[ROMA]
Le primarie del centrosinistra di Roma si sono concluse confermando i pronostici, con la vittoria di Roberto Gualtieri, che sarà il candidato a sindaco per il centrosinistra, e il secondo posto di Giovanni Caudo.
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Dopo tanti allarmi di stampa sulla partecipazione, alla fine i votanti sono stati 48.624, più di quelle del 2016 dello “scontro fratricida” nel Pd, tra i due Roberto, Giachetti e Morassut, circa 46 mila. Meglio di quanto avevano indicato le prime proiezioni del Pd (45 mila), riferite dal segretario romano Andrea Casu, e ben sopra l’asticella del flop, che era stata messa a 40 mila votanti. Se sia un segnale di rinnovata fiducia verso il centrosinistra romano, la disperazione dopo cinque anni di Virginia Raggi, il segno di quanto il Pd di Matteo Renzi fosse inviso nel corpo elettorale del centrosinistra, o altri motivi, sta al giudizio di ognuno. Forse è un complesso di cose, tra cui qui aggiungiamo l’impegno profuso da alcuni candidati e dai loro comitati – i più attivi a sostegno di candidati però spesso sconfitti, ma questo è altro tema.
Roberto Gualtieri ha ottenuto 28561voti, pari al 60,64 per cento. Secondo arrivato, Giovanni Caudo, 7388 voti (15.68%). Terzo, Paolo Ciani di Demos (Comunità di Sant’Egidio), con 3372 voti (7,16 per cento). Poi Imma Battaglia di Liberare Roma (2897 voti, 6,34 per cento), Stefano Fassina (2625 voti, 5,57 per cento), Tobia Zevi (1663 voti, 3,53 per cento) e Cristina Grancio (497 voti, 1,05 per cento).
Non sono mancate sorprese, ma nelle primarie per i municipi, con candidati appoggiati da forti correnti del Pd dati per favoriti e trombati (ce n’è per tutti, da Zingaretti a Franceschini), qualche solida conferma di esperienze di centrosinistra “ampio”, come nel III municipio di Caudo, e la sorpresa di qualche outsider.

E non è mancata un’appendice polemica. Giovanni Caudo durante le operazioni ha insinuato delle irregolarità, tra l’altro un copione che si ripete, segnalando file di cittadini bengalesi ai seggi “Col santino in mano”. Dubbi confermati a risultati arrivati, ma poi alla fine rientrati col pieno riconoscimento della regolarità del voto da parte di Caudo – del resto ogni seggio aveva i rappresentanti di lista e la gestione delle operazioni è stata collettiva anche se, gioco forza, i militanti del Pd erano i più presenti fra i volontari che hanno materialmente lavorato per consentire le operazioni di voto. Forse Caudo era segnato dalla differenza con i sondaggi che, sino a poche ore dal voto, lo davano oltre il 30 per cento. Sondaggi che hanno difficoltà a intercettare il voto “militante”, che un partito come il Pd è ancora in grado di controllare, e realtà sociali come le comunità di origine straniera.
Caudo esce da queste primarie meno forte di come ci è entrato – sta a Gualtieri adesso decidere il livello di inclusione che vorrà dare al suo progetto di governo della città. Ma tocca anche prendere le misura coi meccanismi partecipativi in democrazia, e quindi provare a spiegarsi le dinamiche che hanno portato a questi risultati.
Comunità di cittadini di origine straniera, più organizzate nella loro autotutela del cittadino atomizzato odierno, cui mancano maggiormente punti di riferimento (quella cosa della crisi della politica), cercano interlocuzione con la politica, vogliono far valere i loro legittimi interessi, integrandosi nei meccanismi partecipativi. Quindi, candidati che hanno costruito interlocuzioni saranno premiati, come accade in democrazia, dall’appoggio della comunità. Non sono voti “comprati” quelli dei cittadini stranieri col santino in mano. È successo prima, da decenni a Prato, quando le primarie ancora non c’erano ma c’era più politica “di prossimità”, a Roma, Milano, Napoli; accade e accadrà (con cinesi, bengalesi, rumeni, eritrei…) sinché le primarie vengono ritenute utili meccanismi di partecipazione democratica per gruppi che hanno istanze sociali, economiche e politiche da tutelare. Questo è, anzi, un tema con cui le alternative e le non organicità ai partiti del centro sinistra, devono fare i conti e inserire nella loro iniziativa politica, anziché abbandonarsi a lamentazioni reazionarie e involontariamente xenofobe.
Il quadro del voto di ottobre per il nuovo sindaco è quindi praticamente compiuto, anche se si aggiungerà qualche candidato minore e ancora nulla si sa delle liste (che dovranno essere presentate il 30° giorno antecedente al voto la cui data non è ancora sancita). Elezioni diverse dal solito, infatti sulla scorta del decreto di rinvio del voto approvato a marzo, in conseguenza dell’emergenza epidemica, per presentare liste e candidati basteranno la metà delle firme e le urne, come ai vecchi tempi, saranno aperte due giorni.

