Gli occhi sempre sorridenti e pensosi, pacato nelle maniere e sincero nelle amicizie, profondo nel pensiero e rigoroso nella meticolosa scrittura: Daniele Del Giudice è morto oggi a 72 anni dopo una malattia lunghissima che lo ha colpito là dove aveva la sua maggiore risorsa, in quella mente vivace e agile che gli faceva esprimere pensieri bellissimi.
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Daniele: quanti anni di amicizia, da quel settembre di Mostra del Cinema di quasi trent’anni fa che lo vedeva inseguito dai giornalisti per parlare del suo libri, finalista al premio Campiello, Staccando l’ombra da terra, nel 1994.
Un’amica ci ha presentato, vista la stessa passione tra Daniele e mio marito per il volo, con conseguente brevetto di pilota e mitico istruttore di volo in comune, il comandate Bruno. I giorni della Mostra del cinema, si sa, sono molto complicati per chi come me ci lavorava per un’agenzia di stampa, e aveva un trasloco in ballo tra Tunisi e Rabat, con i figli in procinto di iniziare la scuola. Daniele e Ida vennero a casa tra un film e l’altro, immediato fu l’affetto tra noi e immediato fu l’invito a venire da noi a Rabat a fine settembre, dove Ida doveva completare il suo dottorato in lingua e letteratura araba e Daniele lavorare al suo prossimo libro.

Arrivarono a Casablanca e poi a Rabat dove intanto la casa aveva preso forma, sgombra dai cartoni del trasloco: loro due avevano a disposizione una vasta parte della casa, una grandissima casa che si sviluppava a forma di elle in mezzo a un giardino rigoglioso. Giardino dove Daniele si installò con il suo computer, del quale era orgoglioso ed esperto, conosceva tutti i nuovi programmi di scrittura e ci dava dei consigli per i prossimi acquisti elettronici. La mattina si sedeva sotto un grande albero di araucaria, ammirando un altro grande albero poco lontano, dai fiori velenosi, la datura, dalla quale si teneva distante ridacchiando. Ida studiava in una postazione poco lontano, ci incontravamo a colazione, pranzo e cena, con la cucina come fulcro della casa, dove Nutella e birra erano alimenti assai richiesti, da piccoli e grandi. Ogni tanto Daniele passeggiava nel giardino, che era bordato da costruzioni simili a quelle di Bomarzo, con grotte e statue ma anche pozzi e anfratti misteriosi.
Dopo cena lunghe erano le conversazioni, soprattutto tra i maschi che parlavano di aerei e atterraggi, inseguendo metafore della vita e progettando voli ed escursioni. Rientrati in Italia, Daniele ricevette molti riconoscimenti relativi al suo valore letterario, partecipò a vari festival della letteratura, a Roma fu insignito presso l’Accademia dei Lincei, del premio Feltrinelli per la sua opera complessiva; aveva il progetto di seguire il corso del fiume Congo ripercorrendo le orme di Conrad e del suo Cuore di tenebra. Ma la sua passione era il volo, e molti dei suoi libri lo testimoniano: era un pilota attento e preparato, minuzioso e prudente. Il volo gli permetteva di avere una visione dall’alto delle cose della vita, quelle che lui descriveva nei suoi libri. Amava raccogliere oggetti meccanici, come modellini di automobili antiche, gli piaceva la tecnica unita alla manualità, per questo amava la tecnologia.
È morto a Venezia, nell’isola della Giudecca, presso una struttura dove da molti anni era ricoverato, all’alba di una giornata radiosa, dalla luce accecante, una di quelle giornate adatte al volo, adatte a staccare la sua ombra nitida da terra.

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