Ripartiamo dalla notizia del duro confronto in atto attorno all’accessibilità e fruizione dell’Archivio di Stato di Venezia. Confronto esplicitato dall’intervento del direttore dell’archivio veneziano Gianni Penzo Doria pubblicato da ytali e che conteneva, al suo interno, il testo della petizione cui hanno aderito fino a ora 387 firme tra studiosi, studenti e docenti di Università e Istituzioni di ricerca di tutto il mondo. Una protesta inviata al Ministro della Cultura Dario Franceschini, e che è servita a far conoscere all’opinione pubblica la difficile realtà dei nostri Archivi di Stato e, più nello specifico, quella dell’Archivio di Venezia.
Se nell’intervento di Penzo Doria si colgono affermazioni e punti di vista che appaiono più che condivisibili come la trasparenza della pubblica amministrazione, l’apertura alle necessità dell’utenza, i diritti fondamentali della ricerca storica condotta con metodi scientifici, la sacrosanta critica contro l’”obsolescenza tecnologica”, pur tuttavia stupiscono contenuti e toni di considerazioni che il direttore ha ritenuto di fare contro coloro che hanno chiesto, semplicemente, di avere a Venezia più “archivio”.
Ma restiamo ai fatti, perlomeno alle due circolari emanate dalla Direzione generale Archivi del Ministero della Cultura, datate 15 giugno e 1 luglio 2021 e inviate a tutti gli Archivi di Stato italiani. Circolari non trascurabili, con il loro sollecitare gli Archivi ad ampliare i servizi al pubblico fortemente penalizzati, fino a poche settimane fa, dall’emergenza sanitaria.
Alle disposizioni ci risulta si siano adeguati molti Archivi di Stato, da quelli veneti a quelli di diverse città italiane.
Sembrerebbe invece, sulla base di quanto è constatato quotidianamente dagli utenti, che nessuna variazione sia intervenuta nell’Archivio veneziano, né in termini di orario né in termini di numero di posti a sedere. Chi ha frequentato più e più volte la sala di studio dell’Istituto (il vecchio refettorio francescano) sa che quello spazio per letture e ricerche gode di notevoli dimensioni. Ed è dotato di aperture plurime e differenziate, con circa settanta posti a sedere in condizioni normali.
Ci si chiede: è possibile che dall’Archivio veneziano siano state disattese le prescrizioni ministeriali? E se ciò è avvenuto, una simile decisione è stata comunicata al pubblico in termini consoni a una platea di “fruitori” non casuali né effimeri di archivi?
Tanto più che delle suddette circolari non c’è traccia alcuna nell’intervento, per altro più che dettagliato, del direttore Penzo Doria. Altrimenti, un numero così elevato di “fruitori” malcontenti dell’Archivio di Stato veneziano come lo si spiega?

Stando al testo del direttore da noi pubblicato, sembrerebbe che la riduzione di orari e accessi sia riconducibile da una parte alle necessarie e doverose misure di protezione contro la pandemia, dall’altra alla gravissima carenza di personale.
Ma il primo evento (chiamiamolo pandemico), come già detto, non è stato forse accuratamente normato da leggi e circolari di cui, però, non si trova applicazione a Venezia? O meglio, nella Biblioteca Marciana l’applicazione c’è stata, nell’Archivio no. È così? A cogliere la diversità tra i due istituti di cultura ministeriali, mesi fa, fu lo scrittore e giornalista Alessandro Marzo Magno che ironizzò su di un virus poco aggressivo a Piazza San Marco nei pressi della Marciana e, al contrario, assai virulento ai Frari, lì dove si apre il portone del gloriosissimo Archivio di Stato.
Il secondo punto evidenziato da Penzo Doria, ossia la carenza di personale, è fattore endemico, anzi, strutturale. È una calamità che interessa da decenni tutta la pubblica amministrazione, dalla sanità alla scuola, ai beni culturali, nel senso di archivi, biblioteche, musei, eccetera. Ma come mai nell’Archivio veneziano ci sono “vuoti” (non c’è dubbio alcuno, pesanti) che però altrove non sembrano aver colpito con uguale durezza? Di seguito ci è sembrato corretto riportare alcune delle decisioni assunte da altri Archivi, proprio in applicazione alle due circolari.
Allora, che fare a causa del personale che manca nella pubblica amministrazione? Qualche cosa di positivo già si è mosso di recente e di molto altro ci sarà bisogno, soprattutto se ci si vuole muovere all’altezza di un’Europa già immaginata a Ventotene. Tutto questo nella speranza che al presidente Mario Draghi sia concesso di “giocare” il primo e il secondo tempo, compresi i tempi supplementari, fino all’ultimo rigore, calciato con la gentile precisione e freddezza di un Jorginho, alla ricerca di una vittoria nel campionato più difficile. Spazzare via il brutto e il peggio, così da rendere migliore e più giusto il nostro paese in ogni campo, dai Diritti agli Archivi. Rigorosamente, se si sta nella sorpresa di quel “rigore” e dalla parte di una nuova storia.