La sindaca uscente Virginia Raggi verrà quindi sfidata, per il centrosinistra da Roberto Gualtieri, che ha anticipato che sarà affiancato da una vicesindaca; da Enrico Michetti per il centrodestra, che avrà Simonetta Matone come pro sindaca; da Carlo Calenda per Coalizione liberale. Poi correranno l’ex assessore all’urbanistica di Raggi, Paolo Berdini, per Rifondazione comunista e Monica Lozzi, ex 5S e presidente uscente del VII Municipio, per la sua REvoluzione civica. Tanti candidati, nessuno in grado di passare al primo turno, dando per scontato che al ballottaggio un posto sarà del centrodestra sappiamo già che “ne resterà soltanto uno”. O una. La vera domanda è quindi chi vincerà tra la sindaca Raggi, e gli ex ministri Gualtieri e Calenda?
Proviamo a avvicinarci al voto guardando agli sfidanti della sindaca, limitandoci a quelli con più chance, e a come si stanno muovendo.

Chi è più avanti è Carlo Calenda. Ha già fatto i compiti e presentato il programma, la sua lista si presenterà da sola, senza civiche o partiti. La campagna elettorale va avanti da settimane, e da prima la strutturazione del suo partito, Azione. Con ambizioni nazionale ma per ora centrato a Roma, ora attorno alla candidatura, Azione ha strappato al Pd due nomi di un certo rilievo. Il primo, mesi fa, fu Dario Nanni, ex consigliere capitolino del Pd e allora candidato designato del Pd per la presidenza del VI municipio, zona vastissima e complessa della capitale che comprende quartieri come Tor Bella Monaca. È stato il regista del “tour delle periferie” del “candidato di Roma nord” e immediatamente assurto al ruolo di coordinatore romano di Azione. Recentissima è l’entrata di Paolo Masini, ex assessore a Periferie e Lavori pubblici e poi alla Scuola della giunta Marino, una storia di cattolico di sinistra impegnato nel sociale e nelle istituzioni. E, attenzione, conosce bene Dario Franceschini, lavorando al progetto MigrArti al ministero dei Beni culturali. Ma Calenda, naturalmente non ha guardato solo al Pd. I legami con Confindustria sono forti. Azione, gli ultimi dati disponibili sono del rendiconto 2019, ha avuto 841.417 euro da contribuzioni da persone fisiche, 227.500 di contribuzioni da persone giuridiche e oltre 97 mila di tesseramento. Il Messaggero dei Caltagirone gli dà aperto sostegno.
Sembra essere il candidato con le maggiori risorse. I suoi manifesti sono ovunque. Secondo i dati di Facebook Ads Library, dal 15 aprile 2019 al 22 giugno 2021, tra la pagina di Azione e quella di Siamo europei ha speso 141.892 euro. Solo negli ultimi tre mesi per Azione ne ha spesi 26.175. Una campagna potente con grande spiegamento di mezzi cui vanno aggiunte le pubblicità sugli autobus e le affissioni murali. E poi la grande attenzione della stampa, interviste e articoli attenti alle sue dichiarazioni. Calenda, però, secondo tutti i sondaggi, non avrebbe chance di arrivare al ballottaggio, dato attorno al 20 per cento.

