si presentano a Venezia in modo emblematico ed eclatante, per questo – oltre che per la grande influenza e la rilevanza internazionale di cui gode – la città-laguna potrebbe essere un laboratorio del III millennio e diventare un modello culturale di riferimento, la fucina in cui coltivare ipotesi per far fronte ai nodi della contemporaneità, sperimentando soluzioni che devono essere esemplari e ripetibili altrove. In questo modo la comunità internazionale potrebbe essere d’aiuto a Venezia e la città lagunare fare un servizio all’umanità. I focus sono la sostenibilità, l’elaborazione di nuovi modelli di sviluppo, la riconversione produttiva, il turismo compatibile, la produzione e la trasmissione del sapere, località e globalità, artigianato e industria.
La città lagunare ha le carte in regola per diventare un importante laboratorio della contemporaneità e fare da ponte tra passato e futuro nel tempo presente, ponte tra minimi problemi locali e massimi sistemi generali, in una prospettiva di sostenibilità e rispetto. Il suo straordinario patrimonio di secolare esperienza è irriducibile al suo aspetto estetico, ed è piuttosto il riflesso della sua vitalità nel campo della scienza e della tecnica, che consente di far crescere il commercio (che è scambio) e l’economia (che è sviluppo). Lo scambio presuppone il riconoscimento di valore, che non è solo economico e può essere culturale e di sapere, per questo non dev’essere ridotto alla contrattazione in funzione di una transazione solo commerciale, la conoscenza di punti di vista diversi dal nostro costituisce un’occasione di arricchimento reciproco, insieme.

Noi: ritorno alla polis
C’è bisogno dell’aiuto e dell’impegno di tutti gli uomini di buona volontà e della comunità internazionale per consentire a questo patrimonio dell’umanità di riprendere a vivere e non solo di sopravvivere. Serve una visione e un progetto, per attrarre investitori e andare oltre alla logica assistenziale di reperimento e raccolta di fondi destinati a finanziare il restauro e il mantenimento della città fisica. È utile anche quello, naturalmente, ma non basta. Limitarsi a quello rischia di essere una forma di accanimento terapeutico caritatevole al capezzale di un paziente a cui si prolunga l’agonia, non un investimento per curare e guarire. Occorre un piano strategico d’investimento socioeconomico. In questo deve impegnarsi la polis, ad andare oltre l’ordinaria amministrazione per sviluppare una visione della città e per definire strategie per raggiungere l’obiettivo: lavorare nel presente con progetti dai risultati tangibili di breve, medio e lungo termine.
Servizio fotografico di Andrea Merola

Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!