Sono giorni incredibili per lo sport italiano, al termine di due mesi vissuti con il cuore in fibrillazione per la gioia e le braccia levate al cielo per festeggiare i trionfi dei nostri atleti. Due mesi nel corso dei quali abbiamo conquistato la finale di Wimbledon con Berrettini, sconfitto da Sua Maestà Nole Đoković, ma capace comunque di giocarsela alla grande; e poche ore dopo siamo andati a vincere contro gli inglesi, a Wembley, il nostro secondo Europeo, a cinquantatré anni di distanza dal primo. Poi è stata la volta degli allori olimpici e paralimpici, con una pioggia di medaglie mai vista e autentici trionfi, come quelli di Jacobs nei cento metri e Tamberi nel salto in alto, prima che a lasciarci senza parole fossero tre ragazze con una gamba artificiale che rispondono ai nomi si Ambra Sabatini, Martina Caironi e Monica Graziana Contrafatto, rispettivamente oro, argento e bronzo nei cento metri femminili.
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Non hanno voluto essere da meno, tuttavia, le magnifiche ragazze dell’Italvolley di Mazzanti, con Egonu e Sylla sugli scudi e il resto del gruppo a esprimere il meglio di sé dopo la delusione olimpica, al punto che abbiamo battuto in finale la Serbia, per giunta a Belgrado, come se si trattasse di un’avversaria qualsiasi. A quel punto, però, mancava ancora qualcosa, e hanno provveduto i colleghi maschi, guidati da De Giorgi, a completare il capolavoro, battendo 3 a 2 in finale la Slovenia e aggiudicandosi, a loro volta, gli Europei, mentre nel ciclismo Filippo Ganna si laureava per la seconda volta consecutiva campione del mondo nella cronometro individuale, bissando a Bruges il successo del 2020 a Imola e superando l’idolo di casa, Wout Van Aert, e Francesco Bagnaia raccoglieva a Misano il testimone del maestro Valentino Rossi.
Tutto questo è accaduto negli stessi giorni in cui abbiamo detto addio a un grande attaccante del calcio inglese come Jimmy Greaves, campione del mondo nel ’66, che visse anche una parentesi, a dire il vero abbastanza incolore, nel Milan di Rocco, prima di essere ceduto al Tottemham, la sua squadra del cuore dove tornò a segnare caterve di gol. Peccato che amasse la bottiglia quanto il pallone, se non di più, e che la sua vita sia stata segnata da questo vizio, a quanto pare assai diffuso fra i calciatori inglesi; peccato, dicevamo, perché era comunque un centravanti sopraffino e in grado di andare a segno oltre quattrocento volte in carriera.
Ed è accaduto anche mentre ricordiamo il secolo che ci separa dalla nascita di Carlo Parola, il difensore della celebre rovesciata che campeggia sugli album Panini, artefice di uno degli scudetti della furiosa Juve degli anni Settanta.

Dell’11 luglio al 19 settembre abbiamo vissuto settanta giorni di puro incanto, riscoprendo la passione per lo sport e tornando nuovamente a innamorarci dei suoi valori, con l’auspicio che tutte le buone intenzioni della stagione estiva non naufraghino con l’arrivo dell’autunno, a cominciare dalle strutture per gli atleti disabili e dall’impegno che ci siamo assunti nel valorizzare maggiormente le discipline che continuiamo a considerare erroneamente “minori”. Non erano mai capitate tante vittorie tutte insieme, non ci eravamo mai stropicciati gli occhi fino a questo punto.
La speranza, adesso, è di ripeterci nella Nations League, che avrà luogo a ottobre fra Torino e Milano, e che le nostre squadre impegnate nelle coppe europee vadano avanti il più possibile, puntando a vincerle senza timori reverenziali nei confronti di chicchessia. Non partiamo favoriti, ma abbiamo comunque buone possibilità di ottenere, anche nei prossimi mesi, risultati importanti. Ciò che non può e non deve mancare è la fiducia in noi stessi e nelle nostre potenzialità: il grande limite di questo fantastico paese.

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