Roberto Gualtieri sta lavorando alla costruzione della squadra di governo, mentre fervono le preparazioni delle liste a sostegno. Sulla giunta non si è sbilanciato. “Nomi non ne faccio, adesso scriveremo il programma tutti insieme, poi sceglieremo le persone per realizzarlo”, ha detto alla stampa. Nell’aria c’era un accordo con Caudo per l’assessorato all’Urbanistica, che già guidava nella giunta Marino, vedremo dopo il voto se c’è ancora. Per la vicesindaca i nomi subito evocati dalla stampa son stati quelli di Michela De Biase, moglie di Franceschini e una delle protagoniste della gita dal notaio della giubilazione di Marino, e della ex ministra Marianna Madia. Certamente verrà dal Pd. Gualtieri guarderà per alcuni posti chiave anche alla Pisana, sede della Regione Lazio, per alcune competenze indispensabili. E molto conteranno anche gli equilibri delle varie correnti, che vorranno essere rappresentate in giunta e cosa vorrà Calenda, il cui appoggio al secondo turno non sarà gratis. Le liste a sostegno di Gualtieri potrebbero essere sette, oltre a quelle dei candidati alle primarie ci saranno delle civiche. Il problema di Gualtieri al primo turno è quanto manterrà Raggi del suo elettorato e che risultato avrà Calenda, se intercetterà più voti dal suo elettorato. Gualtieri è romano ma ha sempre svolto la sua attività lontano dai temi del governo della città. Gli occorrerà una squadra in grado di compensare questa situazione ma che non lo renda dipendente da essa.
Il candidato del centrodestra Enrico Michetti è quello che guida i sondaggi (come accade ancora a Milano, il centrodestra guida i sondaggi anche senza candidato, basta che sia del centrodestra), che lo danno in media al 40 per cento. È arrivato tardi, quando si è preso atto della scelta nazionale di Giorgia Meloni, ed è frutto dell’accordo tra un Salvini in affanno e una Meloni in ascesa e che gioca in casa – a Roma il travaso dalla Lega a FdI è in pieno svolgimento, nei ministeri, nella Rai, nei consigli d’amministrazione delle partecipate. Prima di lui si erano fatti i nomi dell’ex capo della Protezione Civile Guido Bertolaso, dell’ex ministro Maurizio Gasparri e della senatrice e avvocata Giulia Buongiorno. Ma FdI ha fatto valere la sua forza a Roma e ha indicato il candidato della società civile vicino alla leader di Fratelli d’Italia. La candidata pro sindaca Simonetta Matone è magistrata, Sostituto Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma, molto conosciuta perché ospite frequente di Porta a Porta. Matone dovrebbe essere a garanzia dell’ala “moderata” del centrodestra, Berlusconi soprattutto ma anche quei settori del campo conservatore romano che sono a disagio con Michetti. Perché l’uomo di Meloni ha bisogno di garantirsi con Matone? Perché è personaggio singolare, non gradito a settori di centro conservatore che si troverebbero più a loro agio, per esempio, con Calenda.

