La campagna afghana e quella elettorale

Con la vittoria dei talebani, la politica estera irrompe nelle ultime, decisive settimane della corsa per il cancellierato. E spariglia le carte.
MATTEO ANGELI
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Dopo l’alluvione che in luglio ha colpito con violenza parte del territorio tedesco, la presa di Kabul da parte dei talebani di qualche giorno fa segna una nuova svolta tematica nella campagna elettorale in Germania. Le inondazioni, che solo un mese fa hanno colpito il paese e lasciato centinaia di persone senza niente, avevano portato la questione climatica al centro del dibattito. A soffrirne di più è stato il delfino di Angela Merkel, Armin Laschet, che appare sempre troppo vago e privo di ambizione quando si tratta di parlare di transizione ecologica. Ora però i riflettori si sono spostati sulla politica estera.

Per il governatore del Land Renania settentrionale-Vestfaia, in affanno nei sondaggi però sempre in testa, questa è un’opportunità non solo per riprendere fiato, ma anche per trattare un tema, quello del ruolo della Germania nel mondo, che i cristiano democratici hanno messo in cima al loro programma elettorale.

Per l’occasione Laschet ha trovato parole chiare e forti, molto più di quelle che di solito usa la cancelliera in carica. “È la più grande disfatta nella storia della Nato”, essa apre un “cambiamento d’epoca”, ha dichiarato il candidato della Cdu lunedì, in occasione di una riunione del direttivo del partito. 

Adesso è “l’ora del soccorso”, ha continuato, facendo appello all’istituzione di un ponte aereo in grado di garantire la fuga in Germania del personale e dei cittadini tedeschi, ma anche d’altra gente che è pericolo, soprattutto donne – sindache, studentesse, collaboratrici di ong. 

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Il candidato cancelliere ha poi affermato: “Vanno evitati gli errori del 2015”. Il riferimento è alla pessima gestione del conflitto siriano da parte della comunità internazionale e, evidentemente, al conseguente flusso migratorio. Sei anni fa, mentre centinaia di migliaia di migranti percorrevano la rotta balcanica alla ricerca della salvezza in Europa, Merkel scelse di dare ospitalità a tutti coloro che provenivano dalla Siria, dilaniata da una tremenda guerra civile. La Germania accolse 1,2 milioni di richiedenti asilo: in pochi mesi essa divenne il quinto paese al mondo con la più alta concentrazione di rifugiati e ciò creò forti tensioni interne. 

La critica di Laschet non è diretta contro la decisione di Merkel: oggi come nel 2015, il candidato cancelliere appoggia la scelta della cancelliera di aprire le porte del paese ai siriani che fuggivano dalla guerra. Riguardo al conflitto siriano, egli denuncia piuttosto l’incapacità della comunità internazionale di portare aiuti adeguati nella regione, nei campi profughi. Per questo lunedì ha insistito sull’importanza di assistere coloro che stanno scappando nei paesi confinanti con l’Afghanistan. Gli aiuti umanitari internazionali, attraverso ad esempio l’Unhcr o il World Food Program, dovranno essere sufficientemente finanziati. L’Unione europea deve fare di questa assistenza una priorità, per evitare la “catastrofe umanitaria”. 

Già ora, la maggior parte dei profughi afghani vive in Pakistan (circa 1,4 milioni di persone) e in Iran (780mila persone). È improbabile che ci sia a un flusso migratorio verso l’Europa comparabile a quello del 2015: rispetto ai siriani, per loro il cammino verso il nostro continente è molto più arduo e complicato. 

Laschet in visita al campo profughi di Moria, in Grecia, nell’estate del 2020

Questo giustifica in buona parte l’enfasi di Laschet sugli aiuti umanitari nei paesi confinanti. Nel suo intervento egli ha mostrato precisione e empatia, cosa che ha portato alcuni commentatori a dire che, per la prima volta nella campagna elettorale, è sembrato un vero statista. Va da sé che, con il suo discorso, il leader cristiano democratico ha anche cercato – come prima e dopo di lui hanno fatto altri esponenti del suo partito – di tranquillizzare coloro che in Germania temono di dover far fronte a un nuovo sforzo in termini di accoglienza. Si tratta di paure sulle quali altrimenti l’estrema destra dell’AfD riuscirebbe probabilmente a capitalizzare con successo. 

Alcuni politici di sinistra hanno cercato di farlo passare per cinico. Tuttavia, il suo principale avversario, il candidato della Spd Olaf Scholz, dice praticamente le stesse cose. “Non possiamo lasciare soli coloro che si rifugiano nei paesi vicini”. “Dobbiamo piuttosto contribuire affinché per queste persone ci siano opportunità d’integrazione, che si possa restare nei paesi limitrofi, con delle prospettive per il futuro”. “Dobbiamo aiutare là”, ha dichiarato il leader socialdemocratico, facendo riferimento a stati come il Pakistan, l’Iran, l’Irak e la Turchia. 

Diverso il discorso degli ecologisti, più aggressivi nei confronti dell’attuale esecutivo. La loro candidata, Annalena Baerbock, ha denunciato il rifiuto dei partiti della grande coalizione – Cdu e Spd – di adottare in giugno un emendamento proposto dai Verdi, che suggeriva di evacuare dall’Afghanistan personale e cittadini tedeschi già prima della pausa estiva, prima o comunque in concomitanza con il ritiro delle truppe Nato. Un errore, ideologico, del quale gli esponenti del governo devono ora rispondere. 

A inizio settimana Baerbock ha fatto campagna con al suo fianco lo storico leader ecologista Joschka Fischer, il quale parlando dell’Afghanistan ha fatto appello a un “grande gesto umanitario”. Come anche spiegato dalla candidata cancelliera, i Verdi sostengono una gestione della crisi immigratoria che veda Stati Uniti, Canada e Unione europea impegnarsi al fine di ripartirsi una parte di coloro che fuggiranno dal regime dei talebani. L’obiettivo sarebbe di fissare delle quote per ogni paese che si farà carico dell’accoglienza. 

Una proposta che rischia di suscitare scarso interesse, pure nell’elettorato ecologista. Secondo un recente sondaggio pubblicato sul quotidiano “Augsburger Allgemeinen”, ben due terzi dei tedeschi temerebbero una situazione simile al 2015. Questa sarebbe anche la posizione del 38,8 per cento degli elettori dei Verdi. “Non un altro 2015”: è un messaggio che sentiremo altre volte, in queste ultime, decisive settimane di campagna elettorale. 

La campagna afghana e quella elettorale ultima modifica: 2021-08-19T12:54:02+02:00 da MATTEO ANGELI

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