Se il pallone va nel pallone

È ripartita la Champions League, sono ripresi i principali tornei continentali e siamo tornati ad appassionarci al gioco più bello del mondo. Ebbene, siamo al cospetto del caos più totale.
ROBERTO BERTONI BERNARDI
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È ripartita la Champions League, sono ripresi i principali tornei continentali e siamo tornati ad appassionarci al gioco più bello del mondo, lo sport che ci tiene incollati davanti al televisore per dieci mesi l’anno e, quando ci sono Mondiali o Europei, anche d’estate. Ebbene, siamo al cospetto del caos più totale. Molto si è discusso, ad esempio, in merito al disastro occorso in Sudamerica fra Argentina e Brasile, in quanto il governo brasiliano aveva previsto la quarantena per i giocatori che provenissero dall’Inghilterra, impedendo così all’albiceleste di schierare alcuni suoi campioni, che tuttavia erano in campo, e provocando l’interruzione della partita dopo che peraltro era iniziata, quindi dando adito a una figuraccia di proporzioni globali.

E molto si è discusso anche in merito ai casi di positività in seguito ai ritiri e alle trasferte delle nazionali, con danni evidenti per i club. Al che vien da chiedersi per quale motivo le varie federazioni non riescano a mettersi d’accordo.

È mai possibile che in sede UEFA e FIFA nessuno sia in grado di programmare una riunione e stabilire che le nazionali devono giocare in determinati periodi, che la stagione non può essere uno spezzatino, con continue interruzioni e trasferte transatlantiche che, oggettivamente, ledono la regolarità dei campionati, e che i calendari devono essere sincronizzati?

È possibile che in Europa non si riesca a decidere di far cominciare lo stesso giorno almeno i cinque principali tornei, così che venga meno pure l’argomento del miglior stato di forma di alcune squadre rispetto ad altre?

È possibile che lo strapotere delle televisioni private abbia reso il calcio una babele nella quale, alla fine, non si riesce nemmeno a giocare, con guai ingenti anche per i padroni del vapore che non possono più vendere uno spettacolo, a dire il vero sempre più scadente, per l’assenza del medesimo?

E ancora: è possibile che non si riesca a varare un canale sportivo europeo, facendovi confluire una percentuale di tutti i canoni delle televisioni pubbliche dei vari stati dell’unione più l’Inghilterra, al fine di garantire la pubblicità di quello che è, a tutti gli effetti, un bene comune?

L’amara sensazione, restando al calcio, è che sia andato completamente nel pallone, vittima della sua elefantiasi, di stagioni troppo lunghe e stressanti, di miriadi di partite delle quali faremmo volentieri a meno e di una qualità complessiva in netto calo, al punto che qualche mese fa alcuni simpaticoni si erano inventati l’obbrobrio della Superlega nel tentativo di ripianare furbescamente i propri bilanci in rosso scarlatto e di creare una sorta di Guerre Stellari a invito per escludere la classe media e il proletariato pallonaro ed entrare definitivamente nell’era della finzione scenica e del business che prevale su tutto.

Basterebbero, invece, pochi, elementari accorgimenti per limitare i disastri degli ultimi vent’anni. Il primo sarebbe smetterla di giocare ad agosto, dato che, con i cambiamenti climatici in corso, si tratta di un mese infernale pressoché ovunque ed è a rischio persino la salute degli atleti. Il secondo sarebbe accordarsi su una riduzione a diciotto squadre di tutti i principali campionati. Il terzo sarebbe una riforma delle coppe europee, eliminando i tornei dell’amicizia e tornando a competizioni serie e degne di questo nome. E poi bisognerebbe coinvolgere in questo processo anche il resto del mondo, senza esibire il piglio dei conquistadores ma facendo in modo che il calcio abbia ancora un senso.

Tanto per dirne una, l’attuale formula del Mondiale per Club è semplicemente una schifezza e il dominio delle squadre europee sta diventando imbarazzante. Anche nel contesto calcistico, insomma, si tratta di redistribuire la ricchezza ed evitare che i ricchi siano sempre più rischi a scapito di tutti gli altri, per il semplice motivo che pure loro cominciano a rendersi conto di non poterne più di un modello che li sta portando alla bancarotta e al disprezzo collettivo. Chi pensa di salvarsi rinchiudendosi nella propria torre d’avorio non merita ulteriori commenti. Gli altri sarebbe bene che iniziassero a riflettere sul da farsi.

Fatto sta che, come per il resto delle questioni inerenti all’ineludibile riforma del sistema-mondo, il tempo a disposizione è poco. O si cambia o presto le nuove generazioni si dedicheranno ad altro. Sarebbe la fine di una magnifica avventura e le conseguenze, sociali e di costume, potrebbero rivelarsi devastanti. 

Se il pallone va nel pallone ultima modifica: 2021-09-15T16:55:53+02:00 da ROBERTO BERTONI BERNARDI
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