Michetti, 55 anni, avvocato amministrativista, insegna diritto amministrativo all’Università di Cassino e guida il periodico della “Fondazione Gazzetta Amministrativa”, di cui è presidente, una piattaforma online che si occupa di pubblica amministrazione e fornisce corsi di formazione e supporto tecnico alle pubbliche amministrazioni. È stato vicepresidente di ACEA (la municipalizzata romana dei servizi idrici e energetici) dal 2005 al 2009, consulente dell’Associazione nazionale comuni italiani (ANCI), dell’Autorità garante per le comunicazioni (AGCOM), del sindacato autonomo di Polizia (SAP), del commissario alla gestione dell’emergenza idrica nel Lazio. Uno introdotto, quindi.
Ma è anche una delle voci principali di Radio Radio, nel variegato mondo delle emittenti romane una delle tante specializzate nel calcio ma con programmazione rivolta anche alla politica locale e nazionale. Nella trasmissione del direttore Ilario Di Giovambattista è un ospite fisso di riguardo, assieme a nomi come il filosofo rossobruno Diego Fusaro, lo psichiatra Alessandro Meluzzi, l’ex giornalista de La Padania e politico Gianluigi Paragone.
Il pubblico è composto da tassisti, romani tifosi di calcio stretti nel traffico della capitale, ultrà organizzati, ristoratori arrabbiati, dubbiosi delle verità ufficiali tendenti a trovare teorie che spiegano le cose. Michetti ha parlato delle vaccinazioni affermando che gli italiani non sono “una persona da prendere e vaccinare come una vacca coattivamente contro la sua volontà o somministrargli qualsiasi altra cosa come facevano con le atlete del mondo dell’Est. E poi si sono visti i risultati ad anni di distanza, quelle povere ragazze che fine hanno fatto”. Si rifà a un passato glorioso: “Dovremmo riportare la Capitale alla Roma dei Cesari, la Roma dei grandi papi”. Propone il saluto romano come misura igienica contro l’epidemia: “Io saluto con la mano aperta perché è il simbolo di pace, ti devo far vedere che non ho niente in mano, è una cosa romana. Se poi un regime totalitario si appropria del segno della croce, che facciamo, bandiamo il segno della croce? Io sono stato il primo a contestare i Dpcm, che sono l’atto del dittatore”.
A infastidire una quota di elettorato, e una parte del mondo cattolico che pure guarda tradizionalmente a destra, non è certo la recente informativa della Guardia di Finanza alla Corte dei Conti su servizi che sarebbero ingiustificati, venduti alla regione Lazio dalla sua fondazione negli anni di Piero Marrazzo e di Renata Polverini – si sa a Roma come funzionano queste cose – ma questo mondo qui: quel milieu sovranista e trumpiano (le radio, la propagazione di confusione e rabbia a mezzo falsità), quel tifo organizzato che è anche a volte al confine con il mondo criminale nel traffico di stupefacenti forniti dalla camorra e dalla ‘ndrangheta, che ha già lasciato cadaveri insanguinati in giro per la città.
Ma Michetti di amministrazione pubblica ne sa e al Corriere della Sera presenta il volto giusto, di quello pratico ma non improvvisato. “Nei primi cento giorni adotterei, nei limiti delle nostre competenze, misure per favorire le categorie produttive più colpite dalla crisi e migliorare la qualità della vita nelle aree degradate”. Ha fatto vedere che si muove, “Ho comprato un paio di buone scarpe e girerò tutta Roma, lo faccio ritualmente, per incontrare le persone. La prima tappa verrà decisa con la coalizione”. Ha cominciato a disegnare la platea a cui si rivolge, “Ognuno è importante: le categorie, i dipendenti pubblici che sono in numero rilevante e vanno visti senza pregiudizi». Ha parlato della coalizione (FdI, Lega, Forza Italia, Rinascimento e Coraggio Italia), con qualche impaccio ma dando segnali opposti a quelli del tribuno radiofonico, «I partiti sono fondamentali, sono espressione della classe dirigente, un po’ come la cartilagine per il ginocchio. Abbiamo dei grandi profili che vanno valorizzati in un contesto progettuale armonico, troveremo le persone migliori». Nomi fatti però ancora solo Simonetta Matone, «Dovremo esaltare la sua straordinaria competenza nei servizi sociali e nella sicurezza» e Vittorio Sgarbi, ipotizzato come assessore alla Cultura, «ha un profilo altissimo e il mio ruolo sarà di servizio e non di comando», anche se le ultime disavventure giudiziarie che coinvolgono il critico d’arte rendono meno certa l’assegnazione della delega.

In tutto questo Virginia Raggi dal suo ufficio del Campidoglio, e con una più fitta agenda di apparizioni pubbliche, in genere molto veloci, continua a rivendicare i successi della sua amministrazione. Le piste ciclabili, l’apertura degli store di grandi marchi internazionali come Apple, la Casa delle Tecnologie Emergenti della stazione Tiburtina e il rifacimento di alcuni tratti critici della consolare omonima, il primo punto vendita di Enel X, l’apertura a via Veneto della filiale italiana di Deloitte, la principale azienda mondiale di consulenza e revisione, “circa 15.000 metri quadrati con elevati standard di sostenibilità ed efficienza energetica, dove lavoreranno oltre 1600 dipendenti”, scrive Raggi su Facebook.
Per la sindaca questi “sono solo alcuni dei progetti che puntano sullo sviluppo del tessuto economico e produttivo della Città” e rappresentano “Un significativo segnale di ripartenza per una Capitale moderna, sostenibile e ricca di spazi che riescono a coniugare l’immenso patrimonio storico con l’innovazione”. E unisce anche, istituzionalmente, tutti i candidati in una nota congiunta al presidente del Consiglio Draghi per proporre la Capitale d’Italia per ospitare Esposizione Universale del 2030.
Al secondo turno, viste le proporzioni di forza e i sondaggi, non dovrebbero andare né la sindaca né Calenda, anche se godrà dell’appoggio di Italia viva. Una casella è del centrodestra e quindi, a meno di grandi sorprese, Gualtieri andrà a un ballottaggio per il quale l’avversario sembra avvantaggiato, così è dai sondaggi. Ma il centrosinistra a Roma è ancora forte, nelle sue debolezze, e la coalizione è ampia. Molto dipenderà da dove andranno maggiormente i voti di chi ha scelto Raggi e Calenda al primo turno, e da quanto gli schieramenti riusciranno a motivare la militanza e gli elettori nel tornare alle urne, nell’immancabile calo di affluenza del ballottaggio. Da come andranno queste dinamiche si deciderà il nome del nuovo sindaco di Roma.

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