Le circolari ministeriali 28 e 34

Gli Archivi di Stato di altre città

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2 commenti
Caro Direttore,
è improbabile sostenere che sia raccontata un’altra verità. Semmai è vero che lei ha, con evidente abbaglio di sintesi, paragonato una sede come quella di Venezia ad altre più piccole. Nelle sedi dei “grandi” Archivi (Roma, Firenze, Milano, ad esempio) la situazione è perfettamente in linea con quella veneziana. Paragonare situazioni oggettivamente differenti distorce il problema e restituisce disinformazione.
In seconda battuta, nell’ultima settimana e, più precisamente, il 1° luglio e l’8 luglio, ci sono stati due incontri con i tecnici per verificare la situazione sanitaria e le soluzioni, partendo proprio dall’esame delle Circolari ministeriali. In entrambe le occasioni i tecnici hanno chiaramente scritto a verbale che “Fino al persistere dello stato di emergenza” la situazione rimarrà tale. Quindi, le note ministeriali sono state tutt’altro che disattese; anzi, ci si è attivati rapidamente con chi di competenza.
Alla domanda dei firmatari “un numero così elevato di “fruitori” malcontenti dell’Archivio di Stato veneziano come lo si spiega?”, rispondo in due tempi. In primo luogo, nella pesca a strascico di firme, un terzo di loro, cioè oltre 120 persone, non è mai entrato in Archivio, quindi non sono “fruitori”. Fanno poi meno rumore le centinaia di interventi, che non abbiamo divulgato (se non uno, autorizzato) in difesa degli archivisti. Se ne trova traccia sui social.
Poi, per un senso di rispetto istituzionale, ho evitato di utilizzare i canali dell’Archivio di Stato per replicare a questa valanga di assurdità, anche perché la polemica è stata, ad arte, personalizzata.
Il paragone finale con i tifosi è inquietante e sintomo che qui non stiamo ragionando insieme per il bene degli archivi e della storia, ma che sono scesi in campo gli ultras. No, grazie. “Il brutto e il peggio” (riferito a me), a leggere la conclusione, sta nei toni diffamatori verso chi applica le norme e si batte in difesa degli archivi e degli archivisti, invocando addirittura il Presidente Draghi (il cui staff mi chiamò come consulente archivistico e formatore per ben due volte, qualche anno fa, in Banca d’Italia).
Perché, invece di perdersi in conclusioni affrettate, non organizza un confronto on-line, per il quale mi rendo fin d’ora disponibile? In parità di genere, coinvolga i due/tre più accesi firmatari e vettori della lettera al Ministro. Con la volontà di costruire, non certo per il vezzo polemista di chi sbaglia bersaglio: gli archivisti sono sempre neutrali e avalutativi nel trattare la storia, anche quella che lei auspica “nuova”.
Gianni Penzo Doria
Mi permetto di segnalare, come abituale frequentatore dell’Archivio di Stato di Verona, che in questo Archivio delle due circolari della Direzione Generale n. 28 e 34 non solo non si vista traccia ma non si sono visti nemmeno gli effetti: 2 pezzi per ogni sessione, ormai da circa un anno. Non solo, dal 1-Agosto, la Sala Studio dell’Archivio di Verona non aprira’ piu’ il sabato mattina, costringendo gli studiosi che durante la settimana sono impegnati in altre attivita’ a prendersi un giorno o mezza giornata di ferie, oppure a cambiare interessi. L’assurdo e’ che una delle motivazioni addotte per tale chiusura e’ che in giorno di sabato il personale non puo’ usufuire dei buoni pasto, di cui invece puo’ beneficiare negli altri giorni. L’accordo sindacale raggiunto con la Direzione ha portato quindi a chiudere il sabato. Teniamo presente che la sala studio apre dal Lunedi al Venerdi dalle 9 alle 13. Non si capisce quindi a che titolo vengano riconsciuti i buoni pasto se l’orario e’ di solo 4 ore, forse 5 ammesso che il personale sia presente anche quando la sala studio e’ chiusa.